La situazione al confine tra Israele ed il Libano si sta aggravando sempre più. Oggi i caccia israeliani hanno bombardato Beirut e le parti meridionali del Libano. Oltre cinquanta persone sono state uccise finora. È la più grossa incursione aerea sul Libano a parte dell’invasione israeliana dal 1982!
Sono state distrutte strade e ponti e danneggiate le principale strade di accesso all’aeroporto di Beirut. La giustificazione fornita per gli attacchi è impedire lo spostamento dei soldati israeliani rapito da Hezbollah. Le forze armate israeliane hanno colpito anche stazioni televisive e abitazioni civili, uccidendo bambini innocenti.
In risposta la guerriglia libanese ha lanciato decine di razzi contro le città settentrionali di Israele, minacciando direttamente la popolosa Haifa.
Il linguaggio del governo e dei mass media israeliani non lascia dubbi sulle loro intenzioni. Il primo ministro israeliano Olmert ha definito l’azione di Hezbollah come “un atto di guerra” da parte del Libano. Israele esige che l’esercito libanese si rechi al confine per fermare i guerriglieri Hezbollah e disarmarli.
Il governo di Olmert sta giocando col fuoco. Le sue azioni possono facilmente ridare vigore alla questione nazionale in Libano, un piccolo paese diviso fra differenti etnie e gruppi religiosi. Negli anni settanta ed ottanta una guerra civile sanguinosa aveva devastato il Libano ed ora l’esercito israeliano vorrebbe ricacciare il paese venti o cinquant’anni indietro. Ogni tentativo da parte del governo libanese di disarmare gli Hezbollah porterebbe alla guerra civile. Lungi dal risolvere la situazione, la peggiorerebbe notevolmente.
Nel frattempo la situazione a Gaza continua ad aggravarsi. Solo ieri 23 palestinesi sono stati uccisi e mercoledì mattina i carri armati israeliani sono entrati nel centro di Gaza dividendo in pratica in due il territorio palestinese.
Questi fatti dimostrano che l’attuale crisi non riguarda il destino di uno o più soldati rapiti. Israele poteva scegliere di aprire una trattativa, rilasciando alcuni prigionieri palestinesi, ma non hanno percorso questa strada.
In realtà hanno perso il controllo sui processi politici nei Territori occupati. Avrebbero preferito avere come interlocutori i leaders di Fatah, ma il popolo palestinese ha votato per Hamas. Il governo israeliano rifiuta di riconoscere l’elementare diritto democratico secondo cui un popolo può votare il governo che desidera. I palestinesi stanno pagando un prezzo terribile per avere respinto i progetti dell’imperialismo israeliano e statunitense.
La crisi che ha avuto inizio a Gaza ha travolto il Libano e potrebbe coinvolgere anche la Siria. È curioso come non molto tempo fa venne esercitata una grande pressione sulla Siria per ritirarsi dal Libano. Ma non sarebbe male ricordarsi che, ancor prima, fu proprio Israele, spalleggiato dagli Usa, che chiese al regime siriano di intervenire per pacificare il Libano e porre fine alla guerra civile. Allora la Siria era un paese responsabile la cui azione “stabilizzava”la regione.
Non molto tempo fa i mass media festeggiavano i progressi del processo di pace. Israele si era ritirato dal Libano ed un anno fa si è ritirato anche da Gaza. Sembrava che la pace fosse possibile. Ma i marxisti hanno sempre spiegato che, se non si fossero risolti i problemi sociali sottostanti, i pericoli di guerra sarebbero sempre rimasti presenti nella regione.
Il capitalismo israeliano è seriamente in crisi. Una volta la disoccupazione era sconosciuta o quasi, oggi colpisce oltre il dieci per cento della forza lavoro.Il governo ha attaccato lo stato sociale nel suo complesso, dalle pensioni alla sanità e all’istruzione. Parallelamente i confini di Israele sono stati chiusi ai lavoratori palestinesi, rimpiazzati da poveri immigrati da altre parti del mondo. Ciò ha gettato sul lastrico tante famiglie palestinesi.
Il problema è che la classe dominante palestinese non può concedere nulla alla classe lavoratrice israeliana, così come a quelli palestinesi. Nella loro logica visto che non possono più offrire la carota devono usare il bastone. La guerra in cui si sono imbarcati è il bastone con cui vogliono colpire tutti i lavoratori della regione, palestinesi, israeliani e libanesi.
La guerra è la risposta alla crisi. Andando in guerra la borghesia israeliana cerca di fomentare il patriottismo all’interno di Israele, facendo sentire la popolazione di Isarele minacciata, facendole credere che non ha altra scelta che combattere. Vogliono una ripetizione del 1967.
La situazione è tuttavia cambiata abbastanza da allora. Niente viene dimenticato da un punto di vista storico, e gli scorsi trent’anni hanno insegnato ai lavoratori israeliani, e non solo ad essi, alcune lezioni importanti. Israele ha occupato la Cisgiordania e Gaza, il Sinai, le alture del Golan ed il Libano meridionale e tutto ciò non ha reso Israele un posto più sicuro dove vivere.
In seguito Israele ha dovuto abbandonare il Sinai e ritirarsi dal Libano. Si era sviluppata una forte opposizione popolare in Israele rispetto all’occupazione del Libano meridionale.
Oggi Israele torna in Libano ed esiste il rischio concreto di una nuova guerra in tutta la regione. Ma proprio a causa del passato, l’ambiente in Israele non è quello che vorrebbe la borghesia: il livello di sciovinismo non è così alto come in passato. Settori importanti della popolazione sanno vedere al di là della propaganda governativa. Sanno che le Forze armate israeliane sono fra le più potenti del mondo e possono infliggere gravi danni ai paesi confinanti, ma sono coscienti che i problemi non verranno risolti solo con la forza militare. Ecco perché alla vigilia degli attacco al Libano la maggioranza della popolazione israeliana si è schierata per la pace.
Questo ambiente può certamente cambiare mano a mano che la guerra va avanti e gli attacchi di Hezbollah ad obiettivi civili possono facilitare il tentativo della classe dominante di unire tutto lo stato di Israele contro il nemico comune.
Allo stesso tempo la società israeliana è sempre più polarizzata. Non ci sono mai state divisioni così profonde tra ricchi e poveri in Israele. Ai poveri viene chiesto di combattere per difendere gli interessi dei ricchi, senza ricevere nulla in cambio.
Le divisioni nella società si riflettono anche all’interno della classe dominante. I vertici delle Forze armate si sentono sempre più forti e più influenti nel processo di presa delle decisioni. Stanno esercitando pressioni per rimuovere il ministro della difesa Peretz (segretario del Partito laburista, ndt) e mettere al suo posto un militare.
Un altro settore è sempre più preoccupato che la situazione possa sfuggire di controllo, particolarmente se la Siria entrasse in guerra schierandosi dalla parte degli Hezbollah.Ciò significherebbe l’apertura di tre fronti, una prospettiva troppo impegnativa per Israele, non tanto dal punto di vista prettamente militare. Il problema ha radici molto più profonde ed è connesso con la situazione politica e sociale di Israele. Non c’è l’ambiente per una guerra offensiva di conquista a tutto campo.
Israele può distruggere le infrastrutture del Libano e bombardare i palestinesi a Gaza, creando le condizioni per il ritorno della barbarie, ma ciò non stabilizzerà la situazione, bensì la esacerberà cento volte di più.Oggi l’opinione pubblica è preoccupata per la recrudescenza del “terrorismo”. Con questi attacchi si stanno preparando le condizioni perché un’intera generazioni di giovani in tutto il mondo arabo voglia combattere Israele.
L’attuale conflitto aumenta tutte le contraddizione e non ne risolve alcuna. Il problema è che Fatah, Hamas, Hezbollah, il governo del Libano, il regime siriano, la classe dominante in Israele non sono in grado di risolvere alcuno dei problemi che oggi esistono nel Medio Oriente. L’unica forza che può porre fine all’incubo attuale è la classe lavoratrice del Medio oriente, gli unici che hanno un interesse materiale a sviluppare un’alternativa di classe per il benessere di tutti. In una regione ricca di materie prime, di risorse umane e di tecnologie avanzate, come esistono in Israele, si potrebbero creare posti di lavoro e case per tutti. Attraverso una pianificazione economica ed un uso razionale delle risorse, tutti i popoli potrebbero vivere in pace. Ma perché questo accada, deve avere luogo una trasformazione radicale della società e le leve dell’economia siano poste sotto il controllo dei lavoratori.
Ci accuseranno di credere nelle utopie. Non sono i marxisti ad essere dei sognatori. La nostra posizione invece trae le sue basi nelle contraddizioni materiali reali che esistono nella regione. I veri sognatori sono coloro che credono che l’attuale conflitto si possa risolvere all’interno del capitalismo.