Lo Stato di Israele compie il suo 75esimo anniversario in un contesto di crisi senza precedenti. Il 14 maggio del 1948, venne proclamata la nascita dello Stato di Israele dopo una lunga campagna di terrore condotta contro i palestinesi dall’esercito sionista, che uccise migliaia di persone e ne espulse 750mila dai propri villaggi e dalle proprie case. Questo giorno rappresenta la Nakba (catastrofe) per i palestinesi. Da allora, al fine di consolidare il proprio potere, Israele ha portato avanti numerose guerre e la repressione ininterrotta della resistenza palestinese.
[Source]
Negli ultimi mesi, il governo di Netanyahu – il più a destra nella storia di Israele – ha provocato la ondata di proteste più grande e polarizzata nell’arco di decenni. Centinaia di migliaia di israeliani sono scesi nelle strade per settimane contro la riforma della giustizia del governo. A indicare quanto profonda sia la crisi è il fatto che il movimento è stato appoggiato e promosso da settori consistenti della classe dominante, dell’esercito, della magistratura, del capitale, ai quali si è aggiunta la potente Confederazione sindacale sionista, Histadrut.
Il 27 marzo, uno sciopero generale, sostenuto dalla serrata padronale, ha alterato in maniera decisiva i rapporti di forza e Netanyahu ha dovuto cedere e battere in ritirata, annunciando la “sospensione” della riforma.
Benjamin Netanyahu non è un nuovo arrivato nella politica israeliana. È stato il primo ministro di Israele col maggior numero di mandati. Per decenni ha navigato in acque agitate ed è incorso in numerosi scandali. Oggi è determinato a tirarsene fuori o a trascinarvi con sé i propri nemici.
Il problema che si pone per la classe dominante israeliana è che hanno perso il controllo sul partito tradizionale del sionismo di destra, il Likud.
Qui possiamo vedere come un individuo – Netanyahu – può giocare un ruolo decisivo stravolgendo un equilibrio instabile e imprimendo una piega particolare alla crisi. Quello che vediamo a Israele si presta a analogie con il fenomeno del trumpismo e non è escluso che possa svilupparsi fino a culminare in una situazione simile all’assalto a Capitol Hill nel gennaio 2021.
L’estrema destra suprematista ebraica
La meteora dell’ascesa di Itamar Ben-Gvir e di Bezalel Smotrich è tutt’altro che insignificante. Ben-Gvir è il leader del Fronte Nazionale Ebraico, il successore del partito suprematista ebraico Kach guidato da Meir Kahane. Il 25 febbraio 1994, Baruch Goldstein, un attivista israelo-americano del Kach che abitava nell’insediamento ebraico di Kiryat Arba (Hebron), entrò nella Tomba dei Patriarchi, che veniva utilizzata come una moschea durante il Ramadan. Aprì il fuoco contro 800 mussulmani palestinesi che stavano pregando, uccidendone 29 e ferendone 125. Venne linciato dai sopravvissuti. Ben-Gvir, fino a poco tempo fa, aveva in casa un ritratto in bella mostra di Goldstein.
Prima di ottenere un seggio nello Knesset, il parlamento israeliano, nel 2021, Ben-Gvir era diventato il principale avvocato difensore a Israele dei sospettati di terrorismo suprematista ebraico, dei coloni e dell’estrema destra.
Il suo rivale, Bezalel Smotrich, è alla guida del Partito Sionista Religioso (Tkuma). Smotrich è un colono e ha sempre espresso in pubblico le sue opinioni razziste. Si oppone ai matrimoni misti e ha detto che le donne arabe e ebree dovrebbero essere tenute segregate nei reparti di maternità negli ospedali.
Nell’ottobre 2021, disse ai parlamentari arabi: “Voi siete qui per errore, è un errore che Ben-Gurion non abbia terminato il lavoro e non vi abbia cacciati via nel 1948”. Queste parole rivelano il vero programma dei suprematisti ebraici: scatenare una nuova Nakba e cacciare i palestinesi dall’intero territorio della Palestina storica.
Una posizione pericolosa
Fino a ottobre, Netanyahu si sarebbe tenuto alla larga da figuri come Ben-Gvir o Smotrich. Ora Ben-Gvir è il ministro della Sicurezza Nazionale e Smotrich è il ministro delle Finanze, incaricato dell’amministrazione della Cisgiordania occupata dagli Israeliani.
Per ovvie ragioni, Netanyahu non può rischiare di alienarsi l’appoggio dell’estrema destra, che ha cominciato a gridare al tradimento per il dietrofront sulla riforma giudiziaria. In uno dei suoi colpi di teatro, ha estratto un coniglio dal cappello: la creazione della guardia nazionale, un sogno a lungo bramato dall’estrema destra. La guardia nazionale svolgerà funzioni di polizia tra i palestinesi all’interno della Linea Verde (i confini del 1948) e Ben-Gvir chiede che venga posta sotto il suo comando.
Ciò prepara il terreno per una crisi ancora maggiore. La guardia nazionale fornisce una copertura legale alla violenza dell’estrema destra. Può comportare conseguenze molto serie, non ultima quella di provocare una nuova insurrezione palestinese.
Già lo scorso aprile, si è arrivati vicino. Per due notti consecutive, a mezzanotte la polizia israeliana ha fatto irruzione nella Moschea di Al-Aqsa, scagliando granate assordenti, brandendo manganelli e utilizzando proiettili di gomma per arrestare i palestinesi, con l’accusa che si erano “barricati” dietro le porte della moschea. Come sempre, i media internazionali si sono uniti all’ipocrita litania che invitava “entrambe le fazioni” a interrompere l’escalation di violenza. I video mostrano una storia differente.
L’elefante nella stanza del sionismo “liberale”
Friedrich Engels scrisse nel 1874 che “un popolo che ne opprime un altro non può emanciparsi. Il potere che utilizza per reprimere l’altro alla fine gli si rivolgerà contro” . Queste parole notevoli erano vere quando applicate all’oppressione russa del popolo polacco centocinquant’anni fa; sono ancora più calzanti per Israele oggi.
L’elefante nella stanza del sionismo liberale è certamente l’occupazione e l’oppressione dei palestinesi.
Il carattere razzista e oppressivo dello Stato di Israele è stato ufficialmente proclamato dalla Legge dello Stato Nazione Ebraico di Netanyahu (luglio 2018), che ha abbandonato la messinscena del secolarismo di Israele. Il principio democratico-borghese di uguaglianza di fronte alla legge viene costantemente violato, al fine di perpetrare la repressione dei palestinesi. Senza dubbio, diventa sempre più difficile difendere lo Stato di Israele e al contempo mantenere la farsa di un’estraneità dai suprematisti ebraici.
L’altro elefante nella stanza è che l’occupazione non tocca solo i palestinesi, ma anche le condizioni della classe operaia israeliana. Negli ultimi 30 anni Israele ha visto un enorme incremento delle diseguaglianze.Nel 2022 il 50% più povero della popolazione possiede il 13% del reddito totale nazionale, mentre il 10% più ricco ne detiene la percentuale sbalorditiva del 49%. L’oppressione dei palestinesi ha fornito le condizioni più favorevoli per i capitalisti per sfruttare una classe lavoratrice divisa.
Trent’anni dagli accordi di Oslo, cosa rimane dell’Autorità Palestinese?
Quest’anno è anche il trentesimo anniversario degli accordi di Oslo del 1993 tra il leader dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) di Yasser Arafat e il primo ministro israeliano Yitzak Rabin.
Questi accordi diedero vita all’Autorità Palestinese. In cambio della propria firma all’accordo, l’OLP garantì la fine della Resistenza e si impegnò a sorvegliare il suo stesso popolo per conto di Israele. Come i marxisti avvertirono allora, gli accordi di Oslo rappresentano una trappola insidiosa nella quale i dirigenti politici palestinesi si gettarono di propria sponte.
L’Autorità Palestinese non ha alcuna continuità territoriale. È divisa in 165 “isole” palestinesi sotto la totale o parziale amministrazione civile dell’Autorità Palestinese (zone A e zone B), circondate da un’area continua (zona C, che rappresenta il 60% del territorio), che si trova sotto l’occupazione israeliana.
Israele decide quanta elettricità, quanta acqua e quante medicine e forniture mediche vengano rese disponibili e strangola continuamente qualsiasi possibile sviluppo.
La situazione di Gaza, sotto assedio, è ancora peggiore, il 53% della popolazione vive sotto la soglia di povertà, l’economia messa a repentaglio da prolungati blackout, e qualsiasi cosa entri o esca da quella che è a tutti gli effetti una grande prigione a cielo aperto viene deciso da Israele e dall’Egitto.
L’Autorità Palestinese è in bancarotta, mentre i lavoratori sono costretti a entrare in sciopero per chiedere i propri salari arretrati. Ventimila insegnanti scioperano per questo motivo da febbraio. La scarsità di risorse sta aumentando la corruzione e gli abusi nell’allocazione di quelle poche disponibili.
Il movimento dei coloni scatenato
L’Autorità Palestinese è ridotta a un’esistenza agonizzante, minacciata dall’espansione costante degli insediamenti ebraici illegali che stanno proliferando sulla mappa della Cisgiordania e di Gerusalemme Est.
A febbraio 2023, gli insediamenti ufficiali nella Cisgiordania erano 144, inclusi 12 a Gerusalemme Est. Inoltre, ci sono più di 100 insediamenti “illegali”. In totale, in Cisgiordania risiedono più di 500mila coloni, più altri 220mila a Gerusalemme Est.
Ogni nuovo insediamento porta con sé altri soldati israeliani dispiegati a difesa dei coloni, Centinaia di checkpoint rendono la vita dei palestinesi un inferno; strade e servizi speciali vengono costruiti per i coloni, che hanno accesso a venti volte la razione di acqua per i palestinesi per le proprie piscine e saune, e la pagano a un prezzo inferiore, mentre i palestinesi soffrono la siccità; vengono eretti muri e le proprietà palestinesi nei dintorni vengono rase al suolo per “ragioni di sicurezza”.
Questi dati ci raccontano del “successo” degli accordi di Oslo, quando i coloni erano circa 250mila (includendo Gerusalemme Est). Adesso, il mostro di Frankenstein ha preso vita propria ed è come una bomba pronta a esplodere alle fondamenta di Israele.
I coloni stanno intensificando i propri attacchi, sentendosi spalleggiati dal governo. Il 26 febbraio, in centinaia hanno assaltato il villaggio palestinese di Huwara nella Cisgiordania, a notte fonda, uccidendo un palestinese e ferendone 100, lasciando la cittadina in fiamme.
Anche le Forze Armate Israeliane stanno intensificato la campagna di uccisioni extragiudiziali di giovani che prendono le armi contro l’occupazione. Negli ultimi 3 mesi, numerose incursioni nei campi dei rifugiati di Jenin e Nablus hanno ucciso decine di persone, inclusi donne, vecchi e bambini, e hanno ferito più di cento persone.
Questi sono solo alcuni esempi del livello di brutalità impiegato da Israele nei suoi rapporti con i palestinesi che ha come unico risultato quello rinsaldare la determinazione della gioventù a lottare contro l’occupazione.
La ripresa della Resistenza palestinese
I giovani palestinesi non hanno nulla da perdere e sono determinati a resistere. Alcuni sono pronti a pagare con la propria vita, e spesso lo fanno. Tragicamente, vengono lasciati senza alternative: la leadership dell’Autorità Palestinese è tutt’uno con gli occupanti.
L’Autorità Palestinese sta raddoppiando la repressione, arrivando a attaccare i funerali delle vittime dei raid israeliani, o a eseguire uccisioni mirate.
Il risultato è che il cinismo nei confronti dell’Autorità Palestinese è diventato così diffuso che per la prima volta il 52% dei palestinesi ha dichiarato, in un sondaggio recente di Khalil Shilkaki, che il crollo o la dissoluzione dell’Autorità Palestinese sarebbe nel loro interesse.
IL fallimento dell’OLP e di Fatah si è reso evidente con il movimento di massa che ha portato allo sciopero generale palestinese del 18 maggio 2021. L’Intifada dell’Unità ha visto una lotta unificata tra Gaza, la Cisgiordania e Gerusalemme Est, fino a includere gli israelo-palestinesi. L’OLP non ha avuto alcun ruolo in tutto questo. La mobilitazione veniva guidata dalla gioventù, che è stata colpita dalla repressione di Israele. 7mila arresti solo nel 2022. A Jenin, dei 136 palestinesi uccisi nell’ultimo decennio, 106 sono stati uccisi negli ultimi 27 mesi.
A cominciare dai campi rifugiati di Jenin e Nablus, i giovani hanno organizzato gruppi armati unificati di autodifesa per resistere all’Occupazione. È significativo che questi gruppi, che riuniscono i combattenti a dispetto della loro affiliazione politica, si siano incaricati della difesa dei campi rifugiati.
Questi sono soltanto le prime avvisaglie di una crisi ancora maggiore, la più profonda che Israele debba affrontare nel corso di decenni.
Lo Stato di Israele è uno dei pilastri della reazione imperialista nel Medio Oriente, oltreché il più affidabile alleato degli Stati Uniti d’America. Tuttavia, questa relazione si è incrinata per le politiche incendiarie di Netanyahu. Israele è un potente stato capitalista, nel quale il dominio della borghesia sionista si basa sull’oppressione dei palestinesi e si giova dell’appoggio di un’Autorità Palestinese ormai a pezzi. È questa catena di oppressione che deve essere spezzata e ciò può avvenire solo come parte di un movimento generale per il rovesciamento del capitalismo nella regione.
Solo la creazione di una Federazione Socialista del Medio Oriente, come primo passo verso una federazione socialista mondiale, può cancellare l’oppressione dei palestinesi. Un’economia democraticamente pianificata potrebbe fornire le basi materiali per la reale emancipazione dei palestinesi, degli ebrei e di tutti i popoli mediorientali, ponendo fine all’attuale incubo imperialista.