Il 30 giugno in Egitto si è tenuta quella che la BBC ha definito la più grande manifestazione della storia dell’umanità. Milioni di persone sono scese in piazza (e ci sono rimaste) per chiedere le dimissioni di Mursi, il presidente egiziano eletto un anno fa, e ribadire quelli che erano gli obbiettivi della rivoluzione del 25 gennaio: pane, lavoro, giustizia sociale. La protesta si è svolta in tutto l’Egitto, dal Cairo (piazza Tahrir e davanti ai palazzi presidenziali di Ittahadeya e di Qobba) ad Alessandria, dalle città del Delta (Mahalla, Tanta, Mansoura e Damietta) fino al sud dell’Egitto.
Un movimento inarrestabile
Le manifestazioni e le mobilitazioni erano iniziate già nei giorni precedenti e la gente aveva iniziato ad arrivare nelle piazze già tra il 28 e il 29 di giugno, quando sono iniziati gli scontri con i sostenitori del presidente. In particolare a Mansoura gli scontri il 29 giugno sono stati particolarmente duri e il bilancio è stato di alcuni morti e 230 feriti. La manifestazione oceanica del 30 era stata convocata, in occasione dell’anniversario dell’inizio del mandato del presidente dei Fratelli Musulmani (FM) , dal movimento Tamarrod (Ribellione) che nei mesi aveva iniziato una campagna di raccolta firme contro Morsi, per chiedere le sue dimissioni. A questa campagna hanno aderito tutti i movimenti di opposizione e la raccolta firme ha avuto uno straordinario successo, il movimento infatti il 29 giugno aveva annunciato la raccolta di più di 22 milioni di firme. Dopo le manifestazioni del 30 giugno, le opposizioni (al movimento Tamarrod si sono unite praticamente tutte le forze politiche che si sono opposte al presidente Mursi nell’ultimo anno, dai liberali alle forze di sinistra) hanno continuato la mobilitazione e il primo di luglio di fronte alla crisi nazionale, l’esercito egiziano ha dichiarato un ultimatum per Mursi: 48 ore per cercare di risolvere la crisi e ascoltare le domande della piazza. La popolazione in più di un caso ha cercato di occupare edifici governativi in svariate città ed ha dato fuoco alle sedi del partito della Fratellanza.
Il 2 luglio a Madinat el-Nasr (Nasr City) si sono mobilitati gli islamisti pronti a difendere col sangue il mandato di Morsi. Le mobilitazioni dei Fratelli Musulmani erano iniziate fin dai giorni scorsi e sebbene i militanti non lesinino l’uso della violenza il loro numero sembra poca cosa rispetto alle masse oceaniche delle manifestazioni contro il presidente egiziano. I militanti, lo zoccolo duro del movimento, sono stati fatti arrivare da tutto il paese mobilitando tutto l’apparato organizzativo: sono stati organizzati pullman e spesso pagati dei soldi in cambio della partecipazione. Il tutto per raccogliere alcune decine di migliaia di persone.
Nel frattempo però il numero dei ministri dimissionari aumentano a 7, tra cui il ministro degli esteri. Smentita la notizia delle dimissioni del primo ministro. Ieri notte il presidente egiziano ha tenuto un discorso, il primo dopo l’inizio delle proteste, dichiarando di respingere ogni tipo di minaccia interna ed esterna. Ha aggiunto di essere l’unico legittimato a governare dato che è stato eletto democraticamente dal popolo egiziano. Insistendo sulla sua legittimità (parola che ha ripetuto in maniera che definire ossessiva è dir poco), ha dichiarato di essere pronto a difenderla con il proprio sangue se necessario. Pochi minuti dopo la fine del discorso del presidente sostenitori dei Fratelli Musulmani hanno iniziato ad assaltare alcune zone residenziali del Cairo, gli scontri più duri tra opposizione e islamisti sono stati all’Università della capitale, dove sono morte 16 persone e ci sono stati 200 feriti. Sulla pagina Facebook le forze armate hanno fatto sapere che sono pronte a versare il proprio sangue per difendere il popolo egiziano e di giurare su Dio che proteggeranno l’Egitto da pazzi e estremisti. Secondo la Reuters la “road map” dei militari prevedrebbe la sospensione della costituzione, lo scioglimento del parlamento fino a nuove elezioni. Alle cinque di oggi scade l’ultimatum dato a Morsi. Il portavoce dei FM Gehad el-Haddad ha fatto sapere oggi alla CBS che nel caso i militari attuino un colpo di stato i FM avrebbero pronto un piano.
I Fratelli musulmani e i militari
Fin qui brevemente i fatti. Ora c’è da chiedersi cosa faranno i militari? Qual è il significato del loro intervento? Un anno fa, quando Morsi salì al potere, i militari e i FM sancirono un patto: i militari avrebbero continuato a mantenere i loro privilegi e i loro affari e i FM si sarebbero ritagliati uno spazio politico ed economico. Ora l’alleanza scricchiola. Di fronte alla pressione delle masse i militari giocano lo stesso ruolo che hanno avuto durante la rivoluzione del 25 gennaio: in un primo momento sono stati defilati, poi hanno gentilmente invitato Mubarak a farsi da parte prima che la situazione degenerasse.
Le masse egiziane hanno in simpatia l’esercito che nella storia del paese soprattutto per l’esperienza di Abd el Nasir che nel 1952 ha guidato la rivoluzione degli Ufficiali Liberi contro l’occupazione inglese e la monarchia (da sottolineare come nota a margine che uno degli slogan che si sono sentiti in queste proteste è stato: Abd el Nasir lo ha detto, di Fratelli Musulmani non ci si può fidare). Questo spiega il giubilo dei manifestanti a piazza Tahrir all’annuncio dell’ultimatum dato dall’esercito a Mursi. Inoltre l’esercito e gli apparati di sicurezza non sono un blocco unitario e in questa fase gli strati più bassi sono spinti dalle masse e si sono visti in questi giorni poliziotti partecipare attivamente alle proteste e molti hanno aderito al movimento Tamarrod. Ma in questa fase l’obbiettivo di un intervento diretto sulla scena delle forze armate è quello di bloccare lo sviluppo rivoluzionario offrendo una soluzione costituzionale. L’invito a Mursi è questo: prima che la situazione degeneri, se non si riesce a controllare le masse, è preferibile farsi da parte.
Due parole sui Fratelli Musulmani. Come abbiamo più volte spiegato la salita al potere dei FM non avrebbe risolto nessuno dei problemi dell’Egitto. Fame, povertà, diseguaglianza sociale sarebbero continuati come prima, e la parola d’ordine populista “l’islam è lo soluzione” si sarebbe rivelata agli occhi delle masse per niente più di quello che è: fumo negli occhi. I problemi per le masse sono aumentati: inflazione a tasso record, crisi di approvvigionamento di benzina e gas, continui tagli dell’elettricità e all’acqua. Il 63% della popolazione ritiene che le sue condizioni di vita siano peggiorate dopo la rivoluzione. Si palesa ora e senza appello l’errore che una parte della sinistra egiziana (Revolutionary Socialist) ha compiuto nel sostenere Mursi e considerare i FM come ala destra della rivoluzione. I Fratelli Musulmani sono un’ala della contro rivoluzione, del capitalismo egiziano.
La dirigenza del fronte di opposizione
Le proteste contro Mursi non sono nuove, già a dicembre ci fu un grande movimento di massa contro il decreto presidenziale. Il movimento morì presto per l’incapacità della dirigenza di dettare delle linee chiare e elaborare un programma. Il Fronte di Salvezza Nazionale anziché elaborare una prospettiva e organizzare la lotta, per paura che le proteste gli sfuggissero di mano, si è dedicato a appellarsi a discussioni con Mursi o a invocare l’intervento di questo o quel generale. Ad oggi gli egiziani sono disillusi rispetto alle capacità e alla credibilità dei leader politici oggi in campo. Significativo che in un sondaggio della Independent Media Review and Analysis su 5000 egiziani gli unici personaggi a riscuotere consenso sono stati : Abd el Naser, Anwar al Sadat (morti entrambi) e Basem Youssef conduttore televisivo di uno seguitissimo show satirico.
Sintomatico della incapacità della leadership politica è il fatto che la manifestazione sia stata convocata non da una forza politica ma da il movimento Tamarrod, nato di recente dall’unione di semplici attivisti. La campagna ha come principale slogan “giustizia, dignità e libertà” ed ha esplicitato sette ragioni per cui Morsi si dovrebbe dimettere: la mancanza di sicurezza, la continua marginalizzazione dei poveri e degli oppressi, l’assenza di giustizia per i martiri, la mancanza di dignità verso la popolazione e la nazione, dato che il governo continua a chiedere prestiti alle potenze straniere, seguendo i dettami degli Usa.
La soluzione proposta è quella di nuove elezioni dopo le dimissioni di Morsi, nel frattempo il suo posto dovrebbe essere preso dal Presidente della corte suprema. Il problema è che le elezioni ci sono già state l’anno scorso e non hanno risolto nulla, e non perchè Morsi sia un incapace, ma perchè, all’interno del capitalismo, le politiche sono dettate dall’imperialismo e dalla borghesia egiziana. L’opposizione si dimostra quindi incapace di indicare un programma e una strategia d’azione efficaci per le masse insorte.
La via della rivoluzione
Il movimento che è sceso in campo in questi giorni è enorme, disposto a lottare e consapevole della propria forza. Oggi un rovesciamento rivoluzionario del governo Morsi da parte delle masse è totalmente possibile. Un’insurrezione vittoriosa metterebbe totalmente all’angolo le forze armate, che si dividerebbero a metà tra i sostenitori della rivoluzione e quelli dell’ordine costituito.
L’alternativa oggi non è tra un governo reazionario e un colpo di stato altrettanto reazionario, ma tra rivoluzione e controrivoluzione.
Quello che manca ai lavoratori e ai giovani egiziani non è la volontà di lottare fino in fondo, ma una direzione marxista.
Come nella rivoluzione del 2011 lo sciopero generale diventa un passaggio obbligato per spingere la classe dirigente egiziana a fare i conti con chi detiene effettivamente le leve dell’economia: lavoratori e giovani. E questa possibilità è in questa fase in via di discussione come parte dell’azione di disobbedienza civile che il movimento è intenzionato a mettere in atto nel caso Mursi non se ne vada.
Comitati rivoluzionari devono essere organizzati come punti centrali di discussione politica e per organizzare l’autodifesa contro le aggressioni delle squadre dei Fratelli Musulmani. Non ci sarà nessuno che garantirà la vittoria della rivoluzione, se non i giovani, le donne i lavoratori scesi in strada; non ci sarà nessuna democrazia capace di risolvere la crisi economica del paese e garantire una vita dignitosa alla popolazione, l’unica possibilità è solo una rottura radicale del sistema, l’espropriazione della classe dominante e una rivoluzione socialista.