Le elezioni anticipate spagnole del 23 luglio hanno fornito un risultato inatteso. Il PP (Partito popolare) e VOX, rispettivamente di destra ed estrema destra, non sono riusciti ad ottenere la maggioranza assoluta predetta dai sondaggi. La mobilitazione del voto di sinistra all’ultimo momento per impedire l’ingresso dell’estrema destra al governo ha fatto sì che il voto per il PSOE (Partito socialista operaio spagnolo) socialdemocratico reggesse meglio di quanto anticipato, portando a una composizione parlamentare senza una chiara maggioranza. La formazione di un nuovo governo sarà complessa e potrebbe persino richiedere una nuova tornata elettorale, proprio quando la classe dominante spagnola avrebbe invece bisogno di un governo forte per fronteggiare la recessione incombente. L’articolo dei compagni spagnoli di Lucha de Clases analizza le ragioni di questo scenario.
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Il cosiddetto “blocco progressista” – composto dal Partito socialista (PSOE) e da SUMAR (la coalizione alla sinistra del PSOE, guidata da Yolanda Díaz, che vede la presenza di Unidas Podemos) – ha retto l’urto della destra. La sconfitta di quest’ultima è stata resa possibile da un’intensa mobilitazione del voto di sinistra proprio negli ultimi giorni della campagna elettorale. L’esito elettorale così combattuto manda anche un ultimo avvertimento al governo: la sua politica di gestione della crisi del capitalismo non sta riuscendo a risolvere i problemi urgenti delle famiglie operaie. Strillare “al lupo al lupo” dell’estrema destra potrebbe non essere così produttivo la prossima volta.
Non ci può essere alcuna reale soluzione agli acuti problemi sociali e democratici della Spagna entro gli stretti confini del capitalismo spagnolo arretrato, con la sua borghesia rapace e parassitaria, il suo apparato statale reazionario e rancosroso, nel contesto di una nuova crisi globale del capitalismo. Risolvere il problema delle abitazioni, del lavoro precario, del carovita, dell’energia, delle condizioni schiavistiche dei giovani della classe lavoratrice e dei lavoratori migranti, della questione nazionale catalana e basca, dei complotti reazionari della casta giudiziaria e della polizia, e di una monarchia corrotta che sta al di sopra del governo eletto dal popolo, richiede uno scontro con i grandi capitalisti e con il loro apparato statale sulla base di coraggiose politiche socialiste e di una mobilitazione popolare. Ma nessuna delle forze che compongono il cosiddetto “blocco progressista” è disposta a rompere con il regime capitalista e a condurre una lotta decisiva contro di esso.
Ciò detto, noi comprendiamo perfettamente il senso di sollievo provato da milioni di onesti lavoratori e giovani nel vedere la destra reazionaria mangiare la polvere. Indubbiamente questo aumenterà la fiducia di quei settori della classe lavoratrice che si sono mobilitati, che hanno avuto prova della propria stessa forza, e nel breve periodo infliggerà un colpo demoralizzante alle oscure forze della reazione.
Ma questo senso di fiducia e di forza deve essere diretto, ora più che mai, verso una lotta contro lo sfruttamento e per la difesa della dignità dei quartieri operai sotto attacco. Deve essere canalizzato nella lotta contro i maltrattamenti e la violenza subiti dalle donne.
E deve essere rivolto contro le politiche reazionarie e filoimperialiste del governo (riarmo, partecipazione alla guerra in Ucraina, tradimento del popolo saharawi, ecc.) e contro la legislazione reazionaria lasciata intatta da questo governo “progressista”, benché nella scorsa legislatura avesse la maggioranza assoluta, come la riforma del lavoro e alla “ley mordaza” (“Legge bavaglio”, che limita la libertà di espressione e di associazione) introdotte dal PP.
Forte polarizzazione
Cosa deduciamo dunque dalle elezioni del 23 luglio e quali prospettive si aprono?
Il PP, VOX e i loro alleati hanno ottenuto 171 seggi. Nel frattempo il cosiddetto “bloque de la investidura”, che ha appoggiato il governo PSOE-Unidas Podemos nella scorsa legislatura, ha preso 172 seggi. La polarizzazione tra i due blocchi è estrema. I restanti sette seggi, che completano il totale di 350 seggi nel Congresso, vanno al partito catalano pro-indipendentista Junts per Catalunya. Il suo dirigente, Puigdemont, è in esilio in Belgio ed è ricercato dalla giustizia spagnola.
Sembrerebbe che il PSOE e SUMAR possano facilmente riproporre la propria coalizione di governo, con grande disappunto della destra. Ma questa possibilità dipende dalla decisione del partito pro-indipendentista catalano, Junts, al quale basterebbe astenersi nel voto di fiducia del nuovo governo. Al momento questo è tutt’altro che certo.
Attualmente, come condizione per l’astensione, Junts ha richiesto l’amnistia per tutti gli attivisti indipendentisti condannati per aver partecipato al movimento di massa in occasione del referendum per l’indipendenza catalana del 1° ottobre 2017, e nella successiva lotta contro la repressione statale. Inoltre ha chiesto un referendum vincolante sull’indipendenza della Catalogna. Quest’ultimo è una “linea rossa” che Sánchez non violerà mai, poiché rappresenterebbe una sfida diretta al regime reazionario che sorregge il capitalismo spagnolo. Nelle prossime settimane vedremo come si concluderà questa vicenda.
La partecipazione al voto è stata considerevolmente superiore alle aspettative, oltrepassando il 70%. Questa percentuale, benché non particolarmente alta in prospettiva storica, è degna di considerazione per via della sorpresa con cui sono state convocate le elezioni anticipate, per il precedente stato di demoralizzazione della sinistra, e considerato che molti spagnoli sarebbero stati in ferie. Date le circostanze, l’affluenza riflette la mobilitazione su vasta scala lanciata dalla sinistra negli ultimi giorni della campagna con l’obiettivo di fermare l’arrivo al potere di un’alleanza PP-Vox, con le sue politiche ultrareazionarie.
Il blocco della destra spagnola (PP e Vox) con i suoi alleati regionali (Coalición Canaria dalle Isole Canarie e l’UPN dalla Navarra) ha avuto il 46,11% dei voti (11,29 milioni di elettori). Il blocco PSOE-SUMAR ha avuto il 44,01% (10,78 milioni). I suoi alleati nel precedente parlamento (essenzialmente i nazionalisti e i partiti indipendentisti catalani, baschi e galiziani, eccetto Junts) hanno ottenuto il 4,99% (1,22 milioni).
In totale questo darebbe a PSOE, SUMAR e alleati il 49% dei voti (12 milioni di elettori). Se anche il PNV, partito della borghesia basca, abbandonasse questo “blocco”, il voto combinato delle sinistre ufficiali spagnole (PSOE e SUMAR), basche (EH Bildu), catalane (ERC) e galiziane (BNG) totalizzerebbe il 47,88% e 11,73 milioni di voti, battendo comunque il blocco di destra.
Rispetto alle precedenti elezioni del novembre 2019, il blocco nazionalista della destra spagnola ha ottenuto 700.000 voti in più, mentre il blocco di governo e i suoi alleati ne hanno persi 140.000. È però necessario contestualizzare i guadagni della destra nazionalista spagnola e dei suoi alleati. Alle elezioni dell’aprile 2019, la destra ottenne gli stessi voti che ha preso adesso, 11,3 milioni, anche allora perdendo le elezioni.
In altre parole, la destra è capace di mobilitare con costanza la propria fanteria in occasione delle elezioni, mentre la base elettorale della sinistra ufficiale è segnata dalla mancanza di motivazione a causa delle politiche del governo.
I risultati del blocco PSOE-SUMAR e dei suoi alleati
Il “blocco progressista” nel suo complesso non è andato male come ci si aspettava, anche se il SUMAR (che mette insieme i resti di Unidas Podemos, Más País, Compromís, partiti alla sinistra del PSOE) ha subito un declino piuttosto brusco. La coalizione di sinistra ha ottenuto 3 milioni di voti (12,31%) e 31 seggi. Ciò rappresenta una perdita di 700.000 voti (o 7 seggi) rispetto al novembre del 2019. Invece il PSOE ha visto i propri voti addirittura aumentare: ha ottenuto il consenso di 7,76 milioni di elettori (31,7%, o 122 seggi), rispetto ai 6,8 milioni (28%, 120 seggi) del novembre 2019. È chiaro dunque chi ha guadagnato politicamente dal governo di coalizione e chi è riuscito a raggruppare intorno a sé il cosiddetto “voto utile” contro la destra.
SUMAR ha pagato cara la sua mancanza di indipendenza politica e programmatica, l’avere accettato tutti i tradimenti rispetto al programma originale del governo, che peraltro era già abbastanza moderato di suo, e tutte le concessioni del PSOE alla classe dominante e, in politica estera, all’UE e all’imperialismo USA. SUMAR rimane una coalizione eterogenea di una dozzina di gruppi, quasi tutti su base regionale, con una base pressoché inesistente, fatta eccezione per gli iscritti di Izquierda Unida. Podemos si è ridotto a un gruppo marginale all’interno di SUMAR, con appena cinque dei suoi deputati uscenti rieletti nella lista elettorale di SUMAR, confermando il suo irreversibile declino.
Nei campi nazionalisti basco e catalano, ci sono state dei cambiamenti considerevoli rispetto al novembre 2019. La Catalogna è stata una dei pochi territori dove è aumentato l’astensionismo (con 350.000 votanti in meno). È stato particolarmente il caso delle zone più nazionaliste e indipendentiste, ed esprime lo scoramento di questo campo davanti a quello che considera un tradimento da parte dell’ERC, con il suo ritorno all’“autonomismo”. L’altra cosa che riflette è la mancanza di una reale alternativa da parte di Junts e della CUP (un partito indipendentista catalano radicale), che ha perso i suoi due seggi.
I partiti indipendentisti sono così passati da 1,67 milioni di voti nel novembre 2019 ad appena 954.000 nell’ultima tornata. Parte di questo voto, soprattutto quello per l’ERC, era di origine operaia ed è tornato al PSC (la sezione catalana del PSOE), che ha visto un aumento di oltre 400.000 voti in Catalogna, ottenendo, con 1,21 milioni di voti, il consenso più elevato rispetto a qualsiasi altro partito. Il PSC ha anche sottratto 100.000 voti da Comuns di Ada Colau (ex sindaca di Barcellona), a sua volta integratosi in SUMAR.
Nonostante la disfatta dei partiti indipendentisti, la Catalogna è stata cruciale, insieme al Paese Basco, per assicurare la sconfitta della destra a livello nazionale. Qui i partiti che appoggiano il governo centrale hanno ottenuto 33 seggi, rispetto agli 8 della destra spagnola. In totale la sinistra spagnola (PSOE e SUMAR) e quella catalana (ERC e CUP) hanno avuto il 64,5% dei voti in Catalogna.
Nel caso del Paese Basco, il partito di sinistra EH Bildu ha sorpassato quello di destra, il PNV, permettendo alla somma totale dei voti per la sinistra spagnola (PSOE e SUMAR) e basca (EH Bildu) di raggiungere il 60% in Euskadi e il 56% in Navarra. Qui i partiti che appoggiano il governo centrale hanno avuto 19 seggi, rispetto ai 4 della destra spagnola.
È importante sottolineare che, tra Catalogna e Paese Basco, il cosiddetto “blocco progressista” ha avuto un totale di 40 seggi in più del blocco PP-Vox! Senza il contributo decisivo di entrambi i territori, il blocco PP-Vox avrebbe vinto in tutta la Spagna.
Dal momento che la destra spagnola ha identificato nell’indipendenza, e in generale nel nazionalismo catalano e basco, il nemico pubblico numero uno, non c’è dubbio che la questione nazionale ha giocato un ruolo di enorme importanza nel radicalizzare e mobilitare il voto in entrambi i territori per far fronte alle minacce della destra. Inoltre, entrambi i territori hanno una consistente popolazione di operai industriali, e il voto operaio è un fattore determinante.
Ciò dimostra ancora una volta il carattere progressista, democratico e rivoluzionario della lotta per i diritti democratico-nazionali, in particolare il diritto all’autodeterminazione per entrambe le zone, che deve essere difeso incondizionatamente da tutta la classe lavoratrice spagnola, come parte della lotta contro la destra franchista, la monarchia corrotta e la retrograda classe capitalista spagnola.
I risultati della destra
Anche se il PP si vanta di avere avuto oltre 3 milioni di voti in più (arrivando a 8 milioni), il suo punto di partenza era il minimo storico del pessimo risultato delle elezioni del 2019. Come da aspettative, da novembre 2019 il PP ha assorbito il voto residuale di Ciudadanos (un partito di destra “moderata”), poco più di 1,6 milioni di elettori. Ha anche sottratto ulteriori 600 000 voti a Vox e ne ha recuperati 800.000 tra gli elettori di destra astenutisi nella tornata di novembre 2019.
Chi ha perso più di tutti è stato il partito di estrema destra Vox, con 600.000 voti e 19 seggi in meno. Nonostante il declino delle forze che compongono SUMAR, Vox è riuscito a strappargli a malapena 19.000 voti, in quello che è stato praticamente un pareggio per il terzo posto, attestandosi intorno al 12,4%.
La sconfitta evidente di Vox smentisce i discorsi di certi settori della sinistra sull’“ascesa del fascismo”. Le rozze e folli posizioni di Vox non riusciranno mai ad avere una presa dominante in una società dove la classe lavoratrice rappresenta la stragrande maggioranza della popolazione. Vox ha una base sociale estremamente ristretta: gli isterici e reazionari proprietari terrieri piccoli e medi e l’apparato statale neofranchista composto da giudici, polizia ed esercito. Talvolta può trascinarsi dietro anche settori molto arretrati e marginalizzati della classe lavoratrice.
Non c’è dubbio che la destra abbia subito una sonora sconfitta. Ubriaca della sua stessa arroganza, durante la campagna elettorale ha messo in mostra le sue vere sembianze ultrareazionarie davanti a tutta la società, tenendo discorsi violenti e diffindendo vere e proprie menzogne, minacciando di cancellare alcune delle riforme sociali progressiste del governo PSOE-Unidas Podemos, scherzando – nel caso di Vox – sulla violenza contro le donne e arrivando persino a vietare concerti e spettacoli per motivi ideologici nelle città e nei paesi dove ha appena vinto le elezioni municipali. Tutto questo ha risvegliato gli istinti di classe e i sentimenti democratici di settori della sinistra che erano stati finora privi di motivazione, i quali all’ultimo momento hanno reagito per impedire una vittoria del PP e di Vox.
In verità, la base sociale della destra è molto eterogenea: va da reazionari piccolo-borghesi impazziti e abbruttiti a settori privilegiati insignificanti dei lavoratori con una mentalità piccolo-borghese, fino a settori arretrati e disperati della classe lavoratrice, per includere anche alcuni settori onesti ma depoliticizzati della popolazione, che, travolti dall’instabilità e dalla mancanza di alternative, vogliono mettere alla prova una “nuova amministrazione”, tanto sono disperati.
Un governo di sinistra con la mano ferma, capace di affrontare i loro problemi in modo radicale e con determinazione, potrebbe separare gli elementi più sani e onesti della piccola borghesia e dei lavoratori politicamente arretrati dal resto della marmaglia reazionaria, che a quel punto non sarebbe capace di fare altro che piagnucolare impotente.
Le lotte sociali, quando hanno raggiunto le famiglie operaie, sono riuscite a unire centinaia di migliaia di persone e a farle scendere in piazza, come abbiamo visto nelle magnifiche proteste per la sanità pubblica a Madrid. Le prove di forza della destra spagnola hanno invece faticato a mettere insieme persino qualche decina di migliaia di persone, a dir tanto, nella capitale. Questo ce la dice lunga riguardo il vero rapporto di forze nella società spagnola di oggi.
Tutt’altro paio di maniche è il fatto, però, che queste immense forze sociali potenzialmente combattive della nostra classe sono oggi passive, immotivate e frustrate a causa delle politiche del governo “progressista” e dei principali sindacati, che, alla fine, sulle questioni decisive hanno accettato i termini dei padroni, dei ricchi e dei potenti.
Ma non dobbiamo ingannarci. La destra è stata a un passo dalla maggioranza governativa. La responsabilità è stata tutta del governo, che non è riuscito a offrire un’alternativa al caos capitalista che ha spinto fra le braccia della destra i settori inferiori della piccola borghesia e le parti politicamente arretrate e disperate della classe lavoratrice.
Molte persone oneste stanno cominciando a mettere in discussione il ruolo del PSOE. Ne abbiamo visto un esempio con il ruolo incredibilmente codardo e criminale che ha svolto, insieme al silenzio complice della leader di SUMAR, Yolanda Díaz, allineandosi con la destra sulla questione della legge “Solo sì è sì” riguardo la violenza sessuale sulle donne. Un altro esempio è stata la codardia e l’apologia con la quale il governo ha difeso i suoi accordi con i partiti indipendentisti catalani e baschi, che ha fatto il gioco del nazionalismo reazionario spagnolo e ne ha facilitato la penetrazione tra i settori più arretrati dei lavoratori.
Con questo non vogliamo dire che difendiamo il contenuto di questi accordi, che, in generale, sono fatti di politiche moderate e socialdemocratiche, che nel migliore dei casi tolgono appena qualche briciola ai ricchi. Quello che intendiamo dire è che la destra ne ha approfittato per stigmatizzare i diritti democratici e nazionali dai catalani e dei baschi agli occhi della maggioranza della popolazione, tirando acqua al proprio mulino, come abbiamo visto in campagna elettorale.
Conclusioni
Come detto all’inizio dell’articolo, Sánchez e Yolanda Díaz si sbagliano se pensano che i loro quasi 11 milioni di voti indichino consenso per le loro politiche. I giovani soprattutto sono del tutto scettici verso questo governi.
C’è insoddisfazione, impazienza e agitazione per il calo del potere d’acquisto, l’impossibilità di avere una casa decente e un lavoro stabile e ben pagato, e in generale rispetto a ciò che ha in serbo il futuro. I crescenti legami con le politiche militaristiche della NATO e dell’imperialismo USA vengono accettati con riluttanza, a denti stretti, come il tradimento delle promesse mai rispettate, tipo quella di ritirare la riforma del lavoro del PCC e la sua mordacchia ai media, e anche i ricatti dei giudizi reazionari, fra tante altre questioni.
Centinaia di migliaia di persone, dai settori più avanzati della classe lavoratrice e dei giovani, si sono sentite spinte da un chiaro istinto di classe a fermare ancora una volta la destra reazionaria spagnola. Ma hanno anche lanciato un ultimo avvertimento a questo governo: se non imporrà una chiara svolta alle proprie politiche, se non si lascerà alle spalle i provvedimenti che lasciano solo le briciole alle masse e gli annunci tanto ad effetto e se non comincerà a prendere seriamente in mano i veri problemi che insidiano i giovani e la classe lavoratrice giorno dopo giorno, allora non potrà dare per scontato all’infinito il sostegno delle masse lavoratrici; la prossima volta potrebbero non venire in suo soccorso.
Ma questo significa opporsi con coraggio ai grandi capitalisti e all’apparato statale reazionario e lasciarsi alle spalle le politiche filoimperialiste perseguite sin qui. Questo è esattamente quanto il governo PSOE-SUMAR ha chiarito che non farà. Infatti, davanti alla recessione globale del capitalismo che ancora una volta si profila all’orizzonte e all’elevato debito pubblico che sta strangolando tutte le economie nazionali, il governo sarà costretto a mettere in pratica una politica di tagli e attacchi alla classe lavoratrice, come già chiede la Commissione europea a Bruxelles. Ecco perché dobbiamo dire fin da ora che se riuscirà a insediarsi un nuovo governo Sánchez, sarà sulla base di una maggioranza più debole e molto più precaria rispetto al mandato precedente. Inevitabilmente frustrerà le aspettative popolari e questo lo porterà alla crisi, all’instabilità e al fallimento certo.
La classe dominante spagnola è davanti alla peggiore situazione possibile. Con i mari tempestosi che ci aspettano, necessita di un governo forte che non esiti ad applicare le politiche più favorevoli ai suoi interessi. Quello PSOE-SUMAR non sarà un governo di questo tipo. Né lo sarebbe un governo PP-Vox, qualora dovessero vincere un secondo turno nei prossimi mesi, che vedrebbe un alto tasso di astensione per via della stanchezza e dello sconforto accumulati, dando loro una maggioranza instabile. In quest’ultimo caso, anche un governo di destra verrebbe visto, sin dal primo minuto, con enorme disgusto, odio e sfiducia da parte delle masse della classe lavoratrice.
Tutto ciò annuncia un periodo di instabilità, convulsioni e acutizzazione della lotta di classe nello Stato spagnolo. Davanti al fallimento di una socialdemocrazia in crisi, incapace di adottare riforme significative e fondamentalmente arrendevole davanti agli interessi della classe dominante, è più necessario che mai preparare un’alternativa comunista, che unisca i settori più avanzati della classe lavoratrice e dei giovani, attiva nei movimenti di massa per portare queste idee agli strati più vasti possibile della classe lavoratrice. Aderisci alla TMI per unirti a noi in questo compito!