Argentina – La deriva autoritaria di Milei porterà a un “autogolpe” come quello di Fujimori?

È passato appena un mese dall’insediamento di Javier Mieli alla presidenza dell’Argentina, avvenuto il 10 dicembre scorso. Contrariamente alle aspettative di gran parte dei commentatori di “sinistra”, che già preannunciavano l’avvento del fascismo nel paese Sudamericano, le sue politiche ultrareazionarie hanno già provocato scioperi e mobilitazioni di massa, dimostrano come il voto a Milei fosse pensato da milioni di argentini come un semplice voto di protesta contro la corruzione dei politici al potere.

David Rey approfondisce la critica a questo metodo “impressionista” di guardare alla situazione politica, prendendo ad esempio il paragone con l’autogolpe di Alberto Fujimori in Perù, avvenuto nel 1992.

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Alcuni a sinistra operano un parallelo tra la deriva autoritaria di Milei in Argentina e il “fujimorazo” in Perù del 1992, quando Fujimori usò i suoi poteri costituzionali per instaurare una dittatura di fatto nel paese andino. Ma questo ragionamento non regge. Al contrario, in Argentina ci stiamo avviando verso un processo di rivolta di massa.

In primo luogo, “el chino” [soprannome di Fujimori] ha utilizzato a proprio vantaggio la folle deriva del partito comunista Sendero Luminoso [Sentiero Luminoso], con le sue indiscriminate azioni terroristiche, apertamente incoraggiate dall’apparato statale peruviano. Questa situazione di “caos” e sanguinoso è stata un’occasione perfetta per Fujimori per imporre un regime violento e repressivo. Nel processo, la classe operaia peruviana ha subito importanti sconfitte.

In Argentina, fortunatamente e a differenza di quanto accaduto nella prima metà degli anni ’70, non c’è alcun movimento di guerriglia, né negli altipiani né nelle città, che possa essere utilizzato per far impaurire la classe media e disorientare la classe operaia. La classe operaia argentina, pur soffrendo il flagello della crisi e dell’iperinflazione, non ha conosciuto nessuna sconfitta importante negli ultimi 25 anni. Le sue forze sono intatte e dispone di sindacati molto forti. La nuova generazione non ha nemmeno conosciuto il “menemato” del 1990-1999 [un periodo di liberalizzazioni aggressive e privatizzazioni diffuse dell’industria pubblica, scatenate dall’allora presidente Menem].

Milei sta rapidamente perdendo il sostegno popolare, perché le sue misure stanno impoverendo ulteriormente la popolazione, mentre le fortune dei ricchi non vengono toccate. C’è rabbia non solo contro le misure economiche, ma anche contro le misure repressive che Milei ha iniziato ad attuare. I sondaggi, a meno di un mese dall’insediamento, danno il 55% di rifiuto popolare di Milei.

Sciopero generale

Lo sciopero generale del 24 gennaio, indetto dalla CGT e dalla CTA [le principali confederazioni sindacali], fungerà da punto focale per aggregare tutto il malcontento sociale, non solo delle famiglie lavoratrici ma di tutti i settori della società colpiti dalla crisi. Si può già prevedere che avrà una partecipazione massiccia, dopodiché si scatenerà una lotta molto intensa per gli aumenti salariali di fronte al flagello dell’iperinflazione e contro le chiusure di aziende che la brutale politica di tagli di Milei-Macri potrebbe provocare.

Se il governo punta sulla repressione aperta il 24E (24 gennaio), per la quale non dispone di forze di polizia sufficienti ad affrontare centinaia di migliaia o milioni di persone in piazza, gli sviluppi potrebbero essere imprevedibili.

Anche se il governo fosse in grado di superare lo scoglio dello sciopero generale, è inevitabile che, nel giro di pochi mesi, quando le sue politiche anti-operaie si svilupperanno in tutta la loro ampiezza, assisteremo a una nuova fase di ascesa del movimento a un livello superiore.

La borghesia argentina, accecata dall’arroganza della vittoria apparentemente folgorante di Milei alle elezioni presidenziali, ha scelto la strada dello scontro aperto e senza alcun freno con la classe operaia argentina, attraverso una politica alla “colpisci e terrorizza”, a tutto campo. E non dispone affatto di tutte le carte vincenti nella manica.

No, non è in arrivo una “dittatura”, ma una guerra di classe, che la classe operaia mondiale guarderà con attesa e con grande simpatia per i suoi fratelli e sorelle argentini.