Il documento che pubblichiamo di seguito è stato approvato dal Congresso mondiale 2023 della Tendenza marxista internazionale (TMI). In questo testo presentiamo le nostra prospettiva e la nostra analisi delle principali tendenze che stanno plasmando la politica mondiale e la lotta di classe in questo drammatico periodo di agonia del capitalismo.
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Viviamo in un periodo drammatico della storia mondiale. Per molti versi è davvero unico. Gli strateghi del capitale ne sono ben consapevoli. Come al solito, i più astuti tra loro giungono a conclusioni simili a quelle dei marxisti, anche se con un certo ritardo e senza una reale comprensione della natura dei problemi che descrivono, per non parlare delle soluzioni.
Un buon esempio di ciò è Larry Summers, un economista americano che è stato il 71° segretario del Tesoro degli Stati Uniti, dal 1999 al 2000, e ha descritto lo stato dell’economia mondiale come segue:
Posso ricordare momenti precedenti di uguale o addirittura maggiore gravità per l’economia mondiale, ma non riesco a ricordare momenti in cui c’erano così tanti aspetti separati e così tante controtendenze come in questo momento”.
Guardate cosa sta succedendo nel mondo: un problema inflazione molto significativo in gran parte del mondo, e certamente in gran parte del mondo sviluppato; una significativa stretta monetaria in corso; un enorme shock energetico, soprattutto nell’economia europea, che è sia uno shock reale, ovviamente, che uno shock inflazionistico; una crescente preoccupazione per la politica e la performance economica cinese, e in effetti anche per le sue intenzioni nei confronti di Taiwan; e poi, naturalmente, la guerra in corso in Ucraina” (Financial Times, 6 ottobre 2022).
Queste righe descrivono adeguatamente la situazione attuale, che non è cambiata sostanzialmente da quando sono state scritte. Gli esempi possono essere ripetuti a volontà. Riflettono con precisione il sentimento generale di pessimismo e disperazione che ha attanagliato gli strateghi del capitale, che vedono l’avvicinarsi del disastro ma non hanno un’idea chiara di come evitarlo.
Sarebbe infatti un esercizio inutile cercare negli economisti borghesi una qualche spiegazione a riguardo. Non sono stati in grado di prevedere né un crollo né un boom. Non hanno mai capito il passato, quindi perché dovrebbero capire il presente e ancor meno il futuro?
Nella situazione attuale, si può arrivare a una visione razionale solo con il metodo del pensiero dialettico: il metodo del marxismo. Questo ci fornisce un vantaggio colossale, distinguendoci da ogni altra tendenza della società. È ciò che ci rende unici. Di fatto, è l’unica cosa che ci dà il diritto di esistere come tendenza separata e distinta nel movimento operaio.
Sui punti di svolta
L’attuale crisi mondiale rappresenta chiaramente un punto di svolta nell’intera situazione. Ma si potrebbe dire che anche il 2008 è stato un punto di svolta. È vero, così come lo è stato il 1973: la prima recessione mondiale dalla seconda guerra mondiale.
In realtà, sono molte le situazioni che possono essere caratterizzate come punti di svolta, e possiamo rischiare di trasformare questa frase in qualcosa di abbastanza insignificante come una ripetizione banale.
Eppure il concetto è tutt’altro che privo di significato. Al contrario, contiene un’idea molto profonda. È in realtà un modo per esprimere la nozione di Hegel di linea nodale dello sviluppo, in cui una serie di piccoli cambiamenti (quantitativi) raggiunge un punto critico, in cui si verifica un cambiamento qualitativo.
Ogni punto di svolta ha caratteristiche comuni con il passato, ma anche peculiarità proprie. È necessario far emergere le particolarità della situazione e spiegare i cambiamenti concreti che ne derivano.
La crisi del 2008 ha colto di sorpresa gli economisti borghesi senza speranza. Per evitare un crollo come quello del 1929, i capitalisti hanno speso enormi somme di denaro pubblico per salvare le banche. Hanno pompato grandi quantità di denaro nell’economia. Le misure anti-panico adottate all’epoca erano necessarie per salvare il sistema ma hanno avuto conseguenze impreviste e disastrose.
Le politiche di cosiddetto quantitative easing hanno fatto sì che i tassi di interesse rimanessero estremamente bassi. Ma questa massiccia iniezione di capitale fittizio nel sistema ha inevitabilmente creato una serie di pressioni inflazionistiche.
Questo processo, tuttavia, non si è manifestato immediatamente a causa del crollo generale della domanda, compresi i consumi delle famiglie, gli investimenti delle imprese e la spesa pubblica. La diminuzione dei salari e l’aumento della disoccupazione hanno strangolato la domanda, che non poteva più essere compensata dal credito, dato che le persone erano già massicciamente indebitate.
Tuttavia, le pressioni inflazionistiche si sono espresse nel boom del mercato immobiliare e, in particolare, in un’esplosione della speculazione incontrollata nelle borse, insieme a fenomeni come le criptovalute, gli NFT e altre truffe speculative.
I limiti della globalizzazione
Per comprendere la situazione attuale, è necessario basarsi sugli aspetti fondamentali. Dobbiamo sempre tenere a mente i due principali ostacoli che impediscono il pieno sviluppo delle forze produttive: da un lato, la proprietà privata dei mezzi di produzione e, dall’altro, i limiti soffocanti dello stato nazione.
Tuttavia, il sistema capitalistico è come un organismo vivente, che può sviluppare alcuni meccanismi di difesa per perpetuare la propria esistenza. Marx spiega nel terzo volume del Capitale i modi in cui la borghesia può combattere la tendenza al calo del tasso di profitto. Uno dei modi principali è l’approfondimento e l’espansione del mercato attraverso l’aumento del commercio mondiale.
Più di 150 anni fa il Manifesto comunista indicava il dominio schiacciante del mercato mondiale. Questa è oggi la caratteristica più importante dell’epoca moderna.
L’avvento della globalizzazione ha mostrato il fatto che la crescita delle forze produttive ha superato gli angusti limiti dello stato nazionale. Ha aiutato i capitalisti a superare – almeno in parte – i limiti del mercato nazionale per un certo periodo.
Questa tendenza ha ricevuto un forte impulso dal crollo dell’URSS e dall’ingresso della Cina nell’arena del mercato mondiale capitalista. Anche altri paesi, non solo gli ex satelliti sovietici dell’Europa orientale, ma anche l’India, che cercava di bilanciarsi tra l’Unione Sovietica e gli Stati Uniti, si sono allineati.
Così, in un colpo solo, centinaia di milioni di persone sono entrate a far parte dell’economia mondiale capitalista, aprendo nuovi mercati e campi di investimento.
Questo (insieme a un’espansione senza precedenti del credito) è stato uno delle forze motrici più potenti dell’economia mondiale negli ultimi decenni. Il marcato aumento del commercio mondiale ha avuto come corollario un aumento del PIL mondiale.
Tuttavia, la globalizzazione non ha abolito le contraddizioni del capitalismo. Le ha solo riprodotte su una scala molto più ampia. E ora questo processo ha chiaramente raggiunto i suoi limiti.
La rapida crescita della produzione è stata preceduta da un’espansione ancora più rapida del commercio mondiale. Ora la globalizzazione si sta chiaramente arrestando e tutto improvvisamente torna indietro. Le conseguenze di questa inversione di tendenza sono quelle che stiamo vedendo. Secondo l’Organizzazione Mondiale del Commercio, nel 2023 il commercio mondiale crescerà solo dell’1%.
Invece della libera circolazione di beni e servizi, stiamo assistendo a una rapida discesa verso il nazionalismo economico. Si tratta di un parallelo molto allarmante con gli anni Trenta. È stato proprio l’aumento delle tendenze protezionistiche, l’aumento dei dazi, le svalutazioni competitive e simili politiche di danneggiamento dei propri vicini la vera causa della Grande Depressione. Non è affatto escluso che una situazione simile possa ripresentarsi.
Distorsioni del mercato
In un’economia capitalista, in ultima analisi, sono le forze di mercato a decidere. Le azioni dei governi possono distorcere e ritardare le forze di mercato, ma non possono mai eliminarle. La verità è che le economie capitalistiche avanzate non si sono mai riprese dalla crisi capitalista globale del 2007-2009.
Gli investimenti delle imprese private sono rimasti deboli e la crescita economica è stata lenta. D’altro canto, l’inflazione rimaneva bassa e le banche centrali hanno mantenuto i tassi di interesse a livelli minimi mai visti prima, estendendo la presa del capitale finanziario sulla vita economica. Questa è la chiave per comprendere la crisi attuale.
Alla vigilia della pandemia, la Federal Reserve, la BCE e la Banca del Giappone detenevano un’impressionante quantità di attività finanziarie pari a 15.000 miliardi di dollari, rispetto ai 3.500 miliardi del 2008. A questi hanno aggiunto altri 6.000 miliardi di dollari durante la pandemia nel tentativo di tenere a galla l’economia.
Gran parte di questo debito era costituito da titoli di Stato che le banche centrali avevano acquistato per mantenere bassi i costi del debito pubblico. Il livello di indebitamento – già piuttosto insostenibile – è aumentato enormemente, poiché i governi hanno preso in prestito ingenti somme per pagare le misure della crisi.
Questi stimoli governativi senza precedenti (salvataggi) e i lockdown hanno temporaneamente alterato i modelli di domanda dei consumatori e provocato il caos della catena di approvvigionamento, alimentando al contempo il fuoco dell’inflazione. Le implicazioni inflazionistiche di tutto ciò avrebbero dovuto essere visibili anche ai più ciechi tra i ciechi. Ma le hanno ignorate, sulla base del principio che:
Laddove l’ignoranza è una beatitudine, è follia essere saggi”.
Proprio come un tossicodipendente diventa sempre più dipendente dalle sostanze che offrono un immediato senso di euforia, così i governi, le aziende e le famiglie sono diventati dipendenti dalla prospettiva infinita di tassi di interesse prossimi allo zero.
Le distorsioni create dall’intervento pubblico non fanno altro che esacerbare le contraddizioni, che alla fine si scateneranno con forza e violenza raddoppiate.
È proprio quello a cui stiamo assistendo in questo momento. In un atto di disperazione, i governi hanno cercato di risolvere, prima la crisi del 2008, poi la pandemia di Covid e ora la crisi energetica spendendo grandi quantità di denaro che non possedevano, contribuendo all’attuale situazione caotica dell’economia mondiale.
Il ritorno dell’inflazione
Questo significa la fine di un sistema finanziario che si era abituato a bassi tassi di inflazione e di interesse. Gli effetti sono drammatici e dolorosi. Proprio come un tossicodipendente che è stato privato delle droghe da cui era dipendente, così ora i governi si trovano improvvisamente sconvolti di fronte all’impennata del costo dei prestiti.
Poiché non hanno alcuna comprensione della vera teoria economica, i borghesi si guardano intorno alla ricerca disperata di qualcuno da incolpare per la loro situazione, e trovano un capro espiatorio adatto in Vladimir Putin. Ma la guerra in Ucraina non è stata la causa della catastrofe inflazionistica. Ha solo aggiunto ulteriore benzina sul fuoco.
Dialetticamente, la causa diventa effetto e l’effetto, a sua volta, diventa causa. Sebbene la guerra non abbia causato la crisi, è certamente vero che ha aggravato enormemente il problema dell’inflazione e ha sconvolto il commercio mondiale.
Clausewitz fece la famosa affermazione che la guerra è solo la continuazione della politica con altri mezzi. Ma l’imperialismo statunitense ha introdotto una leggera modifica a questa definizione profondamente corretta. Ha trasformato il commercio in un’arma, punendo deliberatamente tutti i paesi che non si piegano alla sua volontà.
Nei tempi lontani in cui la sua marina dominava i mari, l’imperialismo britannico risolveva i suoi problemi inviando una cannoniera. Oggi, Washington invia una lettera dal Dipartimento del Commercio. Così, nelle condizioni moderne, il commercio diventa solo la continuazione della guerra con altri mezzi.
La Russia, uno dei maggiori esportatori di combustibili fossili, è stata deliberatamente esclusa dai mercati occidentali dalle sanzioni imposte dall’imperialismo statunitense e approvate dall’UE. Ciò ha provocato immediatamente una crisi energetica, che ha dato un ulteriore impulso all’aumento dei prezzi.
Come vedremo, le sanzioni imposte dall’imperialismo statunitense hanno fallito clamorosamente il loro obiettivo, che era quello di paralizzare l’economia russa e minare le sue operazioni militari in Ucraina. Ma hanno dato un nuovo potente impulso alla spirale inflazionistica in tutto il mondo. E, ironia della sorte, come un boomerang incontrollabile, il tutto ha colpito duramente anche gli Stati Uniti, sconvolgendo così tutti i calcoli di Biden, mentre Putin intascava tranquillamente i profitti derivanti dai prezzi alti e in crescita del petrolio e del gas.
Tutte le strade portano alla rovina
Le banche centrali si trovano di fronte a un grave dilemma. Hanno aumentato i tassi di interesse per frenare la domanda e quindi (così sperano) ridurre l’inflazione. Questa è la teoria che ha indotto la Federal Reserve statunitense ad aumentare i tassi, costringendo la maggior parte delle autorità monetarie a fare lo stesso.
Tali misure, di per sé, non possono fornire una cura sicura per la peste dell’inflazione, ma sicuramente renderanno inevitabile una recessione. Ciò significa mandare in bancarotta le imprese, provocare la chiusura di fabbriche, la perdita di posti di lavoro e tagli selvaggi del tenore di vita.
Si tratta di una ricetta bella e pronta per un’intensificazione della lotta di classe e per un violento contraccolpo politico. Significa saltare dalla padella nella brace.
Inoltre, una volta che l’economia entrerà in crisi, sarà difficile arrestare la spirale discendente di causa ed effetto che sfocerà in una recessione profonda, dalla quale sarà molto difficile uscire.
Il mondo intero si troverà così ad affrontare un periodo prolungato di stagnazione economica e di diminuzione del tenore di vita, con conseguenze sociali e politiche esplosive. In altre parole, nel sistema capitalista tutte le strade portano alla rovina.
Benzina sul fuoco
È impossibile essere precisi sul ritmo degli eventi. Ci sono troppi elementi accidentali in questa equazione. Ma ci sono alcune cose che possiamo dire con certezza. In particolare, tutto questo avrà inevitabilmente un impatto sulla coscienza.
Ciò vale soprattutto per la crisi del carovita. Per molte popolazioni è una questione di vita o di morte. Questo vale soprattutto per l’Africa, l’Asia e l’America Latina. Ma questi effetti non sono affatto limitati ai paesi arretrati. Si fanno sentire sempre di più anche nei paesi capitalisti avanzati dell’Europa e del Nord America.
Improvvisamente, le masse in Europa in particolare si trovano di fronte a un vero e proprio incubo rispetto al crollo del tenore di vita: i salari, che erano già mantenuti a livelli molto bassi, sono stati spinti ancora più giù a livelli mai visti da un’inflazione vertiginosa. Le pensioni e i risparmi si sono rapidamente svalutati. Le famiglie si sono trovate di fronte al penoso dilemma di scegliere tra riscaldare la casa e dar da mangiare ai figli.
Gli anziani, i malati e le persone più vulnerabili della società sono ora in pericolo di vita, mentre i governi tagliano le spese per i servizi sociali. E per la prima volta in molti decenni, la classe media si trova di fronte alla rovina.
Le piccole imprese sono portate al fallimento da una combinazione devastante di inflazione, aumento dei tassi di interesse degli affitti e dei mutui. E quando la recessione prenderà piede, la chiusura delle fabbriche significherà un forte aumento della disoccupazione e un crollo della domanda, che porterà a ulteriori fallimenti.
La crisi che i capitalisti si trovano ad affrontare è troppo profonda, le contraddizioni troppo grandi per essere risolte su base capitalistica. Non possono ripetere le politiche monetarie del periodo precedente.
Hanno esaurito tutte le loro cartucce nel tentativo di risolvere l’ultima crisi. Inoltre, queste tattiche sono responsabili della creazione dell’enorme montagna di debito che incombe sul mondo come una valanga minacciosa.
Ora saranno costretti a passare da una crisi all’altra, senza le armi necessarie per affrontarle. In un modo o nell’altro, prima o poi, i debiti dovranno essere ripagati. E il conto sarà presentato a coloro che meno possono permettersi di pagare.
Questo però, a sua volta, getta benzina sul fuoco della lotta di classe. Dopo un lungo periodo di calo del tenore di vita, la pazienza dei cittadini nei confronti dell’austerità si è esaurita e i tentativi di imporre nuove misure di austerità provocheranno una feroce resistenza.
Tutto ciò presenta un quadro allarmante per la classe dominante. Si nota già un fermento diffuso e una messa in discussione generale dell’ordine costituito. C’è ovunque il potenziale non solo per una ripresa della lotta operaia, ma anche per una reazione di massa contro il mercato, il sistema capitalistico e tutti i suoi effetti tra ampi strati della società.
Economia mondiale
Per molti mesi le pagine della stampa finanziaria sono state riempite dalle previsioni più pessimistiche. Cresce la sensazione che l’ordine mondiale venga messo in crisi, mentre la globalizzazione si trasforma nel suo contrario e la vecchia stabilità viene incrinata dalla guerra in Ucraina e dal conseguente caos nei mercati dell’energia.
I timori degli strateghi del capitale si sono riflessi in un discorso tenuto alla Georgetown University da Kristalina Georgieva, attualmente direttrice generale del FMI in cui ha osservato che:
Il vecchio ordine, caratterizzato dall’adesione a regole globali, dai bassi tassi d’interesse e dalla bassa inflazione, sta cedendo il passo a un ordine in cui «qualsiasi paese può finire fuori strada più facilmente e più spesso»“.
Stiamo vivendo un cambiamento fondamentale nell’economia globale, da un mondo di relativa prevedibilità… a un mondo con maggiore fragilità – maggiore incertezza, maggiore volatilità economica, scontri geopolitici e disastri naturali più frequenti e devastanti”.
I mercati finanziari mondiali forniscono una chiara indicazione della profondità della crisi. Secondo l’Economist:
Lo scompiglio dei mercati è di una portata che non si vedeva da una generazione. L’inflazione globale è a due cifre per la prima volta in quasi 40 anni. Dopo aver reagito con lentezza, la Federal Reserve sta ora aumentando i tassi di interesse al ritmo più veloce dagli anni ‘80, mentre il dollaro è al suo massimo da due decenni a questa parte, provocando il caos al di fuori dell’America. Se avete un portafoglio di investimenti o un fondo pensione, quest’anno è stato terribile. Le azioni globali sono scese del 25% in dollari, l’anno peggiore almeno dagli anni ‘80, e i titoli di stato sono in procinto di vivere l’anno peggiore dal 1949. Oltre a circa 40 mila miliardi di dollari di perdite, si avverte la sensazione che l’ordine mondiale sia in pericolo, mentre la globalizzazione si sta ritirando e il sistema energetico si è incrinato dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia”.
Questo nervosismo sui mercati è un barometro preciso del crollo della fiducia degli investitori, che vedono le nubi della tempesta addensarsi rapidamente sull’economia mondiale.
L’inarrestabile ascesa del dollaro
Gran parte del problema è l’inarrestabile ascesa del dollaro. Più che un’espressione di fiducia nella forza dell’economia statunitense, è un’indicazione della portata del panico che sta attanagliando i mercati.
Il biglietto verde è salito bruscamente, in parte perché la Fed sta aumentando i tassi, ma anche perché gli investitori vogliono ridurre il rischio. Gli investitori nervosi si guardano intorno alla ricerca di un rifugio sicuro per il loro denaro e pensano di averlo trovato nell’onnipotente dollaro.
Ma l’apprezzamento del dollaro è esso stesso un fattore di crisi dei mercati monetari a livello mondiale, in quanto schiaccia le altre valute nel suo abbraccio mortale. È al di fuori dell’America che gli effetti finanziari della stretta monetaria della Fed sono più gravi e dannosi. Come ha sottolineato il Financial Times (12 ottobre 2022):
Comunque la si chiami, le vittime del dollaro forte hanno in mente un colpevole: la Federal Reserve”.
In realtà, la Federal Reserve statunitense, fino all’ultimo momento, ha mostrato una indifferenza rilassata – sarebbe meglio dire supina – nei confronti dell’inflazione che, secondo la teoria dominante, era stata sconfitta.
Ma quando la spia rossa ha iniziato a lampeggiare con forza, la Fed è stata improvvisamente presa dal panico, operando numerosi rialzi dei tassi, anche se ciò equivaleva a inchiodare con l’auto in autostrada.
I rialzi dei tassi della Fed stanno spingendo la stessa economia statunitense verso una recessione. Era proprio questa l’intenzione. Tutti gli indicatori sono negativi. I prezzi delle case stanno scendendo, le banche stanno licenziando personale e FedEx e Ford, due aziende chiave per l’economia del paese, hanno lanciato un allarme sui profitti. È solo questione di tempo prima che il tasso di disoccupazione inizi a salire.
L’irresistibile ascesa del dollaro USA diventa immediatamente un importante fattore di destabilizzazione. Gli investitori internazionali sono allarmati dalla prospettiva che la Federal Reserve aumenti i tassi di interesse in modo così aggressivo da far precipitare la più grande economia del mondo in recessione. Ciò aggraverà la recessione che altre grandi economie stanno già affrontando e trascinerà con sé anche il resto del mondo.
I loro timori sono fondati. In tutto il mondo, l’aumento del dollaro sta facendo lievitare il costo delle importazioni e quello del rimborso del debito per i governi, le imprese e le famiglie che hanno contratto prestiti denominati in dollari. Tutti gli altri paesi si trovano costretti a marciare al passo con la Federal Reserve, aumentando i tassi di interesse ai livelli da essa dettati.
In tutta l’Asia, i governi sono stati costretti ad aumentare gli interessi e a dare fondo alle loro riserve per resistere al deprezzamento delle loro valute. India, Thailandia e Singapore sono intervenuti sui mercati finanziari per sostenere le loro valute. Escludendo la Cina, le riserve valutarie dei mercati emergenti sono diminuite di oltre 200 miliardi di dollari nell’ultimo anno, secondo la banca JPMorgan Chase, il calo più rapido degli ultimi due decenni.
Questo ha gravi ripercussioni, non solo economiche ma anche politiche. La Cina ha risposto proiettando la propria valuta come mezzo di scambio alternativo, in particolare per il petrolio.
Massicci debiti statali
Le economie indebitate dell’eurozona sono state spinte sempre più sull’orlo della bancarotta. Ora si trovano in una posizione ancora peggiore di quella in cui si trovavano con la crisi del debito sovrano un decennio fa.
Josep Borrell, a capo della politica estera dell’UE, ha avvertito che la Fed sta esportando la recessione nello stesso modo in cui la crisi dell’euro è stata imposta dalle politiche della Germania dopo il 2008.
“Gran parte del mondo rischia ora di diventare la Grecia”, ha esclamato.
In Europa la situazione si è aggravata quando la Gran Bretagna ha gettato benzina sul fuoco con una politica fiscale sconsiderata, che ha immediatamente scatenato il panico sui mercati finanziari.
La necessità si è rivelata attraverso un incidente casuale. La crisi in Gran Bretagna e le misure di riduzione delle tasse dell’amministrazione di breve durata della Truss nell’ottobre 2022 hanno agito come un catalizzatore, gettando nel panico i mercati finanziari, il che avrebbe potuto facilmente estendersi all’intero sistema monetario globale.
I mercati monetari internazionali hanno accolto la notizia con un misto di rabbia, incredulità e allarme. In effetti Liz Truss ha lanciato una bomba a mano su un barile di tritolo pronto a esplodere al minimo movimento.
Il FMI ha sferrato un duro attacco al piano del Regno Unito di portare avanti 45 miliardi di sterline di tagli fiscali finanziati dal debito. Ha funzionato. Il governo Truss è stato costretto a un’umiliante ritirata. Il Ministro delle Finanze, Kwasi Kwarteng, è stato licenziato e il suo disegno di legge di bilancio è stato gettato nella spazzatura. Poco dopo, la stessa Truss è stata cacciata e i mercati si sono temporaneamente stabilizzati. Ma il danno era già stato fatto.
Una volta persa, la credibilità finanziaria è piuttosto difficile da ripristinare, e la reputazione della Gran Bretagna come potenza mondiale ora giace nel fondo dell’oceano. Il Regno Unito, che in passato godeva di un rating creditizio esemplare, è stato ora declassato ed è considerato alla stregua dell’Italia, afflitta dal debito e dalla crisi.
Ma questo è stato il risultato meno importante di questa vicenda. Le implicazioni si sono estese ben oltre le coste britanniche.
Un parallelo allarmante con gli anni Trenta
La Brexit è stata l’indicazione più chiara delle conseguenze del nazionalismo economico. E la condotta del governo britannico in questa vicenda è servita da monito per le conseguenze pericolose di questo fenomeno.
La premiership breve e rovinosa di Liz Truss in Gran Bretagna ha dimostrato che prendere in prestito molto denaro in un periodo di inflazione e tassi in aumento non è consigliabile. Ma qual è l’alternativa?
Larry Summers, di cui abbiamo già segnalato l’allarme per la situazione attuale, ha dichiarato al Financial Times:
“La destabilizzazione provocata dagli errori britannici non si limiterà alla Gran Bretagna”.
E questo è il punto. I prezzi dei titoli di paesi come gli Stati Uniti e l’Italia hanno subito violente oscillazioni in risposta a ogni svolta della storia intricata che arrivava da Londra.
Non è stato un caso. Un crollo finanziario a Londra – che, nonostante il declino della Gran Bretagna, rimane uno dei centri finanziari più importanti del mondo – avrebbe potuto avere lo stesso effetto della crisi del 1931, solo su scala molto più ampia.
Anche se oggi è generalmente dimenticato, la grande depressione in Europa fu innescata dal crollo della banca viennese Creditanstalt nel maggio 1931, il che diede inizio a un effetto domino che si diffuse rapidamente in tutti i mercati finanziari europei e non solo.
Questo fu l’innesco della grande spirale deflazionistica in Europa tra il 1931 e il 1933. La storia può facilmente ripetersi, soprattutto perché l’economia mondiale è molto più integrata e interdipendente di allora.
Il fattore Ucraina
La guerra in Ucraina è diventata un fattore importante nelle prospettive mondiali. Tuttavia, per avere un’idea chiara delle questioni in gioco e di come si potrebbero dipanare, è necessario concentrare la nostra attenzione sui processi fondamentali, senza farsi distrarre dal baccano della guerra mediatica o dalle inevitabili vicissitudini sul campo di battaglia.
I media mainstream hanno ripetuto costantemente le affermazioni sulla sconfitta della Russia. Ma ciò non corrisponde ai fatti noti.
Il punto più importante è che si tratta di una guerra per procura tra la Russia e l’imperialismo statunitense. La Russia non sta combattendo contro l’esercito ucraino, ma contro un esercito della NATO, cioè contro l’esercito di uno stato che non è formalmente membro dell’alleanza, ma che è finanziato, armato, addestrato ed equipaggiato dalla NATO, che gli fornisce anche supporto logistico e informazioni vitali.
“Politica con altri mezzi”
Come abbiamo già ripetuto altre volte, la guerra è solo la continuazione della politica con altri mezzi. La guerra attuale finirà quando i fini politici degli attori principali saranno soddisfatti o quando una o entrambe le parti saranno esauste e perderanno la volontà di continuare a combattere.
Quali sono questi obiettivi? Gli obiettivi di guerra di Zelenskij non sono un segreto. Sostiene che non si accontenterà di nulla di meno che della completa espulsione dell’esercito russo da tutto il territorio ucraino, compresa la Crimea.
Questa posizione è stata sostenuta con entusiasmo dai falchi della coalizione occidentale: i polacchi, gli svedesi e i leader degli stati baltici – che hanno in mente i loro interessi – e, naturalmente, gli sciovinisti e guerrafondai più idioti di Londra, che immaginano che la Gran Bretagna, anche nel suo attuale stato di bancarotta economica, politica e morale, sia ancora una grande potenza mondiale.
Questi squilibrati hanno spinto gli ucraini ad andare più in là, molto più in là di quanto gli americani avrebbero gradito. Il loro desiderio più ardente è quello di vedere l’esercito ucraino cacciare i russi, non solo dal Donbass ma anche dalla Crimea, provocando il rovesciamento di Putin e la totale sconfitta e il completo smembramento della Federazione Russa (anche se non ne parlano spesso in pubblico).
Anche se fanno molto baccano, nessuna persona seria presta la minima attenzione alle buffonate dei politici di Londra, Varsavia e Vilnius. In quanto leader di stati di secondo piano che non hanno alcun peso reale nella bilancia della politica internazionale, rimangono attori di secondo piano che non potranno mai giocare più di un ruolo secondario in questo grande dramma.
Sono gli Stati Uniti a pagare i conti e a dettare tutto quello che succede. E almeno gli strateghi più sobri dell’imperialismo statunitense sanno che tutto questo delirio è solo aria fritta. In determinate condizioni, gli stati imperialisti più piccoli possono svolgere un certo ruolo nello svolgimento degli eventi, ma in ultima analisi è Washington a decidere.
Nonostante tutte le dimostrazioni pubbliche di spavalderia, gli strateghi militari seri hanno capito che per l’Ucraina è impossibile sconfiggere la Russia. Il generale Mark A. Milley è il capo di stato maggiore e l’ufficiale più alto in grado delle forze armate degli Stati Uniti. Le sue opinioni devono quindi essere prese molto sul serio quando dice:
Quindi, in termini di probabilità, la probabilità di una vittoria militare ucraina, definita come cacciare i russi da tutta l’Ucraina per includere quella che definiscono o che sostengono essere la Crimea, la probabilità che questo accada in tempi brevi non è alta, dal punto di vista militare”.
Il punto più importante da cogliere è che gli obiettivi bellici di Washington non coincidono con quelli degli uomini di Kiev, che da tempo hanno ceduto la loro cosiddetta sovranità nazionale al loro Boss dall’altra parte dell’Atlantico, e che non decidono più nulla da soli.
L’obiettivo dell’imperialismo statunitense non è – e non è mai stato – quello di difendere un solo centimetro di territorio ucraino o di aiutare gli ucraini a vincere una guerra, o in qualsiasi altro modo.
Il loro vero obiettivo è molto semplice: indebolire la Russia militarmente ed economicamente; dissanguarla e infliggerle danni; uccidere i suoi soldati e rovinare la sua economia, in modo che la Russia non opponga più alcuna resistenza al dominio americano sull’Europa e sul mondo.
È stato questo l’obiettivo che li ha indotti a spingere gli ucraini in un conflitto del tutto inutile con la Russia per l’adesione alla NATO. Dopo aver imposto questo conflitto, si sono seduti a guardare lo spettacolo delle due parti che si azzuffavano, a una distanza di sicurezza di diverse migliaia di chilometri.
A prescindere da tutte le loro proteste pubbliche, gli ipocriti imperialisti sono del tutto indifferenti alle sofferenze del popolo ucraino, che considerano come una semplice pedina sullo scacchiere locale della loro lotta di potere con la Russia.
Va anche notato che, fino ad oggi, l’Ucraina non è stata ammessa all’UE o alla NATO, che avrebbe dovuto essere il nodo centrale dell’intera vicenda. Non è un caso.
L’attuale conflitto fa comodo agli interessi americani sotto molti aspetti. Favorisce il loro obiettivo di creare un cuneo tra l’Europa e la Russia, portando così la prima sotto il suo dominio. A questo proposito, la guerra ha già dato dei risultati. L’intreccio economico tra l’UE e la Russia, in particolare per quanto riguarda l’energia, è gravemente compromesso, il che colpisce in modo significativo l’economia più forte dell’UE, la Germania. Il commercio di gas naturale attraverso il Mar Baltico è stato reso fisicamente impraticabile grazie al sabotaggio dei gasdotti NordStream da parte di enti statali. L’aumento dei costi dell’energia consente agli Stati Uniti di esercitare ulteriori pressioni sull’industria dell’UE, in particolare su quella tedesca. Gli americani hanno il lusso di coinvolgere il loro nemico in una guerra in cui nessun soldato americano è coinvolto (almeno in teoria), e tutti i combattimenti e le morti sono cortesemente sulle spalle di altri.
Se l’Ucraina fosse un membro della NATO, ciò significherebbe che le truppe da combattimento americane finirebbero in una guerra europea, combattendo contro l’esercito russo. Nel frattempo, i principali paesi dell’UE non hanno né l’interesse né la possibilità di ammettere l’Ucraina nell’UE. Ciò significherebbe il crollo dell’equilibrio economico e politico del già fragilissimo tessuto dell’Unione. No, molto meglio lasciare le cose come stanno.
Quando Zelenskij si lamenta che i suoi alleati occidentali non gli inviano tutte le armi di cui ha bisogno per vincere la guerra, non ha torto. Gli americani gli stanno inviando armi sufficienti per far proseguire la guerra, ma non abbastanza per ottenere qualcosa che assomigli a una vittoria decisiva. Questo è completamente in linea con i veri obiettivi di guerra dell’America.
Le sanzioni sono fallite
Le sanzioni imposte alla Russia dopo l’invasione dell’Ucraina sono state un fallimento spettacolare. Infatti, il valore delle esportazioni russe è effettivamente cresciuto dall’inizio della guerra.
Sebbene il volume delle importazioni russe sia crollato a causa delle sanzioni, diversi paesi (Cina, India, Turchia, ma anche alcuni membri dell’UE, come Belgio, Spagna e Paesi Bassi) hanno aumentato il loro commercio con la Russia. Inoltre, gli alti prezzi del petrolio e del gas hanno compensato le entrate che la Russia ha perso a causa delle sanzioni. India e Cina hanno acquistato molto più greggio, anche se a prezzi scontati.
Così, la perdita di reddito derivante dalle sanzioni è stata compensata dall’aumento del prezzo del petrolio e del gas sui mercati mondiali. Vladimir Putin continua a finanziare i suoi eserciti con questi proventi, mentre l’Occidente si trova di fronte alla prospettiva di un’instabilità energetica nei prossimi anni, con un’impennata delle bollette energetiche e un aumento della rabbia della popolazione.
Indebolimento del sostegno alla guerra
La domanda è: quale parte si stancherà prima della guerra? È chiaro che il tempo non è dalla parte dell’Ucraina, né dal punto di vista militare né da quello politico. E in ultima analisi, sarà quest’ultimo a pesare maggiormente sulla bilancia.
L’inverno, in cui l’Europa è stata colpita da una grave carenza di gas ed elettricità, avrà indebolito il sostegno pubblico alla guerra in Ucraina. Il clima più caldo non darà tregua, mentre l’attenzione si sposta sul problema impossibile di ricostituire le scorte di gas in tempo per il prossimo anno senza le forniture russe. Ogni mese che le sanzioni continuano, cresce la preoccupazione per il prossimo inverno. Anche il sostegno americano non può essere dato per scontato. In pubblico, gli americani mantengono l’idea del loro incrollabile sostegno all’Ucraina, ma in privato non sono affatto convinti dell’esito della guerra. Dietro le quinte, Washington ha esercitato pressioni su Zelenskij affinché negoziasse con Putin.
In pratica, però, il successo dell’offensiva ucraina del settembre 2022 e il ritiro russo da Kherson hanno complicato la situazione sullo scacchiere diplomatico.
Da un lato, Zelenskij e le forze rabbiose nazionaliste e apertamente fasciste dell’apparato statale sono diventati baldanzosi per le loro vittorie inaspettate e desideravano andare molto oltre. Dall’altro lato, le battute d’arresto militari hanno rappresentato un colpo umiliante per Putin, che ha tratto la conclusione di dover intensificare la sua “operazione militare speciale”. Al momento, quindi, nessuna delle due parti è in grado di negoziare qualcosa di significativo. Ma le cose cambieranno.
La demagogia di Zelenskij, che ripete costantemente che non cederà mai un centimetro di territorio, è chiaramente finalizzata a fare pressione sulla NATO e sull’imperialismo statunitense; insiste sul fatto che gli ucraini combatteranno fino alla fine, sempre a condizione che l’Occidente continui a inviare enormi quantità di denaro e armi.
Biden vorrebbe prolungare l’attuale conflitto per indebolire e minare la Russia. Ma non ad ogni costo, e certamente non se ciò comportasse uno scontro militare diretto con la Russia. Nel frattempo, un sondaggio dopo l’altro mostra che l’opinione pubblica occidentale, a sostegno della guerra in Ucraina, sta lentamente diminuendo.
Guerra nucleare?
L’accenno di Putin a prendere in considerazione l’uso di armi nucleari era quasi certamente un bluff, ma ha suscitato l’allarme della Casa Bianca. Parlando a una raccolta fondi a New York, Biden ha detto che il presidente russo “non sta scherzando” sul “potenziale uso di armi nucleari tattiche o di armi biologiche o chimiche perché le sue forze armate sono, si può dire, significativamente poco efficienti”.
A seguito della minaccia nucleare, sono iniziati negoziati segreti tra Washington e Mosca. Questo è stato il bacio della morte per la parte ucraina, che è sempre più disperata e cercava qualsiasi scusa per inscenare una provocazione che sperava avrebbe finalmente trascinato la NATO a partecipare direttamente alla guerra.
Ciò sottolinea i pericoli impliciti se si lascia che la guerra continui. Ci sono troppi elementi incontrollabili in gioco, che potrebbero dare origine a quel tipo di spirale discendente che potrebbe portare a una vera e propria guerra tra la NATO e la Russia.
Il pericolo di tali sviluppi è stato sottolineato nel novembre 2022, quando il mondo è rimasto scioccato dalla dichiarazione del presidente polacco secondo cui il suo paese era stato colpito da missili di fabbricazione russa, con i media occidentali che sostenevano ci fosse dietro la Russia.
Questa menzogna è stata presto smascherata quando è stato rivelato dallo stesso Pentagono che il missile che ha colpito una struttura cerealicola polacca in una fattoria vicino al villaggio di Przewodow, nei pressi del confine con l’Ucraina, era stato sparato dall’esercito ucraino.
La NATO e i polacchi si sono affrettati a spiegare che si è trattato di “un deplorevole incidente”. Ma nonostante si trattasse di un missile antiaereo S-300 con una gittata molto limitata, che difficilmente avrebbe potuto essere lanciato dalla Russia, Zelenskij ha mentito spudoratamente e ha insistito che si trattava di un attacco deliberato da parte della Russia. Sperava che ciò gli avrebbe fornito una potente leva per chiedere più armi e denaro. E nel migliore dei casi (dal suo punto di vista) avrebbe potuto spingere la NATO ad adottare misure di ritorsione contro la Russia, con conseguenze interessanti.
Se quell’incidente fosse servito a spingere la NATO ad agire contro la Russia, avrebbe potuto innescare una catena inarrestabile di eventi che avrebbe potuto portare ad una guerra totale. Non c’è dubbio alcuno che a Zelenskij farebbe molto comodo che la NATO entrasse in guerra, togliendogli così le castagne dal fuoco.
Una conflagrazione generale in Europa sarebbe stata un incubo per milioni di persone. Ma per Zelenskij e la sua cricca sarebbe stata la risposta a tutte le loro preghiere. Naturalmente sarebbe stato impossibile per gli americani rimanere in disparte, a scaldarsi le mani davanti a un camino.
Ci sarebbero dovute essere truppe americane sul campo. Un’ottima notizia dal punto di vista del regime di Kiev, ma non da quello della Casa Bianca e del Pentagono. Questo non faceva parte del copione!
Gli americani non hanno intenzione di lasciare che le cose arrivino a quel punto. Un confronto diretto tra la NATO e la Russia, con tutte le sue implicazioni nucleari, sarà evitato da entrambe le parti a tutti i costi. È proprio per questo motivo che gli americani hanno aperto diversi canali per scongiurare qualsiasi possibilità di sviluppi incontrollati. In effetti, stanno cercando di porre limiti precisi all’attuale guerra e di aprire la strada ai negoziati.
L’America chiede di dialogare
La realtà della situazione non sfugge ai seri strateghi militari di Washington. Il generale Milley, capo di stato maggiore, ha invitato Zelenskij a iniziare un dialogo con la Russia.
Milley ha detto che potrebbe esserci la possibilità di negoziare la fine del conflitto se e quando le linee del fronte si stabilizzeranno durante l’inverno:
Quando c’è un’opportunità di negoziare, quando si può raggiungere la pace, coglietela”, ha detto Milley. “Cogliete il momento”.
Ma se i negoziati non si concretizzassero o fallissero, Milley ha dichiarato che gli Stati Uniti continuerebbero ad armare l’Ucraina, anche se una vera vittoria militare per entrambe le parti appare sempre più improbabile.
Ci deve essere un riconoscimento reciproco del fatto che la vittoria militare probabilmente, nel vero senso della parola, non è raggiungibile con mezzi militari, e quindi è necessario rivolgersi ad altri mezzi”, ha detto.
Questa è l’autentica voce dell’imperialismo statunitense. E questo, non le dichiarazioni retoriche di Zelenskij, è ciò che determina in ultima analisi il destino dell’Ucraina.
Washington è sempre stata riluttante a fornire a Kiev il tipo di armamento avanzato richiesto. L’obiettivo è quello di inviare a Mosca il segnale che gli Stati Uniti non sono disposti a fornire armi che potrebbero aggravare il conflitto, creando il potenziale per uno scontro militare diretto tra Russia e NATO.
È anche un avvertimento a Zelenskij che c’erano limiti precisi alla disponibilità degli Stati Uniti a continuare a pagare il conto di una guerra costosa senza una chiara conclusione in vista.
Stanchezza sull’Ucraina
Nel primo mese di guerra, gli ucraini erano disposti a negoziare con la Russia. Da allora, Zelenskij ha rifiutato del tutto l’idea dei negoziati. Ha ripetuto più volte che l’Ucraina è disposta ad avviare negoziati con la Russia solo se le sue truppe lasceranno tutte le parti dell’Ucraina, compresa la Crimea e le aree orientali del Donbass, controllate de facto dalla Russia dal 2014, e se i russi che hanno commesso crimini in Ucraina saranno processati.
Zelenskij ha anche chiarito che non intende negoziare con l’attuale leadership russa. Ha persino firmato un decreto che specifica che l’Ucraina negozierà solo con un presidente russo che sia succeduto a Vladimir Putin.
Queste dichiarazioni di sfida hanno causato molta irritazione a Washington. Il Washington Post ha rivelato che funzionari statunitensi hanno avvertito in privato il governo ucraino che la “stanchezza sull’Ucraina” tra gli alleati potrebbe peggiorare se Kiev continuerà a non negoziare con Putin.
I funzionari hanno detto al giornale che la posizione dell’Ucraina sui negoziati con la Russia è sempre meno accettata dagli alleati, preoccupati per gli effetti economici di una guerra prolungata.
Al momento in cui scriviamo, gli Stati Uniti hanno fornito all’Ucraina aiuti per 65 miliardi di dollari e sono pronti a darne altri, affermando che sosterranno l’Ucraina “per tutto il tempo necessario”. Tuttavia, gli alleati in alcune parti d’Europa, per non parlare dell’Africa e dell’America Latina, sono preoccupati per la tensione che la guerra sta esercitando sui prezzi dell’energia e dei prodotti alimentari e sulle catene di approvvigionamento. “La stanchezza sull’Ucraina è una cosa reale per alcuni dei nostri partner”, ha detto un funzionario statunitense.
Naturalmente, gli americani non possono ammettere pubblicamente di aver esercitato pressioni su Zelenskij. Al contrario, mantengono un’apparenza di ferma solidarietà con Kiev. Ma in realtà, la facciata presenta crepe profonde.
Per la leadership ucraina, l’accettazione della richiesta statunitense significherebbe un’umiliante ritirata dopo tanti mesi di retorica bellicosa sulla necessità di una decisiva sconfitta militare della Russia per garantire la sicurezza a lungo termine dell’Ucraina.
La serie di successi sul campo di battaglia, prima nella regione nord-orientale di Kharkiv e poi con la presa di Kherson, ha incoraggiato Zelenskij a credere nella possibilità di una “vittoria finale”. Ma gli americani hanno una comprensione migliore della realtà e sanno bene che il tempo non è necessariamente dalla parte dell’Ucraina.
Putin rischia di essere rovesciato?
La macchina della propaganda occidentale ripete costantemente che Putin sarà presto rovesciato dal popolo russo, stanco della guerra. Ma questo è solo un pio desiderio. Si basa su un’idea sbagliata di fondo. In realtà, Putin ha usato con successo la guerra per interrompere lo sviluppo della lotta di classe e l’insoddisfazione di massa. Insieme all’aumento della repressione, questo ha fornito al regime una tregua temporanea. Al momento, Putin ha ancora una base abbastanza ampia di sostegno, che negli ultimi mesi è ulteriormente cresciuta. Non c’è alcun pericolo immediato di un suo rovesciamento.
In Russia non esiste un movimento significativo contro la guerra e quello che c’è è guidato e diretto da elementi borghesi liberali. È proprio questa la sua principale debolezza. I lavoratori guardano le credenziali filo-occidentali di questi elementi e si allontanano con irritazione.
La guerra ha il sostegno della maggioranza, anche se alcuni hanno dei dubbi. L’imposizione di sanzioni e il flusso costante di propaganda anti-russa in Occidente, e il fatto che la NATO e gli americani stiano fornendo armi moderne all’Ucraina, confermano il sospetto che la Russia sia assediata dai suoi nemici. È qualcosa di cui il regime si serve per aggregare la popolazione attorno a sé.
Nella sua propaganda di guerra, Vladimir Putin cerca di invocare la memoria della lotta sovietica contro la Germania nazista e l’odio di lunga data del popolo russo nei confronti dell’imperialismo occidentale che mescola con lo sciovinismo reazionario della grande Russia. Inquadra la guerra in Ucraina come una guerra contro l’imperialismo occidentale, per la denazificazione del regime di Kiev e per la difesa della minoranza russofona in Ucraina. difesa della minoranza russofona in Ucraina. Tutto questo è, ovviamente, pura demagogia.
Il regime di Putin non ha assolutamente nulla di progressista. Non è né antimperialista, né antifascista, né amico dei lavoratori. Non è un segreto, ad esempio, che unità con chiare simpatie neonaziste e di estrema destra operino apertamente come parte delle forze armate russe, in particolare nelle milizie della Wagner.
Con il Partito Comunista Russo che assume una posizione infida, nazionalista e patriottica e nazionalista e patriottico e che fornisce una copertura a sinistra per il grande nazionalismo russo di Putin, i lavoratori russi non trovano alcuna alternativa politica che rappresenti i loro interessi in opposizione al regime e alla sua guerra
L’unica pressione su Putin non proviene da un movimento contro la guerra, ma al contrario dai nazionalisti russi e da altri che vogliono che la guerra sia portata avanti con maggiore forza e determinazione. Tuttavia, se la guerra si trascina a lungo senza prove significative di un successo militare russo, le cose possono cambiare.
All’inizio di novembre, più di 100 coscritti della Repubblica ciuvascia in Russia hanno organizzato una protesta nell’oblast’ di Ulyanov perché non avevano ricevuto i pagamenti promessi da Putin.
Un piccolo sintomo, senza dubbio. Ma se l’attuale conflitto si prolunga, potrebbe moltiplicarsi su scala molto più grande, rappresentando una minaccia non solo per la guerra, ma per il regime stesso.
Un sintomo ancora più significativo è rappresentato dalle proteste delle madri dei soldati uccisi in Ucraina. Queste ultime sono ancora di piccole dimensioni e si concentrano principalmente nelle repubbliche orientali come il Daghestan, dove gli alti livelli di disoccupazione hanno fatto sì che un gran numero di giovani si offrisse volontario per l’esercito.
Se la guerra continua e il numero di morti aumenta, potremmo assistere a proteste di madri a Mosca e a Pietroburgo, che Putin non potrà ignorare e non sarà in grado di reprimere. Questo segnerebbe senza dubbio un cambiamento nell’intera situazione. Ma non si è concretizzato, per il momento.
Le riserve della Russia
Con la loro opposizione alla guerra fin dal suo inizio, i marxisti russi hanno assunto una posizione di principio in condizioni di repressione estremamente difficili e sotto il fuoco della propaganda di Stato. Il loro compito è innanzitutto quello di smascherare la demagogia di Putin, che è solo una copertura per gli interessi reazionari degli oligarchi capitalisti – i principali nemici dei lavoratori e dei poveri russi.
Allo stesso tempo, devono opporsi all’imperialismo occidentale, ai liberali pro-Kiev all’estero e ai cosiddetti media indipendenti che fungono da loro portavoce in Russia. Andare oggi controcorrente e mantenere una posizione di classe indipendente preparerà i marxisti russi a fare enormi passi avanti quando la marea comincerà a cambiare.
Sebbene la rivoluzione non sia immediatamente all’ordine del giorno, la guerra sta indubbiamente sollevando tante questioni nel profondo del proletariato e preparando enormi convulsioni sociali per il futuro.
L’obiettivo dichiarato della Russia era “impedire l’adesione alla NATO e smilitarizzare e de-nazificare l’Ucraina”, inoltre Putin voleva un governo neutrale o filo-russo a Kiev. Ciò significherebbe, di fatto, eliminare l’Ucraina come Stato nazionale indipendente.
Ma Putin ha chiaramente sbagliato i calcoli e i russi non avevano forze sufficienti per raggiungere questi obiettivi. Anche il compito di mantenere le conquiste nel Donbas si è rivelato difficile, come ha dimostrato chiaramente l’offensiva ucraina di inizio settembre.
Ma gli insuccessi al fronte hanno agito da stimolo necessario per riadattarsi. Hanno preso provvedimenti per mobilitare le forze necessarie per fare ciò di cui c’è bisogno.
La Russia ha portato avanti una mobilitazione di massa. L’invio di 300.000 truppe fresche russe al fronte cambierà radicalmente l’equilibrio delle forze.
L’argomento spesso ripetuto che i russi sono a corto di munizioni è del tutto falso. La Russia ha una industria degli armamenti grande e importante. Ha scorte molto considerevoli di armi e munizioni.
È vero che le loro scorte dei missili più moderni a precisione millimetrica sono limitate e si esauriranno. Ma non mancano altri missili, perfettamente adeguati alle normali attività sul campo di battaglia.
Nel frattempo, i russi continuano a polverizzare obiettivi in tutta l’Ucraina con artiglieria, razzi, droni e missili, distruggendo centri di comando militari, nodi di trasporto e infrastrutture, il che ostacolerà seriamente il movimento di truppe e armi al fronte.
E ora?
L’affermazione di Napoleone secondo cui la guerra è la più complessa delle equazioni conserva tutta la sua forza. La guerra è un’immagine in movimento con molte varianti imprevedibili e scenari possibili.
La variante che è stata avanzata con fiducia dalla macchina propagandistica occidentale fin dall’inizio delle ostilità sembrava essere convalidata dal successo dell’offensiva ucraina nel settembre 2022 e successivamente dal ritiro russo dalla parte occidentale di Kherson.
Tuttavia, dobbiamo guardarci dalle conclusioni impressionistiche tratte da un numero limitato di eventi. L’esito delle guerre è raramente deciso da una singola battaglia – o anche da un numero maggiore di battaglie.
La domanda è: questa vittoria, o quell’avanzata, ha alterato materialmente l’equilibrio di forze sottostante, l’unico che può determinare il risultato finale? Queste domande fondamentali devono ancora essere determinate. Sono possibili esiti diversi, a seconda di come si svilupperanno le condizioni sia in Russia, da un lato, sia in Ucraina e per i suoi padroni occidentali, dall’altro.
La Russia ha aumentato le sue forze a est, rafforzando la sua presenza militare in Bielorussia e intensificando i bombardamenti aerei sia su obiettivi militari che sulle infrastrutture ucraine, già indebolite.
Il degrado delle infrastrutture è arrivato al punto che si parla addirittura di evacuare le principali città – tra cui Kiev – che stanno diventando inabitabili a causa dell’interruzione delle forniture di energia e acqua.
È difficile stabilire a che punto questa distruzione inizierà a minare la volontà di resistenza. L’esperienza storica indica che i bombardamenti aerei da soli non possono mai vincere le guerre.
Anzi, a breve termine, avrà l’effetto opposto, accrescendo l’odio verso il nemico e aumentando lo spirito di resistenza. Ma tutte le cose hanno un limite. Oltre un certo punto, si instaura un sentimento generale di logoramento per la guerra e si indebolisce la volontà di continuare a combattere.
Finora gli ucraini hanno dimostrato un notevole livello di resistenza. Ma non è chiaro fino a quando il morale della popolazione civile e dei soldati al fronte potrà essere mantenuto.
Tuttavia, non appena aumenteranno le richieste di pace, si creeranno gravi spaccature nello strato dirigente di Kiev tra i nazionalisti di destra, che vogliono combattere fino alla fine, e gli elementi più pragmatici, che vedono che un’ulteriore resistenza porterà solo alla distruzione totale dell’Ucraina e che una sorta di accordo negoziale è l’unica via d’uscita.
Qualunque sia il risultato, non si può parlare di un ritorno allo status quo in Europa. È sorto un nuovo periodo di estrema instabilità, guerre, guerre civili, rivoluzioni e controrivoluzioni.
Relazioni internazionali
Il mondo sta subendo cambiamenti che assomigliano agli spostamenti spettacolari delle placche tettoniche in geologia. Tali spostamenti sono sempre accompagnati da terremoti.
Questi cambiamenti politici e diplomatici hanno lo stesso effetto. Già prima della guerra, l’arretramento della globalizzazione e il conseguente aumento del nazionalismo economico avevano portato a un inasprimento dei conflitti tra le diverse potenze.
Ma il conflitto ucraino ha esacerbato enormemente tutte le tensioni e approfondito tutte le contraddizioni. Come conseguenza di tutto ciò, stiamo assistendo a un cambiamento profondo nelle relazioni internazionali.
Ne è il segno più evidente il fatto che la Cina si sia avvicinata molto alla Russia, in quanto entrambe sono in competizione con l’imperialismo statunitense.
Il ruolo della Cina nella guerra in Ucraina è stato mascherato con il pretesto di sostenere una “pace negoziata”.
Per la classe dominante cinese, questa guerra è un disturbo sgradito delle vantaggiose relazioni commerciali che ha costruito negli ultimi 30 anni, poiché non si sente ancora pronta a un confronto diretto con il rivale statunitense.
Dietro questo cosiddetto pacifismo ci sono però chiari paletti: l’inammissibilità di una destabilizzazione della Federazione Russa a seguito di una sconfitta militare. Una tale sconfitta espanderebbe l’influenza dell’imperialismo statunitense e farebbe perdere alla Cina un partner prezioso nel suo conflitto strategico con gli Stati Uniti e i loro alleati. È chiaro che senza l’aiuto cinese per aggirare le sanzioni occidentali, la Russia si troverebbe in una situazione molto peggiore per quanto riguarda la conduzione della guerra.
Russia
La Russia è una potenza imperialista regionale. Ma il suo possesso di enormi riserve di petrolio, gas e altre materie prime, la sua forte base industriale e il suo avanzato complesso militare-industriale, insieme al suo potente esercito e al suo arsenale di armi nucleari, si combinano per darle una dimensione globale che la porta a scontrarsi con l’imperialismo USA.
Storicamente, l’Ucraina era pienamente integrata nell’economia dell’Unione Sovietica. Dopo la restaurazione capitalista, questi legami economici sono rimasti, rendendo l’Ucraina una risorsa economica fondamentale per il capitalismo russo. Esistono anche legami culturali e geografici che sono parte integrante dell’ideologia reazionaria del grande sciovinismo russo. Gli oligarchi russi vedono il controllo occidentale sul regime di Kiev come una minaccia diretta economica, politica e militare. Dietro la propaganda di Stato russa, la cricca del Cremlino nasconde il suo stretto interesse a riprendere il controllo sull’Ucraina e a soggiogarla per i propri fini.
Washington vede la Russia come una minaccia ai suoi interessi globali, soprattutto in Europa. I vecchi odi e sospetti nei confronti dell’Unione Sovietica non sono scomparsi con il crollo dell’URSS. Joe Biden è un esempio lampante di quella generazione di russofobi che è un residuo dagli anni della Guerra Fredda.
Dopo il crollo dell’URSS, gli americani hanno approfittato del caos degli anni di Eltsin per affermare il loro dominio su scala mondiale. Sono intervenuti in aree precedentemente dominate dalla Russia, cosa che non avrebbero mai osato fare in epoca sovietica.
Prima sono intervenuti nei Balcani, accelerando la disgregazione dell’ex Jugoslavia. Le invasioni criminali dell’Iraq e dell’Afghanistan sono state seguite da un intervento infruttuoso nella guerra civile siriana, che li ha portati a scontrarsi con la Russia.
Nel frattempo, hanno continuato ad espandere la loro presa sull’Europa orientale, allargando la NATO con l’inclusione di ex satelliti sovietici come la Polonia e gli Stati baltici. Si trattava di una diretta violazione delle promesse più volte fatte dall’Occidente, secondo cui la NATO non si sarebbe espansa “di un solo centimetro” verso est.
Questo ha portato un’alleanza militare ostile proprio ai confini della Federazione Russa. Ma nel tentativo di attirare la Georgia nell’orbita della NATO, si è oltrepassata una linea rossa. La classe dominante russa è stata umiliata e minacciata e ha usato la forza militare per rimettere in riga i georgiani.
L’invasione dell’Ucraina era intesa a dimostrare agli americani che la Russia stava mostrando i muscoli e stava opponendo resistenza all’imperialismo USA e alla NATO.
Gli Usa e l’Europa
Gli Stati Uniti stanno sfruttando il conflitto in Ucraina per perseguire il loro obiettivo di costringere gli europei a tagliare i legami con la Russia e rafforzare così la stretta della morsa dell’imperialismo USA sull’intera Europa.
Precedentemente, la classe dominante tedesca stava, di fatto, usando i suoi legami con la Russia come leva per assicurarsi un’indipendenza almeno parziale nei confronti degli Stati Uniti.
L’altra principale leva era il dominio di fatto dell’Unione Europea, che sperava di costruire come blocco di potere alternativo, capace di perseguire i propri obiettivi e interessi sulla scena globale.
Le tensioni tra gli Stati Uniti e l’Europa sono in aumento e sono state in realtà esacerbate dalla guerra in Ucraina, anche se quest’ultima potrebbe, solo temporaneamente, far nascondere la polvere sotto il tappeto. Queste tensioni sono riemerse con la recente legge protezionistica sulle infrastrutture promulgata dagli Stati Uniti, che mette ulteriore pressione sulla produzione industriale dell’UE.
Le tensioni degli Stati Uniti con l’Europa non sono nuove. Sono emerse durante la guerra in Iraq e, più recentemente, a proposito dei rapporti con l’Iran. I leader di Francia e Germania sono sempre stati sospettosi verso le relazioni strette tra l’America e la Gran Bretagna, che consideravano giustamente come un cavallo di Troia americano all’interno del campo europeo.
I francesi, che non hanno mai nascosto le proprie ambizioni di dominare l’Europa, sono stati tradizionalmente più espliciti nella loro retorica antiamericana. I tedeschi, che in realtà erano i veri padroni dell’Europa, erano più circospetti, preferendo la realtà del potere a vacue vanterie.
Gli americani non si sono fatti ingannare. Consideravano la Germania, non la Francia, come il loro principale rivale e Trump in particolare non ha mai nascosto la sua estrema diffidenza e antipatia nei confronti di Berlino.
Per assicurarsi indipendenza da Washington, i capitalisti tedeschi hanno cucito rapporti stretti con Mosca. Ciò ha fatto infuriare i loro “alleati” d’oltreoceano, ma ha dato loro notevoli vantaggi sotto forma di forniture abbondanti e a buon mercato di petrolio e gas.
Essere privati di queste forniture è un prezzo molto alto da pagare per far contenti gli americani. Sotto Angela Merkel, la Germania aveva conservato gelosamente il suo ruolo indipendente. C’è voluta una guerra in Ucraina per mettere in riga la Germania – almeno per il momento.
Il partito borghese dei Verdi si è messo in luce come il più fervente difensore dell’imperialismo statunitense.
Ma dietro la facciata di “unità di fronte all’aggressione russa”, le differenze permangono. Lo mostrava bene una vignetta su due donne, una americana e l’altra europea. La seconda donna annuncia con orgoglio alla prima: “Sarò felice di morire di freddo per aiutare l’Ucraina”, al che la donna americana risponde con un sorriso: “E anch’io sarò felice di vederti congelare!”.
In realtà, gli USA stanno usando il pretesto della guerra per stringere la loro presa sull’Europa. Per il momento ci sono riusciti. Ma non è affatto chiaro quanto durerà la pazienza dei tedeschi e degli altri europei. Le contraddizioni che ne derivano diverranno evidenti solo quando la questione ucraina sarà risolta.
Gli Usa e la Cina
Negli anni Venti del Novecento, in una brillante previsione, Trotskij affermò che il centro della storia mondiale era passato dal Mediterraneo all’Atlantico ed era destinato a passare dall’Atlantico al Pacifico. Questa previsione sta diventando un fatto sotto i nostri stessi occhi.
Il conflitto tra Stati Uniti e Russia si svolge principalmente (anche se non completamente) in Europa. Ma il conflitto tra Cina e America si svolge principalmente nel Pacifico. Nel lungo periodo, quest’ultima regione giocherà un ruolo molto più decisivo nella storia mondiale rispetto agli Stati di secondo piano dell’Europa, che sono entrati in un lungo periodo di declino storico.
Gli eventi nel campo di battaglia del Pacifico avranno senza dubbio importanti ripercussioni a livello mondiale in futuro. Le tensioni tra i due Paesi aumentano di giorno in giorno. Sia i democratici che i repubblicani non fanno mistero di considerare la Cina il loro avversario principale e più pericoloso.
L’America è sulla strada che porta a una guerra commerciale con la Cina. Ha inasprito ulteriormente le restrizioni all’esportazione di tecnologia verso la Cina.
Gli strateghi borghesi ipotizzano che la Cina si separerà dalla Russia. Ma si tratta solo di un altro pio desiderio. Nelle condizioni attuali, non c’è modo che la Cina si allontani dalla Russia, né viceversa, perché hanno bisogno l’una dell’altra per affrontare la potenza dell’imperialismo USA.
Attualmente il conflitto tra Stati Uniti e Cina è incentrato sulla questione di Taiwan. La guerra in Ucraina ha avuto come effetto immediato quello di porre la questione di Taiwan all’ordine del giorno della politica internazionale. Pechino ha da tempo chiarito senza mezzi termini che considera Taiwan una parte inalienabile della Cina.
Tuttavia, sostenendo le forze nazionaliste taiwanesi, rinforzando gli aiuti militari e ostacolando l’accesso cinese al mercato di Taiwan, gli americani stanno aumentando le tensioni intorno all’isola. Allo stesso tempo, però, gli USA mantengono una politica di “ambiguità strategica”, cioè mantengono il sostegno allo status quo di Taiwan perché sanno che allontanarsene potrebbe portare a un disastroso confronto militare.
La visita ufficiosa di Nancy Pelosi sull’isola è stata un atto estremamente sciocco, una provocazione insensata che è stata guardata con sgomento dai più seri rappresentanti dell’imperialismo statunitense e dagli alleati degli Stati Uniti in tutta l’Asia, che non vogliono essere costretti a scegliere da che parte stare in una guerra commerciale, né tanto meno in una guerra vera e propria.
Persino Joe Biden, che non è famoso per il suo acume intellettuale, ha capito che ciò avrebbe portato a una risposta immediata da parte della Cina. E così è stato. Pechino ha intensificato la pressione con esercitazioni navali e aeree intorno all’isola. L’alterco tra i due Paesi si è fatto sempre più acceso.
Ma in realtà nessuna delle due parti ha troppa voglia di portare le cose al punto di un vero e proprio scontro militare. Un intervento armato USA incontrerebbe enormi problemi logistici e Xi Jinping è più preoccupato di mantenere la stabilità interna che di essere coinvolto in avventure militari. Dopo essersi assicurato la sua “rielezione” al XX Congresso del PCC, Xi ha assunto un tono più conciliante nei confronti di Taiwan e degli Stati Uniti.
Solo una crisi molto grave all’interno della Cina, che minacciasse di far crollare il regime, o una dichiarazione di indipendenza di Taiwan sostenuta dagli Stati Uniti, potrebbero far pendere la bilancia a favore di una simile avventura. Ma questo non è immediatamente all’ordine del giorno.
Così, l’attuale equilibrio precario tra Cina, America e Taiwan si manterrà ancora per qualche tempo, con gli inevitabili alti e bassi. Ma la lotta titanica per la supremazia tra Stati Uniti e Cina crescerà fino a coinvolgere l’intera Asia, con conseguenze di massima portata per l’intero pianeta.
Usa, Arabia saudita e Russia
La guerra in Ucraina ha anche aperto conflitti tra gli Stati Uniti e Paesi che in precedenza erano considerati suoi stretti alleati. Gli USA sono irritati perché molte nazioni continuano commerciare con la Russia, minando così le sanzioni che hanno imposto. La Cina sta apertamente facendosi beffa dei desideri dell’America e non si può fare molto per impedirlo.
Ma l’India, che dovrebbe essere amica dell’America, acquista anche enormi quantità di petrolio russo a prezzi stracciati e le rivende all’Europa con un bel ricarico. Joe Biden va fuori dai gangheri e Modi si limita a fare spallucce. Dopo tutto, il petrolio russo è così conveniente…
Può essere conveniente per l’India e per la Cina, ma la carenza mondiale di petrolio ha fatto salire i prezzi di mercato, a vantaggio della Russia, come abbiamo spiegato.
Sono quindi aumentate le tensioni tra l’Arabia Saudita, il maggior esportatore di greggio al mondo, e gli Stati Uniti, il maggior consumatore mondiale. Ignorando la richiesta di Biden di aumentare la produzione di petrolio per far scendere i prezzi globali del greggio, Riad ha raggiunto un accordo con Mosca per introdurre tagli alla produzione volti ad arrestare la caduta dei prezzi.
La cooperazione dell’Arabia Saudita con Mosca è fonte di enorme esasperazione e indignazione alla Casa Bianca. La portavoce della Casa Bianca Karine Jean-Pierre ha dichiarato ai giornalisti che era “chiaro” che l’OPEC+ si stava “allineando con la Russia”.
La disputa tra i sauditi e gli USA è sintomatica del crescente desiderio dei governi di Asia, Africa e America Latina di approfittare del conflitto mondiale tra Russia, Cina e Stati Uniti per affermare i propri interessi, bilanciandosi tra le due parti. Il comportamento di Erdogan in Turchia ne è un ulteriore esempio.
Un mondo multipolare?
I riadattamenti a cui abbiamo fatto riferimento hanno portato a molte speculazioni riguardo a un mondo “multipolare”. Si presume che l’ascesa della Cina come potenza economica e militare metterà in discussione la posizione dominante dell’imperialismo statunitense.
Da decenni si fanno commenti sul declino degli USA rispetto alla Cina. Tuttavia, va sottolineato che si tratta di un declino relativo. In termini assoluti, gli Stati Uniti rimangono lo Stato più ricco e più forte dal punto di vista militare del pianeta.
Negli anni ’70 si è assistito a speculazioni simili sull’ascesa del Giappone, che secondo alcuni avrebbe superato l’economia statunitense in pochi decenni. Ma questo non si è mai concretizzato.
La crescita esplosiva dell’economia giapponese ha raggiunto i suoi limiti e il Giappone è entrato in un periodo prolungato di stagnazione economica. Ora ci sono indicazioni che la Cina potrebbe avvicinarsi a un punto simile.
I limiti del cosiddetto modello cinese si manifestano con un forte rallentamento della crescita economica. Nel prossimo futuro, gli Stati Uniti manterranno la loro posizione di principale potenza imperialista. Ma ciò comporterà i suoi problemi.
Nel XIX secolo, l’imperialismo britannico dominava un’enorme parte del globo terrestre. La sua flotta dominava i mari, anche se era sfidata sempre più spesso dalla potenza emergente della Germania, mentre l’imperialismo americano era ancora nelle prime fasi di sviluppo.
A quel tempo, la Gran Bretagna riuscì ad arricchirsi a spese delle sue colonie e del suo ruolo dominante nel commercio mondiale. Il suo potere venne minato da due guerre mondiali e gli Stati Uniti hanno ereditato il ruolo della Gran Bretagna come gendarme del mondo. Però, hanno conquistato questa posizione in un periodo di declino imperialista. E il ruolo di gendarme mondiale si sta rivelando molto oneroso.
A dispetto della loro colossale ricchezza e potenza militare, gli USA subirono la loro prima sconfitta militare nelle giungle del Vietnam. La precedente guerra di Corea si era conclusa con un pareggio e rimane tuttora irrisolta. Le avventure militari in Afghanistan, Iraq e Siria si sono concluse con un’umiliazione e perdite per miliardi di dollari.
Ora la guerra in Ucraina (alla quale gli USA non dovrebbero partecipare attivamente, anche se in pratica lo fanno) è diventata un ulteriore colossale drenaggio di risorse. Di conseguenza, l’opinione pubblica negli USA ha reagito con forza contro le avventure militari all’estero. Ciò agisce come un forte fattore limitante del loro potenziale bellico.
Le sconfitte umilianti subite in Iraq e in Afghanistan sono impresse a fuoco nella coscienza del popolo statunitense. Quest’ultimo è completamente stanco di interventi e guerre all’estero e questo è un fattore che limita fortemente il margine di manovra di Biden e del Pentagono.
D’altra parte, l’ala Trump del Partito Repubblicano mostra una forte tendenza all’isolazionismo, che tradizionalmente è stato un fattore potente nella politica USA.
L’instabilità generale del mondo minaccia costantemente di infiammare l’instabilità politica della società americana. Questo è ciò che intendeva Trotskij quando prevedeva che gli Stati Uniti sarebbero emersi come potenza mondiale dominante dopo la Seconda guerra mondiale, ma con dinamite inserita alle sue fondamenta.
Guerra e pace
Il periodo in cui siamo entrati sarà caratterizzato da instabilità e attriti crescenti fra le diverse potenze e blocchi. I riformisti di destra hanno adottato in toto il programma e la retorica (“difendere la democrazia”) del programma imperialista delle rispettive borghesie. Quelli “di sinistra” intonano sempre inni commoventi alla Pace e alla Fratellanza tra gli Uomini, che immaginano salvaguardate dalla Carta delle Nazioni Unite.
Eppure, nei circa 80 anni dalla sua fondazione, le cosiddette Nazioni Unite non hanno mai impedito una guerra. Tra il 1946 e il 2020, ci sono state circa 570 guerre, che hanno causato almeno 10.477.718 morti civili e militari. L’ONU è solo un parlatoio che dà l’impressione di poter risolvere i problemi.
In realtà, nel migliore dei casi, può talvolta sistemare questioni marginali che non toccano gli interessi fondamentali delle grandi potenze. Nel caso peggiore, come nella guerra di Corea negli anni Cinquanta, in quella del Congo negli anni Sessanta e nella prima guerra in Iraq nel 1991, serve come comoda foglia di fico per camuffare i progetti imperialisti.
In passato, le tensioni che ci sono oggi avrebbero già portato a una guerra importante tra le Grandi Potenze. Ma le mutate condizioni hanno eliminato quest’eventualità dall’ordine del giorno (almeno per il momento). Negli ultimi sette decenni non c’è stata nessuna guerra mondiale, anche se, come abbiamo sottolineato, di quelle piccole ne abbiamo avute in abbondanza.
I capitalisti non fanno la guerra per patriottismo, per la democrazia o per altri principi altisonanti. Fanno la guerra per il profitto, per conquistare mercati esteri e fonti di materie prime (come il petrolio) e per espandere le sfere di influenza.
Una guerra nucleare non significherebbe nulla di tutto ciò, ma solo la distruzione reciproca di entrambe le parti. Hanno persino coniato un’espressione per descriverla: MAD (Mutually Assured Destruction, Distruzione Reciproca Assicurata). Una guerra del genere non sarebbe nell’interesse dei banchieri e dei capitalisti.
Un altro fattore decisivo (già citato) è l’opposizione di massa alla guerra, in particolare (ma non esclusivamente) negli Stati Uniti d’America. Secondo un sondaggio di opinione, solo il 25% della popolazione statunitense sarebbe favorevole a un intervento militare diretto in Ucraina, il che significa che la stragrande maggioranza sarebbe contraria.
È questo, e non un qualche amore per la pace, e certamente non il rispetto per le Nazioni (Dis)Unite, che ha impedito agli Stati Uniti di inviare truppe in un conflitto diretto con l’esercito russo in Ucraina.
Naturalmente, non scarseggiano i generali americani stupidi o addirittura squilibrati che pensano che una guerra con la Russia o la Cina, o ancor meglio con entrambe, sarebbe una buona idea, e che se ciò significasse l’annientamento nucleare del pianeta sarebbe un prezzo necessario da pagare.
Ma queste persone sono tenute sotto controllo, come un uomo che tiene un feroce cane da guardia per difendere la sua proprietà si assicura che sia tenuto alla catena. E a meno che non ci sia la prospettiva dell’avvento al potere di un Hitler americano, nessuno sarà propenso a firmare una lettera di suicidio collettivo a nome del popolo americano.
Sebbene nelle condizioni attuali sia esclusa una guerra mondiale, ci saranno molte “piccole” guerre e guerre per procura come quella in Ucraina. Ciò andrà ad aggiungersi alla volatilità generale e alimenterà le fiamme del disordine mondiale.
Gli Usa
Negli Stati Uniti, la stabilità dello status quo si basava sulla spartizione del potere tra due partiti borghesi, i Repubblicani e i Democratici. Per oltre 100 anni, questi due giganti politici si sono alternati al governo con la regolarità del pendolo di un vecchio orologio.
Tutto sembrava funzionare senza intoppi. Ma ora la precedente regolarità ha lasciato il posto alla turbolenza più violenta.
Gli anni di Trump sono stati caratterizzati da un’estrema imprevedibilità. Il suo rifiuto di accettare il trasferimento del potere, o anche solo di ammettere che avrebbe potuto perdere le elezioni, ha creato le condizioni per l’assalto al Congresso del 6 gennaio 2021 da parte di una folla di suoi sostenitori inferociti. Questi eventi sono stati il segnale di un nuovo periodo di violenti sommovimenti nella società americana.
Tutti i commentatori economici seri prevedono che gli Stati Uniti entreranno in recessione nel 2023. Il tasso di inflazione annuo degli Stati Uniti è ora superiore all’8%, il più alto degli ultimi 40 anni. Come detto, la Federal Reserve ha aumentato gradualmente i tassi di interesse, portando i tassi ipotecari a un massimo quindicennale, facendogli sfiorare il 7%, rispetto a poco più del 3% nel 2021.
Al tempo stesso, il debito pubblico USA ha superato la soglia dei 31.000 miliardi di dollari. Con i tassi d’interesse che crescono bruscamente, ciò metterà a dura prova le finanze pubbliche statunitensi. Anche la creazione di posti di lavoro ha subito un rallentamento e la disoccupazione ha iniziato a risalire.
Ciò va ad aggiungersi a un declino relativo di lungo periodo, che ha visto il tenore di vita ristagnare o peggiorare per milioni di americani. I salari reali sono rimasti fermi dagli anni Settanta. Milioni di posti di lavoro ben retribuiti nel settore manifatturiero sono stati distrutti nel corso dei decenni.
Questo spiega il declino della popolarità dei Democratici, un tempo considerati “ben disposti verso i lavoratori”, e anche perché una figura come Trump potrebbe attingere al risentimento contro l’establishment di un settore della classe operaia.
Tuttavia, le elezioni di metà mandato del 2022 non hanno prodotto la vittoria del trumpismo che molti si aspettavano, nonostante il basso indice di gradimento di Biden. Molti dei candidati di Trump sono stati sconfitti. Una delle ragioni principali è stata la reazione contro l’annullamento da parte della Corte Suprema della sentenza Roe vs Wade, che in precedenza proteggeva il diritto all’aborto.
Resta da vedere se Trump vincerà la nomina per la corsa alla presidenza del Partito Repubblicano o se sarà messo da parte per qualcuno come Ron DeSantis, il governatore della Florida, che si è posizionato come il candidato del “trumpismo senza Trump”. Tutto sarebbe pronto per una scissione nel Partito Repubblicano, se Trump non raggiungerà i suoi scopi.
Profondo malcontento
C’è un malcontento diffuso e radicato, che si esprime in un sondaggio dopo l’altro.
Più della metà degli americani ritiene che “nei prossimi anni ci sarà una guerra civile negli Stati Uniti”, secondo un sondaggio dell’Università della California del 2022.
Secondo un altro sondaggio, l’85% degli americani ritiene che il Paese sia sulla “strada sbagliata”. Il 58% degli elettori americani “crede che il proprio sistema di governo non funzioni…” e così via.
Questo profondo malcontento ha trovato la sua espressione più evidente nel 2021 nel movimento Black Lives Matter, che ha ottenuto il sostegno del 75% della popolazione. Ma questa radicalizzazione è stata parzialmente disorientata dalle cosiddette politiche identitarie.
Quelle che vanno sotto il nome di “scontro tra culture” sono abitualmente utilizzate sia dai politici di estrema destra che dai liberali per incitare i loro sostenitori. È un veleno che può essere combattuto solo con una politica di classe.
La questione di classe
Il riemergere della questione di classe si esprime nelle ondate di sindacalizzazione di luoghi di lavoro come Amazon e Starbucks, ma anche nelle ondate di scioperi che hanno interessato gli Stati Uniti, come lo “striketober” del 2021. E il numero degli scioperi continua a crescere.
Gli ultimi dati rivelano che il 71% degli americani sostiene i sindacati, il livello più alto dagli anni Sessanta. E tra i giovani questa cifra è ancora più alta. Anche tra i sostenitori di Trump, con un’età compresa tra i 18 e i 34 anni, il 71% ha simpatia per le campagne di sindacalizzazione dentro Amazon.
Il movimento di sindacalizzazione dei lavoratori precari, soprattutto giovani, è il primo vero segnale di una rinascita della lotta di classe. Queste campagne di sindacalizzazione sono guidate da giovani lavoratori radicalizzati che hanno pochi legami con il movimento sindacale tradizionale. Fanno parte di una nuova generazione di militanti di classe che si sta formando negli Stati Uniti e che si sta rapidamente spostando a sinistra.
Tuttavia, c’è una sfiducia profonda e crescente nei confronti di tutti i partiti esistenti, soprattutto dei Democratici. È questa situazione che spiega la crisi della presidenza di Biden; è visto come incapace di risolvere i problemi urgenti della classe operaia e dei giovani, dall’inflazione alla guerra in Ucraina, dall’impatto crescente e devastante del cambiamento climatico alla carenza di alloggi a prezzi accessibili.
È questo sentimento generale di malessere che spiega la sfiducia generale verso Biden e i Democratici in un ampio strato della popolazione. L’ulteriore evoluzione della lotta di classe aprirà la strada, a un certo punto, alla nascita di un terzo partito, basato sulla classe operaia. Ciò rappresenterà un cambiamento fondamentale dell’intera situazione.
Cina
In precedenza la Cina era uno dei principali motori dell’economia mondiale. Ma ora ha raggiunto i suoi limiti e si sta trasformando nel suo opposto. Gli economisti borghesi osservano gli sviluppi in Cina con crescente allarme.
Nel libero mercato dell’Occidente, le crisi finanziarie possono scoppiare all’improvviso, cogliendo di sorpresa governi e investitori. Ma in Cina, dove lo Stato svolge ancora un ruolo importante nell’economia, il governo può impiegare il capitale politico e finanziario in misura molto maggiore al fine di mitigare o rinviare una crisi.
Questo dà un’apparenza di stabilità, ma è un’illusione. Poiché la Cina ha scelto di seguire la strada del capitalismo ed è ora completamente integrata nel mercato mondiale capitalista, è soggetta alle stesse leggi dell’economia di mercato capitalista.
Uno dei fattori chiave per salvare l’economia cinese e mondiale da una grave crisi dopo il crollo del 2008 è stata l’enorme quantità di denaro iniettata nell’economia dallo Stato cinese.
Si tratta di centinaia di miliardi di dollari, la maggior parte dei quali è stata destinata a progetti infrastrutturali e di sviluppo. Ora stiamo assistendo alla fine di quel modello. L’economia cinese sta rallentando. Il misero tasso di crescita del 2,8% nel 2022 è stato il livello più basso dal 1990. Nel 2021 il PIL è cresciuto al ritmo dell’8,1%.
Gran parte di questi investimenti sono stati dedicati agli LGFV (veicoli di finanziamento degli enti locali), che hanno accumulato un’enorme montagna di debiti da 7,8 migliaia di miliardi di dollari che minaccia la stabilità dell’intera economia cinese. Una grande quantità di questi debiti è nascosta, come parte del settore bancario ombra semi-legale, in cui le imprese statali e le banche sono fortemente coinvolte.
Questo debito equivale a quasi la metà del PIL totale della Cina nel 2021, o a circa il doppio dell’economia tedesca. Con il calo delle entrate delle amministrazioni locali, un devastante domino di default appare sempre più probabile.
L’intervento dello Stato serve solo a distorcere il meccanismo di mercato, ma non può eliminarne le contraddizioni fondamentali. Può ritardare una crisi, ma quando questa emergerà (e prima o poi dovrà farlo) avrà un carattere ancora più esplosivo, distruttivo e incontrollabile.
Un crollo finanziario in Cina avrebbe un impatto devastante sull’economia mondiale nel suo complesso. Inoltre, creerebbe una situazione molto esplosiva all’interno della Cina.
Si è sempre presunto che la Cina abbia bisogno di un tasso di crescita annuale di almeno l’8%, per mantenere la stabilità sociale. Un tasso di crescita del 2,8% è quindi del tutto inadeguato. E una grave crisi economica, innescata da un crollo del mercato immobiliare, porrebbe le premesse per grandi sconvolgimenti sociali.
La Cina è di fronte a un’esplosione sociale
È in questo contesto che dobbiamo vedere il congresso del 2022 del Partito “Comunista” cinese, dove Xi Jinping ha rafforzato la sua presa sul potere. Secondo le vecchie regole del Partito, Xi avrebbe dovuto dimettersi da leader in occasione di quel congresso, ma invece punta a diventare leader a vita.
Non è un caso che Xi abbia concentrato tutto il potere nelle sue mani. La Cina è uno Stato totalitario che combina l’economia di mercato capitalista con elementi di controllo statale, ereditati dal vecchio Stato operaio deformato.
In uno Stato totalitario, dove tutte le fonti di informazione sono strettamente controllate e tutte le forme di opposizione sono spietatamente soppresse, è estremamente difficile sapere cosa sta succedendo sotto la superficie, fino a quando tutto esplode all’improvviso.
Lo abbiamo visto nella lotta dei lavoratori della mega-fabbrica Foxconn a Zhengzhou e nelle proteste nazionali contro il lockdown del novembre 2022. Questi movimenti, sorti apparentemente dal nulla, hanno assunto una forma esplosiva e, nel caso delle proteste anti-lockdown, si sono diffusi in centinaia di località di tutto il Paese nel giro di poche ore. Questi eventi segnano l’inizio della rottura dell’equilibrio sociale in Cina.
L’élite al potere, tuttavia, ne è ben consapevole. Dispone di un potente apparato repressivo e di un’enorme rete di spie e informatori presenti in ogni fabbrica, ufficio, condominio, scuola e università.
Oggi la Cina spende ogni anno più per la sicurezza interna che per la difesa nazionale, e sta aumentando entrambe le voci. Xi e la sua cricca sono ben consapevoli degli enormi pericoli insiti nei disordini popolari e stanno prendendo provvedimenti per anticiparli. Ciononostante, il loro avanzatissimo regime di censura online non è riuscito a impedire la diffusione di informazioni sulle recenti proteste, nonostante queste abbiano coinvolto solo poche centinaia di persone in ogni città. Un movimento di massa della classe operaia travolgerebbe questo sistema.
In larga misura, questo spiega la repressione del movimento di protesta di massa del 2019 a Hong Kong. Se fosse continuato, si sarebbe presto diffuso nel continente.
La magnifica portata di quel movimento (prima che venisse dirottato e condotto in un vicolo cieco dall’élite liberale filo-occidentale) dà un’idea di come sarà una rivoluzione proletaria in Cina, solo che sarà su una scala molto più vasta.
Napoleone Bonaparte pare abbia detto: “La Cina è un drago che dorme. Lasciatela dormire, perché quando si sveglierà, scuoterà il mondo”. C’è molto di vero in questo aforisma. Ma dovremmo introdurre un piccolo cambiamento.
Il proletariato cinese è il più grande e potenzialmente il più forte del mondo. È davvero come un drago addormentato che sta per svegliarsi. E quando questo accadrà, scuoterà davvero il mondo.
In Cina si sta preparando un’enorme esplosione sociale, anche se è impossibile dire quando avverrà. Ma una cosa si può prevedere con assoluta certezza: si verificherà quando meno ce lo si aspetta.
E una volta iniziata, non ci sarà modo di fermarla. Nessuna repressione o intimidazione sarà sufficiente. Sarà proprio come quando il Fiume Azzurro straripa, travolgerà tutto.
Europa: tendenze centrifughe
L’unità dell’UE poteva essere data per scontata finché duravano le condizioni di un boom economico. Ma quelle condizioni favorevoli sono scomparse, punto e basta. E l’inizio delle turbolenze economiche e finanziarie porterà a più protezionismo e nazionalismo economico.
La fragile struttura dell’unità europea sarà messo a dura prova nelle condizioni di una profonda recessione economica. Le tendenze centrifughe che ne deriveranno accelereranno l’allontanamento dalla globalizzazione e l’ulteriore frammentazione dell’Europa e dell’economia mondiale in generale.
L’Europa meridionale è l’anello più debole della catena ed è pronta per gravi disordini e instabilità politiche. La continua debolezza finanziaria della Grecia e dell’Italia potrebbe ancora innescare il crollo dell’Unione monetaria europea. Ma anche le nazioni più forti vengono minate. Queste tendenze si rafforzeranno inevitabilmente, esercitando un’immensa pressione sulla fragile struttura dell’unità europea.
Divisioni in Europa
La crisi ha messo in luce le profonde linee di frattura esistenti tra i diversi Stati membri dell’UE. Anche prima della guerra in Ucraina e della pandemia, l’economia europea stava rallentando e le tensioni tra le nazioni dell’UE stavano crescendo. Il segnale più evidente è stato il distacco della Gran Bretagna, che ha lasciato molti problemi irrisolti. Ma le relazioni con la Gran Bretagna non sono l’unica fonte di attrito nell’UE.
A causa della guerra in Ucraina e della minaccia alle forniture di gas russo in Europa, l’UE rischia una catastrofe economica. I capitalisti di ogni Stato europeo stanno lottando per prendere misure che siano nel proprio interesse.
La solidarietà europea non entra in questa equazione. È un caso molto semplice di “ognuno per sé e al diavolo chi resta indietro”.
La guerra in Ucraina ha aperto serie divisioni nell’UE. Come detto, la Polonia e gli Stati baltici sono i più espliciti tra i falchi. Ma l’Ungheria di Viktor Orbán ha criticato apertamente le sanzioni dell’Occidente contro la Russia e gode di ottimi rapporti con l’uomo del Cremlino. Di conseguenza, l’Ungheria ha ora i prezzi del gas più bassi d’Europa.
Orbán ha commentato con una pesante dose di ironia: “Nella questione dell’energia, noi siamo nani e i russi sono giganti. Un nano sanziona un gigante e poi ci stupiamo tutti quando il nano muore”. Le sue osservazioni hanno scandalizzato i capi dell’UE. Ma non erano troppo sbagliate.
Il pacchetto di sostegno tedesco alle aziende energetiche ha immediatamente provocato una dura reazione da parte di alcuni Paesi dell’UE, che chiedono una risposta comune dell’Unione alla crisi energetica. Il primo ministro ungherese ha avvertito che il pacchetto di sostegno previsto dalla Germania equivale a “cannibalismo”, e mette a rischio l’unità dell’UE in un momento in cui gli Stati membri sono sottoposti a gravi stress economici a causa della guerra in Ucraina.
Un alto consigliere della presidente del consiglio italiana Giorgia Meloni ha dichiarato: “È un atto, preciso, deliberato, non concordato, non condiviso, non comunicato, che mina le ragioni dell’unione”. Emmanuel Macron è stato più diplomatico, ma è andato al cuore della questione quando ha detto: “Non possiamo attenerci a politiche nazionali, perché questo crea distorsioni all’interno del continente europeo”.
Tuttavia, il ministro delle Finanze tedesco, Robert Habeck, difendendo il pacchetto di sgravi energetici del Paese, ha risposto con un severo avvertimento: “Se la Germania dovesse subire una recessione davvero profonda, trascinerebbe con sé l’intera Europa”.
In sostanza, il conflitto è su chi paga: la Germania e i paesi capitalisti più ricchi del Nord Europa non sono disposti a pagare il conto per le economie capitaliste più povere del Sud e dell’Est.
Tuttavia, ci sono segnali di un crescente malcontento nei confronti dell’intera situazione. Il Financial Times ha pubblicato un articolo con il titolo: “I tedeschi comuni pagano: le proteste contro la guerra si estendono in tutta l’Europa centrale”. L’articolo riportava un’allarmante crescita delle manifestazioni contro la guerra e a favore della Russia in Germania e in altri Paesi dell’Europa orientale.
In questa fase erano per lo più manifestazioni di qualche centinaio di presone. Ma con il continuo abbassamento delle temperature, la rabbia di molta altra gente aumenterà. Le tensioni sociali che ne deriveranno minacceranno la delicata struttura politica della Germania.
Anche nella Repubblica Ceca, il 3 settembre 2022, tra le 70.000 e le 100.000 persone hanno manifestato in Piazza San Venceslao a Praga, chiedendo le dimissioni del governo di coalizione di destra filo-NATO del primo ministro Petr Fiala. Tra le altre rivendicazioni, i manifestanti hanno scandito slogan contro la crisi del carovita e il coinvolgimento della Repubblica Ceca nella guerra per procura della NATO contro la Russia.
Neppure il sostegno italiano alla guerra può essere dato per scontato. Mentre Meloni ha assunto da subito una posizione “responsabile” e filo-occidentale nei confronti della guerra, i suoi partner di coalizione Salvini e Berlusconi hanno suonato una musica diversa, con Salvini che ha chiesto la fine delle sanzioni alla Russia e Berlusconi che ha apertamente ostentato la sua amicizia con Vladimir Putin.
Germania
La crisi mondiale del capitalismo sta raggiungendo la Germania. La guerra in Ucraina ha provocato alla classe dominante tedesca un brusco risveglio sulla reale fragilità dell’imperialismo tedesco.
La Germania è stata per decenni la potenza industriale d’Europa. Sotto la guida di Angela Merkel, che è stata cancelliera per 15 anni, il capitalismo tedesco ha esportato con successo la sua via d’uscita dalla crisi del 2008.
La sua competitività è stata rafforzata a spese della classe operaia dalle controriforme del lavoro Hartz IV e dalla precarizzazione dei rapporti di lavoro, attuate nel 2004 dal governo socialdemocratico di Gerhard Schroeder.
La classe dominante tedesca ha anche approfittato della restaurazione capitalistica nell’Europa orientale per espandere la propria influenza verso est, ottenendo un bacino di manodopera qualificata a basso costo.
Questo, unito all’accesso facile e illimitato alle forniture di petrolio e gas russo a basso costo, ha dato ai capitalisti tedeschi un ulteriore vantaggio competitivo rispetto ai loro rivali. Il risultato è stato il boom delle esportazioni verso il resto dell’UE, gli Stati Uniti e la Cina nel decennio successivo, con la Germania che ha rafforzato la sua posizione di superpotenza commerciale mondiale.
Un livello relativamente basso di debito pubblico, il controllo sull’euro e la posizione di rilievo nelle istituzioni dell’UE hanno dato alla classe dominante tedesca margini di manovra per preservare la stabilità sociale interna, a spese del resto.
Tuttavia, tutti i punti di forza del “modello tedesco” si stanno trasformando nel loro contrario. Il deterioramento del commercio mondiale nel 2019, aggravato dall’impatto della pandemia e dalla conseguente dislocazione della catena di approvvigionamento di materie prime, componenti, chip e dall’aumento dei costi di spedizione, ha minato la produzione e le esportazioni tedesche di automobili, macchinari e prodotti chimici.
L’impatto della guerra in Ucraina ha evidenziato il fatto che la Germania non ha la forza economica o militare sufficiente per perseguire i propri interessi strategici quando si confronta con potenze economiche e militari più grandi.
Il pacchetto di 100 miliardi di euro di spese militari aggiuntive annunciato dal cancelliere tedesco Olaf Scholz è stato un riconoscimento di questa realtà, ma non farà altro che aumentare i profitti del complesso industriale-militare.
L’implacabile pressione dell’imperialismo statunitense ha costretto i capitalisti tedeschi ad abbandonare la rete costruita con cura di legami commerciali russo-tedeschi, le joint venture e gli investimenti diretti – a un costo catastrofico.
Nonostante i tentativi della Germania di menare il can per l’aia e di evitare misure che avrebbero implicato un confronto diretto con la Russia, la dinamica della guerra ha inevitabilmente esposto la dipendenza e la vulnerabilità dell’economia tedesca a una severa ritorsione russa, attraverso la limitazione e poi il taglio di tutte le forniture energetiche.
Questa situazione, unita all’esplosione dell’inflazione, è destinata ad avere profonde conseguenze sulla stabilità politica e sociale del capitalismo tedesco. Il prossimo periodo metterà inevitabilmente a nudo le forti contraddizioni di classe, che mineranno le politiche di collaborazione di classe della socialdemocrazia e dei leader sindacali.
Di fronte al rapido deterioramento del tenore di vita, sotto il martello dell’inflazione dilagante e dell’aumento dei costi dell’energia, la classe operaia sarà costretta a reagire. Ogni tentativo della burocrazia sindacale di rimanere fedele ai vecchi metodi di concertazione sociale minerà ulteriormente la sua autorità.
I tentativi di chiamare a raccolta la classe operaia a sostegno della classe capitalista, come le parole dell’ex presidente federale Joachim Gauck che invitava i tedeschi a “congelare per la libertà”, suonano già vuoti. In questo contesto, le manifestazioni contro la guerra che abbiamo citato sono un serio avvertimento. L’inevitabile tendenza alla rottura della concertazione sociale e all’esplosione della lotta di classe è implicita in questo contesto, poiché la classe dominante sta esaurendo le proprie opzioni.
Italia
L’entrata in carica del governo ultraconservatore di Meloni è stato uno sviluppo profondamente preoccupante per la borghesia italiana e per l’imperialismo.
L’Italia, già in recessione, con l’inflazione ai massimi da quasi 40 anni, ha un enorme debito di 2.750 miliardi di euro, pari al 152% del PIL, che rischia di diventare un peso ancora maggiore con l’aumento dei tassi di interesse.
Il successo elettorale di Meloni è dovuto al fatto che è rimasta fuori dal governo di Mario Draghi. Draghi era l’uomo della borghesia, ma il problema è che tutti i partiti della sua coalizione hanno subito pesanti perdite alle elezioni.
Giorgia Meloni è una razzista, una bigotta e una reazionaria estrema, ma non c’è nessun “ritorno al fascismo” in Italia. Piuttosto c’è una crescente sfiducia verso tutti i partiti, come conferma il tasso di astensione del 40%.
I voti complessivi per la coalizione di destra non sono aumentati, ma un gran numero di voti si è spostato da Berlusconi e dalla Lega a Fratelli d’Italia. Solo un elettore su sei ha effettivamente votato per Fratelli d’Italia.
Subito dopo le elezioni, Meloni ha fatto tutto il possibile per rassicurare i mercati finanziari europei sul fatto che ci si può fidare di lei e che continuerà più o meno con le stesse politiche portate avanti da Draghi. I finanziamenti dell’UE per stabilizzare l’economia italiana sono subordinati all’imposizione di misure di austerità da parte del governo.
La crisi attuale, con l’impennata dell’inflazione, i bassi salari, l’alto tasso di disoccupazione, insieme alle politiche reazionarie su questioni come il diritto all’aborto, l’immigrazione ecc. è una ricetta già pronta per l’esplosione della lotta di classe e delle proteste dei lavoratori e dei giovani.
Francia
Come in tutti i principali paesi capitalisti, il governo francese ha speso somme ingenti per evitare una grave crisi durante la pandemia, ma ora qualcuno deve pagare, e chiaramente sarà la classe operaia francese.
Ma i borghesi francesi hanno trovato una risposta combattiva da parte dei lavoratori ogni volta che è stato fatto un serio tentativo di togliergli le conquiste del passato. Quando Macron è stato eletto per la prima volta, ha dovuto affrontare il movimento dei Gilet Gialli dopo un anno dal suo insediamento. Ma ora Macron è ancora più debole
Il suo sostegno attivo reale al primo turno è stato appena il 20% dell’elettorato totale della Francia. Invece di un rafforzamento del centro, c’è una forte polarizzazione a sinistra (Mélenchon) e a destra (Le Pen).
La crescente instabilità si è rivelata nelle elezioni parlamentari di pochi mesi dopo, dove Macron non è riuscito a conquistare la maggioranza assoluta in parlamento. Il risultato è un governo debole, basato su un parlamento frammentato, sottoposto a forti pressioni per realizzare il programma richiesto dalla classe capitalista.
Ciò avviene in un momento di crisi economica sempre più profonda, con l’inflazione che continua a salire, con l’aumento dei tassi di interesse che fanno lievitare i costi dei mutui per milioni di famiglie e con la minaccia di un aumento della disoccupazione a causa dell’impatto della crisi mondiale del capitalismo sulla Francia.
Un’indicazione del cambiamento di umore può essere osservata nello sciopero dei lavoratori del settore petrolifero dell’ottobre 2022, durato settimane e guidato dalla FNIC, la categoria più a sinistra della CGT. Il governo ha cercato di introdurre misure per interrompere lo sciopero, ma i lavoratori del settore petrolifero hanno avuto il sostegno della stragrande maggioranza della popolazione, nonostante la carenza di carburante causata dallo sciopero.
I leader sindacali hanno indetto giornate d’azione per far sfogare la rabbia dei lavoratori, pur di evitare di lanciare una lotta frontale contro il governo. La stessa tattica è stata utilizzata nella lotta contro la riforma delle pensioni. Ciò ha consentito al governo di far passare la sua riforma, nonostante la mobilitazione di milioni di lavoratori e giovani, in numerose occasioni
La dirigenza sindacale non potrà trattenere il movimento all’infinito. Lo sciopero dei lavoratori del settore petrolifero, il movimento di massa contro la riforma delle pensioni e lo sviluppo di una opposizione di sinistra nella CGT: queste sono anticipazioni di ciò che possiamo aspettarci nel prossimo periodo su scala molto più ampia. Un settore crescente della classe lavoratrice comprende l’impasse delle “giornate d’azione”. Nei cortei, lo slogan dello “sciopero generale” era visibile come non mai. Una ripetizione del maggio 1968 è implicita nell’intera situazione.
Gran Bretagna
L’investitore miliardario Warren Buffett una volta ha detto che “solo quando la marea si ritira si scopre chi ha nuotato nudo”. Questa descrizione si adatta perfettamente alla posizione attuale della Gran Bretagna.
Non molto tempo fa, la Gran Bretagna era considerata il Paese più stabile dal punto di vista politico e sociale, e probabilmente il più conservatore, di tutta Europa. Ora si sta trasformando nel suo opposto.
Rishi Sunak è stato “eletto” leader quando Liz Truss è stata cacciata in seguito alla sua debacle sulla legge finanziaria. Si è stabilito al civico 10 di Downing Street promettendo di “correggere” gli “errori” del suo predecessore.
Ma l’urgente necessità di far quadrare i conti e di eliminare il buco delle finanze pubbliche significa inevitabilmente che i cittadini britannici dovranno affrontare un nuovo periodo di austerità, tagli e attacchi al loro tenore di vita.
Milioni di famiglie britanniche sono costrette a scegliere tra tenere la luce accesa e mettere il cibo in tavola. La differenza macroscopica tra ricchi e poveri non è mai stata così evidente come ora. E questo alimenta il fuoco del risentimento e della rabbia.
Ci sono molti segnali di un cambiamento di coscienza in Gran Bretagna, come il fatto che il 47% degli elettori Tory è favorevole alla nazionalizzazione dell’acqua, dell’elettricità e del gas, in diretta contraddizione con le politiche liberiste del governo Tory.
Dopo molti anni di attacchi senza precedenti ai salari e agli standard di vita, i lavoratori non sono disposti ad accettare ulteriori imposizioni. Le contraddizioni tra le classi si acuiscono ogni giorno di più.
Lo stato d’animo di rabbia si riflette in un numero sempre crescente di scioperi: ferrovieri, portuali, postini, netturbini e persino avvocati penalisti hanno già scioperato. A questi si aggiungono altri come gli insegnanti e gli infermieri.
Si parla sempre più spesso di lotte sindacali coordinate. Ci sarà uno sciopero generale in Gran Bretagna? È impossibile prevederlo. Tutto ciò che si può dire con un certo grado di certezza è che né il governo né i leader sindacali lo vogliono, ma poiché esistono tutte le condizioni oggettive per un tale esito, potrebbero finirci dentro.
La riattivazione della lotta economica è uno sviluppo importante. Ma ha i suoi limiti. Trotskij ha sottolineato che anche lo sciopero più tempestoso non può risolvere i problemi più basilari della società, e tanto meno uno sciopero che viene sconfitto.
Anche quando i lavoratori riescono a ottenere un aumento salariale, questo viene rapidamente annullato da un ulteriore aumento dei prezzi. Pertanto, a un certo punto, il movimento dovrà acquisire un’espressione politica. Ma come si può ottenere questo risultato?
Il Labour e i Conservatori
Per un certo periodo, il Partito Laburista ha virato nettamente a sinistra sotto la guida di Jeremy Corbyn. In realtà, la classe dominante aveva perso il controllo di entrambi i partiti principali: i laburisti a favore dei riformisti di sinistra e i conservatori a favore degli sciovinisti di destra a favore della Brexit.
In seguito alla vergognosa capitolazione dei riformisti di sinistra, la destra è riuscita a riprendere il controllo del Partito Laburista, cosa che anche gli osservatori borghesi più ottimisti ritenevano quasi impossibile.
Ora i Tories sono screditati e in crisi. Sono divisi su numerose questioni e sempre più demoralizzati, si scontrano l’uno contro l’altro man mano che le pressioni della crisi si accumulano, proprio nel momento in cui la classe dominante ha bisogno di un governo unito per portare avanti i suoi attacchi ai lavoratori.
Le politiche del nuovo governo rappresentano una combinazione di tagli e aumenti delle tasse che avranno un impatto non solo sui lavoratori ma anche su ampi strati della classe media. E’ una ricetta bella e pronta per la lotta di classe. E qualsiasi cosa facciano ora i conservatori sarà sbagliata.
Il nuovo governo tory sta cercando di evitare di indire le elezioni perché sa che verrebbe annientato. I laburisti andrebbero al potere, non grazie a Starmer, ma nonostante quest’ultimo.
Da parte sua, Starmer non è molto entusiasta di guidare un governo a maggioranza laburista, poiché ciò lo priverebbe di qualsiasi scusa per non portare avanti politiche nell’interesse della classe operaia. La sua politica è quella di smorzare le aspettative e promettere il meno possibile.
Non è nemmeno escluso che si verifichi una spaccatura aperta nel Partito Conservatore, con la fazione di destra che si scinde per formare un nuovo Partito della Brexit, forse insieme a Nigel Farage. Questo potrebbe portare alla formazione di un “governo di unità nazionale”, con il Labour in alleanza con i Liberali e i Tory moderati.
In un modo o nell’altro, la classe operaia dovrà imparare di nuovo alcune lezioni dolorose alla scuola di Sir Keir Starmer e della cricca di destra che ora controlla il Partito Laburista, che sono politici borghesi in tutto tranne che nel nome.
La destra ha effettuato una profonda epurazione del partito, al fine di prevenire qualsiasi possibilità di ripetizione del caso Corbyn. Ma una volta al governo, il Labour subirà le pressioni sia del grande capitale che della classe lavoratrice.
Da fedele servitore dei banchieri e dei capitalisti qual è, Starmer non esiterà a portare avanti politiche nel loro interesse. Ma qualsiasi tentativo di attuare una politica di tagli e austerità provocherà un’esplosione di rabbia, che alla fine troverà espressione all’interno del Partito Laburista, a partire dai sindacati che, nonostante tutto, mantengono ancora il loro legame con il partito. Saranno necessari grandi avvenimenti per costringere la gente a giungere alla conclusione che non è possibile ritornare a ciò che esisteva prima.
In Scozia, il Labour ha perso da tempo la sua roccaforte. Il Partito Nazionalista Scozzese – il più grande partito in Scozia – è in subbuglio, avendo perso 30.000 iscritti dal 2021 a causa dell’impasse strategica rispetto alla questione nazionale.
Tuttavia, la classe operaia e in particolare i giovani, che in maggioranza sostengono l’indipendenza, non stanno tornando in numero significativo verso i laburisti, ma stanno cercando una via d’uscita. In queste condizioni, si apriranno grandi opportunità per la tendenza marxista marxista in tutta la Gran Bretagna.
Crisi della classe dominante
La classe dominante ha i leader che si merita. Non è un caso che dappertutto la classe dominante si trovi in una crisi di leadership, dimostrata dalle spaccature aperte ai vertici negli Stati Uniti, in Gran Bretagna, in Brasile, in Pakistan.
Ma le ragioni di questa crisi di leadership sono radicate nella situazione stessa. La crisi attuale è così profonda da escludere praticamente qualsiasi spazio di manovra ai vertici. Come osservava Lenin, un uomo sull’orlo del precipizio non ragiona. Anche i leader più intelligenti e capaci si troverebbero nell’impossibilità di uscire da questo pantano.
Tuttavia, la qualità della leadership gioca un ruolo importante. In guerra, a volte, un esercito è costretto a ritirarsi. Ma con buoni generali, un esercito può ritirarsi in buon ordine, conservando la maggior parte delle sue truppe per combattere un altro giorno, mentre i cattivi generali trasformeranno una ritirata in una rotta.
Per dimostrare la correttezza di questa affermazione è sufficiente citare la Gran Bretagna.
Crisi della democrazia borghese
La nostra epoca (l’epoca dell’imperialismo) è caratterizzata soprattutto dal dominio del capitale finanziario. Ogni governo, subito dopo il suo insediamento, viene informato che il ministro delle Finanze deve essere “gradito ai mercati”.
L’esperienza del governo Truss di beve durata in Gran Bretagna è servita a illustrare la natura del tutto fittizia della democrazia formale borghese nell’epoca attuale. Nel caso della Gran Bretagna, i mercati hanno scelto sia il ministro delle Finanze che il primo ministro, risparmiando così al popolo britannico la dolorosa necessità di eleggere qualcuno.
Dietro la maschera sorridente del liberalismo si nasconde il pugno di ferro del capitalismo monopolistico e la dittatura dei banchieri. Questo può essere usato in qualsiasi momento per distruggere qualsiasi governo che non obbedisca ai dettami del Capitale.
Questo vale ovviamente per i governi di sinistra, come nel caso della Grecia. Ma può valere anche per quelli di destra, come la signora Truss ha presto scoperto a sue spese. Un governo che perseguiva politiche non gradite ai borghesi è stato rimosso senza alcuno sforzo.
Qui abbiamo una prova molto chiara di chi comanda davvero: il mercato comanda. Il resto è solo un inganno e una pagliacciata. Questo è perfettamente naturale. Anche nelle condizioni più favorevoli, la democrazia borghese è sempre stata una pianta molto fragile.
Poteva esistere solo quando la classe dominante era in grado di fare certe concessioni alla classe operaia che, in una certa misura e per un periodo limitato, servivano a migliorare le condizioni delle masse e quindi a smussare l’asprezza della lotta di classe e a impedire che questa superasse certi limiti.
Le “regole del gioco” dovevano essere accettate da tutti e le istituzioni esistenti (il Parlamento, i politici, i partiti, lo Stato, la polizia, la magistratura, la “stampa libera” ecc.) godevano di una certa autorità e rispetto.
Per molto tempo, nei Paesi capitalistici avanzati dell’Europa e del Nord America, questo modello ha perlopiù avuto successo. Ma ora le condizioni sono cambiate e l’intero edificio della democrazia borghese formale è messo alla prova fino al punto di rottura.
Ovunque si guardi, si vede una chiara prova dell’inasprimento delle contraddizioni di classe che stanno lacerando il tessuto della società. Le tendenze centrifughe si manifestano nella sfera politica con il crollo del centro, che è la più chiara espressione della polarizzazione sociale.
America Latina
L’intera America Latina assomiglia a un vulcano in attesa di esplodere. Le sue economie vengono punite dalla rivalutazione del dollaro statunitense, che aumenta il costo del debito esistente e rende più costosi ulteriori finanziamenti.
Questo può portare a una crisi generalizzata del debito come quella degli anni Ottanta. Forse la più vulnerabile delle economie latinoamericane è ora l’Argentina. Ma diversi Paesi sono già sull’orlo del default.
L’America Latina è stata la regione del mondo più colpita dall’impatto sociale ed economico della pandemia di Covid-19, arrivata dopo un periodo di stagnazione economica. Prima della pandemia abbiamo assistito a movimenti di massa in diversi paesi che hanno assunto proporzioni insurrezionali in alcuni di essi, in particolare in Ecuador e in Cile nell’ottobre e novembre 2019.
I lockdown hanno parzialmente interrotto questo processo, ma ora i processi fondamentali si stanno riaffermando. C’è stato lo storico movimento dello sciopero nazionale in Colombia nel 2021 e poi un altro sciopero nazionale in Ecuador nel 2022.
Le masse sono tornate in piazza in gran numero ad Haiti e in altri paesi. Se la classe operaia non ha preso il potere in Cile, Ecuador e Colombia è stato solo per l’assenza di una direzione rivoluzionaria.
Nel periodo precedente, durante il boom delle materie prime, Evo Morales, Correa, Nestor Kirchner e anche Chávez sono riusciti in una certa misura ad attuare politiche sociali. Ma tutto questo è finito nel 2014 con il rallentamento della Cina.
Ora, governi politicamente simili a quelli dovranno invece affrontare una profonda crisi economica del capitalismo. Il loro margine di manovra sarà molto ridotto. Questo sarà anche il caso del governo Lula in Brasile.
Brasile
La disoccupazione in Brasile è ufficialmente pari a circa 11 milioni di persone, ma il numero reale dei senza lavoro è molto più alto. Gli ultimi dati mostrano che circa il 30% della popolazione vive in povertà, un fenomeno che è aumentato in modo significativo durante la pandemia. E con l’aumento dell’inflazione (che ora si aggira intorno all’8%) la situazione è destinata a peggiorare.
La popolazione è estremamente polarizzata, con una crescente povertà a un estremo e la concentrazione della ricchezza nelle mani di una piccola minoranza di super-ricchi all’altro. Questa polarizzazione si riflette nella situazione politica. Nelle elezioni del 2022, le comunità più povere del Nord e del Nord Est hanno votato massicciamente per Lula, mentre nel Centro e nel Sud più ricchi ha prevalso Bolsonaro.
Tuttavia, a causa della posizione di aperta collaborazione di classe di Lula e del suo spostamento a destra durante la campagna elettorale, Bolsonaro è stato in grado di raccogliere uno settore significativo dell’elettorato operaio.
Già nel 2018 è stata l’austerità di Dilma a preparare la vittoria di Bolsonaro, che ha potuto presentarsi demagogicamente come il candidato del “popolo”. Questo elemento è stato presente nelle elezioni del 2022 e spiega anche perché Bolsonaro ha fatto molto meglio di quanto inizialmente previsto dai sondaggisti.
La campagna di Lula era priva di qualsiasi contenuto che potesse seriamente attrarre i lavoratori e i poveri su una base di classe.
I lavoratori hanno sfruttato le elezioni per liberarsi dell’odiato Bolsonaro. Ma queste speranze saranno infrante dalla dura realtà della crisi del capitalismo in Brasile. Una volta sperimentato Lula al potere in un periodo di grave crisi capitalistica, cominceranno a trarre la conclusione che devono iniziare a prendere in mano la situazione, con scioperi, proteste di piazza e movimenti giovanili, come abbiamo visto in molti altri Paesi.
Il fallimento dei governi “progressisti”
I governi “di sinistra” e “progressisti” al potere hanno rivelato chiaramente i loro limiti in un periodo di grave crisi economica del capitalismo. È il caso del governo Fernandez e Kirchner in Argentina, che ha firmato un accordo con il FMI che prevede severe politiche di austerità.
In Cile, Boric ha proseguito la politica di militarizzazione delle regioni mapuche e ha attuato una politica fiscale di tagli per ridurre il deficit. In Messico, Lopez Obrador ha stretto ogni sorta di accordo con gli Stati Uniti sulla migrazione, ha portato l’esercito nelle strade per occuparsi della sicurezza ecc.
In Perù, Castillo ha fatto una concessione dopo l’altra alla classe dirigente e alle multinazionali. Ciò è servito solo a minare il suo stesso sostegno, senza placare la classe dominante che ora lo ha rimosso completamente dal potere.
Tutti questi governi avevano un’idea comune, quella dell'”anti-neoliberismo”. Si tratta dell’idea utopica che si possa governare nell’interesse dei lavoratori e dei contadini entro i limiti del capitalismo. Ma il “neoliberismo” non è una scelta politica, è solo l’espressione dell’impasse del capitalismo attuale su scala mondiale.
Non è possibile attuare una serie di politiche diverse senza sfidare il dominio della classe dominante e dell’imperialismo. Questa è la debolezza fatale di tutti i cosiddetti governi progressisti. È questa contraddizione centrale che prepara il terreno per nuove esplosioni sociali di massa in America Latina. Nuove sollevazioni rivoluzionarie sono all’ordine del giorno.
Cuba a un bivio
Cuba si trova ad affrontare la situazione più difficile dalla rivoluzione del 1959. Dal punto di vista economico, vediamo i colpi combinati dell’inasprimento delle sanzioni statunitensi dei tempi di Trump, l’impatto della Covid sul turismo, gli alti prezzi dell’energia, che si aggiungono al decennale blocco statunitense, e la cattiva gestione e l’inefficienza del governo burocratico.
La situazione è poi ulteriormente aggravata dalle politiche filocapitaliste della burocrazia cubana che, alla disperata ricerca di una via d’uscita dall’impasse, guarda alla Cina e al Vietnam.
Questo è il contesto in cui possono svilupparsi proteste antigovernative, come non si vedeva dal 1994. Ora la situazione è peggiorata. Dopo 10 anni di discussioni sulle riforme economiche, la situazione non è migliorata ma è peggiorata.
Una parte della popolazione ha perso ogni speranza, decine di migliaia di persone stanno emigrando e altre hanno perso la fiducia nel governo e nella burocrazia. In questo contesto si sono verificate le più grandi proteste dal 1994. Tuttavia, è necessario analizzare il contenuto di queste manifestazioni.
In assenza di una direzione rivoluzionaria consapevole, il comprensibile malcontento delle masse può rappresentare un terreno fertile per il sostegno popolare alla controrivoluzione capitalista.
Dall’altra parte c’è una parte significativa della popolazione che sostiene la rivoluzione, ha un forte sentimento anti-imperialista e si oppone alla controrivoluzione. Tra questo strato cresce anche la critica alla burocrazia.
Il nostro compito è quello di spiegare pazientemente, agli elementi più avanzati fra di loro, che l’unica via da seguire per la difesa della rivoluzione è la lotta per la democrazia operaia e l’internazionalismo proletario.
Africa
Ampie zone dell’Africa stanno vivendo un periodo di estrema turbolenza e instabilità. Dei 69 paesi che l’Fmi individua essere “in sofferenza debitoria o o in pericolo di diventarlo”, 50 di essi si trovano in Africa. Secondo i dati delle Nazioni Unite, nel 2021 circa 278 milioni di persone – circa un quinto della popolazione totale – hanno sofferto la fame, con un aumento di 50 milioni di persone rispetto al 2019. In base alle tendenze attuali, si prevede che questa cifra salirà a 310 milioni entro il 2030.
Questa situazione fa da sfondo alla generale instabilità e turbolenza sociale e politica che si è diffusa in tutto il continente. Ci sono stati movimenti di massa, colpi di stato, guerre e guerre civili in Mali, Niger, Burkina Faso, Ciad, Sudan, Etiopia, Guinea-Bissau, Guinea e nell’intera area del Sahel.
Questi conflitti hanno in parte determinato la cifra record di 100 milioni di persone costrette a lasciare le proprie case nel 2022. Anche i conflitti in Ucraina, Myanmar, Yemen e Siria hanno contribuito a questa cifra. Tuttavia, il problema della migrazione forzata è particolarmente acuto nell’Africa subsahariana a causa della crisi ambientale. Secondo un recente rapporto, due terzi dei 27 Paesi che affrontano “minacce ecologiche catastrofiche” si trovano in questa parte del mondo e tutti i 52 Paesi dell’Africa sub-sahariana, tranne uno, devono affrontare uno “stress idrico estremo”. Le pressioni combinate di crisi ambientale, conflitti e migrazioni forzate avranno un effetto sempre più destabilizzante, in tutto il continente e oltre.
Nigeria
La Nigeria, la più grande economia del continente, non è affatto al riparo da questa instabilità. Nonostante le vaste risorse petrolifere e minerarie del Paese, 70 milioni di persone vivono ancora in condizioni di estrema povertà.
L’élite al potere, corrotta e degenerata, è completamente incapace di risolvere i problemi del capitalismo nigeriano. I due principali partiti del Paese, il partito di governo All Progressives Congress e il principale partito di opposizione, il PDP, sono completamente screditati fra ampi strati della società.
Nel 2020 il Paese è stato scosso dal movimento giovanile di massa “EndSARS”. Questo meraviglioso movimento, guidato in gran parte dai giovani, è nato come reazione all’uccisione di un giovane a Ughelli, nello stato nigeriano del Delta, da parte della Squadra speciale antirapina (SARS) delle forze di polizia nigeriane.
Il movimento si è diffuso a macchia d’olio in quasi tutti gli Stati del Sud del paese. Questo movimento ha espresso la rabbia, la frustrazione e l’insoddisfazione accumulate dei giovani nigeriani, che sono stati i più colpiti dalla crisi del capitalismo.
Ma mentre il movimento alla fine si è affievolito, nessuno dei problemi di fondo che lo hanno generato è stato risolto. La crisi economica mondiale, l’aumento dell’inflazione e il fatto che altri milioni di persone si aggiungeranno alle fila dei poveri, preparano il terreno per nuovi cicli di lotta di classe a un livello ancora più alto.
Sudafrica
Il Sudafrica è il paese chiave del continente africano. Ha un’economia relativamente ben sviluppata e infrastrutture avanzate. È uno dei maggiori esportatori di minerali al mondo. Ha anche settori manifatturieri, finanziari, energetici e delle comunicazioni ben consolidati. Soprattutto, da un punto di vista marxista, ha un proletariato numeroso e forte con una grandiosa tradizione di lotta.
Tutti gli elementi necessari per la creazione di un Paese prospero sono presenti. Eppure la maggior parte della popolazione conduce un’esistenza precaria. La disoccupazione reale ammonta alla cifra sconcertante di 10,2 milioni di persone e metà della popolazione vive in povertà.
Per decenni, l’ANC è stata un pilastro di stabilità per il capitalismo sudafricano. Ma anni di scandali legati alla corruzione e attacchi alla classe lavoratrice hanno corroso la sua autorità e l’hanno fatta precipitare nella crisi più profonda di sempre.
Mentre il suo sostegno è diminuito, al suo interno è piombato in guerre di logoramento senza fine tra varie fazioni borghesi che stanno spaccando il partito, separandolo sempre di più dalle masse che lo vedevano come proprio.
Visto lo sviluppo particolare della lotta di classe e delle forze politiche in Sudafrica, la classe dominante non ha storicamente un secondo partito a cui appoggiarsi.
Con le condizioni economiche che preparano un’altra ascesa della lotta di classe, per la classe dominante sarà più difficile usare il peso dei leader dell’ANC per frenare il movimento.
Pakistan
Il Pakistan sta affrontando un’acuta crisi finanziaria e rischia di andare in default a causa del suo debito estero di 130 miliardi di dollari. Le riserve estere sono scese a uno dei livelli più bassi della storia. L’inflazione è ai massimi livelli dall’indipendenza. L’inflazione riguardante i generi alimentari e i carburanti supera il 45%.
A questo si aggiunge l’impatto delle inondazioni più catastrofiche della storia del Paese. Milioni di persone vivono una situazione drammatica di fame, mancanza di acqua potabile, mancanza di casa e povertà assoluta.
Il Primo Ministro Sharif si è rivolto al Fondo Monetario Internazionale per ottenere pacchetti di salvataggio, ma i gravi danni inflitti dalle inondazioni diffuse fanno sì che anche i prestiti del FMI non siano sufficienti a colmare il buco nelle finanze del Pakistan.
Nel frattempo il regime è spaccato e in crisi, con fazioni rivali che si combattono ferocemente, mentre il vero potere rimane saldamente nelle mani dei generali.
L’attuale governo guidato da Shahbaz Sharif è interessato soprattutto a rimuovere il partito di Imran Khan dalle amministrazioni provinciali e a rinsaldare la propria presa sul potere.
Il disperato tentativo di Khan di ritornare al suo posto è stato bloccato dai militari, che hanno cercato di eliminarlo dalla scena con il semplice espediente di un assassinio (fallito).
Ciò ha portato a una diffusa sfiducia della maggior parte della popolazione nei confronti di tutti i partiti, che sono visti giustamente come tanti gangster. Alla luce di tutti questi fattori, non si può assolutamente escludere uno scoppio di proteste di massa come quelle avvenute in Sri Lanka nel 2022.
Commentando l’attuale situazione catastrofica, lo stesso Khan ha dichiarato: “Per sei mesi sono stato testimone di una rivoluzione che si sta impadronendo del Paese… [L’] unica domanda è: sarà una rivoluzione morbida attraverso le urne o una rivoluzione distruttiva attraverso lo spargimento di sangue?”.
Le sue parole potrebbero rivelarsi più profetiche di quanto egli stesso si renda conto.
Il razionale diventa irrazionale
Quando la maggior parte delle persone contempla la situazione attuale, conclude che il mondo è impazzito. Le masse sentono nel cuore e nell’anima che qualcosa è andato storto, che qualcosa non funziona, che “il tempo sia scardinato”, per citare l’Amleto di Shakespeare. Ma non sanno cosa significhi.
Ciò che intendono dire è che non riescono a trovare alcuna spiegazione razionale a ciò che sta accadendo. In un certo senso, quando attribuiscono tutto a una sorta di follia collettiva, non hanno torto. Ma è la follia che è incorporata nel DNA del sistema capitalista. Per dirla con Hegel, il Razionale diventa Irrazionale.
Ma in un altro senso, più profondo, si sbagliano. Credono che ciò che sta accadendo non possa essere compreso e cadono in disperazione.
Ma come l’universo in generale, tutti i processi che osserviamo hanno una spiegazione razionale e possono essere compresi. Per acquisire tale comprensione, è necessario possedere un metodo adeguato. E questo non può che essere il metodo del pensiero dialettico: il metodo del marxismo.
Quelle descritte sono solo le manifestazioni esteriori di una crisi esistenziale del capitalismo.
Il sistema capitalista non è più in grado di utilizzare tutte le forze produttive – compresa la forza lavoro della classe operaia – a cui ha dato origine. Questa è un’indicazione dei limiti che il sistema capitalista ha raggiunto.
Questo non significa che il sistema capitalistico stia per crollare. Lenin spiegava che i capitalisti troveranno sempre una via d’uscita anche dalla crisi più profonda. La domanda è: a quale costo per l’umanità, e per la classe operaia in particolare?
Una recessione profonda vedrebbe la disoccupazione raggiungere proporzioni storiche. Ciò avrà le più profonde implicazioni rivoluzionarie. Gli strateghi del Capitale lo hanno già capito.
Alla fine dello scorso settembre, il Segretario Generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres ha avvertito i leader internazionali dell’incombente “inverno del malcontento globale” in un mondo assediato da molteplici crisi, dalla guerra in Ucraina al riscaldamento del clima.
“La fiducia si sta sgretolando, le disuguaglianze stanno esplodendo, il nostro pianeta sta bruciando”, ha detto Guterres aprendo l’Assemblea Generale annuale. È una valutazione corretta della situazione globale. Ma non è stato l’unico ad arrivare a una prospettiva pessimista. La società di consulenza sui rischi Verisk Maplecroft ha scritto in un rapporto del 2 settembre 2022:
“Il mondo sta affrontando un aumento senza precedenti dei disordini civili, mentre i governi di tutti gli schieramenti sono alle prese con l’impatto dell’inflazione sui prezzi degli alimenti di base e dell’energia”.
“Per i governi incapaci di uscire dalla crisi, la repressione sarà probabilmente la risposta principale alle proteste antigovernative”, si legge nel rapporto di Verisk Maplecroft.
“Ma la repressione comporta dei rischi, in quanto lascia le popolazioni scontente con meno meccanismi per incanalare il loro dissenso in un momento di crescente frustrazione per lo status quo. Nei Paesi in cui ci sono pochi meccanismi efficaci per incanalare il malcontento popolare, come media liberi, sindacati funzionanti e tribunali indipendenti, è probabile che si abbassi la soglia oltre la quale le popolazioni scendono in piazza“.
Nessuna riforma?
Oggettivamente, il sistema capitalista non può più permettersi di garantire le riforme conquistate dalla classe operaia nei decenni successivi alla Seconda Guerra Mondiale.
La borghesia si trova ora di fronte a un problema insormontabile: come far accettare alla classe operaia la cancellazione di queste conquiste? Ciò si sta rivelando così difficile che la classe dominante è costretta a continuare a sostenere un sistema insostenibile.
Ma è corretto dire, come fanno alcuni, che le riforme sono ormai impossibili? No, non è corretto. Se rischia di perdere tutto, la classe dominante attuerà in breve tempo le riforme, anche quelle che “non può permettersi”.
Nel dopoguerra le borghesie dei paesi capitalisti avanzati potevano permettersi di fare concessioni perché avevano accumulato uno strato di grasso. Queste riserve potevano essere utilizzate nei momenti di crisi, quando la sopravvivenza del sistema era in pericolo.
E anche se ciò si rivelasse insufficiente, possono ricorrere all’indebitamento, creando debiti enormi, che possono far ricadere sulle spalle delle generazioni future. Ed è proprio quello che hanno fatto durante la pandemia, perché erano terrorizzati dalle potenziali conseguenze sociali e politiche di un collasso economico generale.
Così si ricorse ai metodi keynesiani, che gli economisti avevano precedentemente consegnato alla pattumiera della storia. Durante la pandemia hanno speso cifre da capogiro. Ma si sono ritrovati con enormi debiti che prima o poi dovranno essere pagati. Ed è ancora così.
Quello che si può dire è che la borghesia non può permettersi di fare riforme significative e durature. Quello che danno con una mano, se lo riprendono con l’altra. L’inflazione annulla rapidamente qualsiasi aumento salariale. E l’accumulo di debito non fa altro che aggiungere contraddizioni ancora maggiori per il futuro.
L’inflazione porterà a un’ondata di scioperi e a un’intensificazione della lotta economica.
Una crisi profonda, invece, porterebbe a una riduzione dell’attività di sciopero, ma la minaccia di chiusura delle fabbriche può portare a occupazioni e presidi, e ci sarebbe una svolta verso il fronte politico.
Non è escluso che alla fine, di fronte all’opposizione delle masse all’austerità, i borghesi siano costretti a ritirarsi, optando invece per un attacco indiretto.
Sia l’inflazione che la deflazione sono attacchi alla classe operaia. La differenza è che l’inflazione è un attacco indiretto, mentre la deflazione (disoccupazione) è un attacco diretto. Dal punto di vista dei lavoratori, si tratta di scegliere tra una morte lenta sul rogo o una morte rapida per impiccagione. Nessuna delle due è accettabile. Ed entrambe porteranno a un’esplosione della lotta di classe.
Disuguaglianza
In un recente rapporto, la Banca Mondiale ha previsto che, a meno di una brusca ripresa dell’economia mondiale, si stima che nel 2030 574 milioni di persone, pari a circa il 7% della popolazione mondiale, vivranno ancora con soli 2,15 dollari al giorno, soprattutto in Africa.
Al contrario, i ricchi stanno diventando sempre più oscenamente ricchi. Un recente articolo di Bloomberg ha parlato delle prospettive di un nuovo fenomeno chiamato “neonati da migliaia di miliardi di dollari“, destinato a comparire nel prossimo decennio. Si tratta di figli di super-ricchi che fin dalla nascita saranno più ricchi di alcuni piccoli Paesi.
“Come si può parlare di pari opportunità”, sottolinea l’articolo, “quando alcune persone ereditano fortune che superano le sovvenzioni di intere università? E come si può elogiare l’etica del lavoro quando abbiamo una classe di fannulloni in continua espansione?“.
La realtà è quella descritta da Marx nel Capitale: “L’accumulazione di ricchezza all’uno dei poli è dunque al tempo stesso accumulazione di miseria, tormento di lavoro, schiavitù, ignoranza, brutalizzazione e degradazione morale al polo opposto ossia dalla parte della classe che produce il proprio prodotto come capitale.”
I superprofitti osceni annunciati da Shell e da altre grandi compagnie energetiche, proprio in un momento in cui milioni di persone lottano per sopravvivere, provocano sentimenti di ingiustizia e rancore profondi e duraturi.
Queste palesi contraddizioni vengono notate dalle masse, alimentando il fuoco ardente del risentimento e dell’odio per i ricchi parassiti che, a loro volta, alimenteranno la lotta di classe. L’intera situazione è gravida di implicazioni rivoluzionarie. Possiamo già vederne delle prove lampanti.
Sri Lanka
Se volete vedere com’è una rivoluzione, basta guardare l’insurrezione popolare spontanea nello Sri Lanka. Qui abbiamo visto la colossale forza potenziale delle masse. Ed è arrivata senza alcun preavviso, come un fulmine a ciel sereno.
Se qualcuno dubitava della capacità delle masse di fare una rivoluzione, questa è stata una risposta clamorosa. Gli eventi in Sri Lanka hanno dimostrato che, quando le masse smettono di avere paura, nessuna repressione può fermarle.
Senza direzione, senza organizzazione e senza un programma chiaro, le masse sono scese in piazza e hanno rovesciato il governo con la facilità di un uomo che schiaccia una zanzara. Ma lo Sri Lanka ci mostra anche qualcos’altro.
Il potere era nelle strade, in attesa che qualcuno lo raccogliesse. Sarebbe stato sufficiente che i leader delle proteste dicessero: “Ora abbiamo il potere. Siamo noi il governo”.
Ma queste parole non sono mai state pronunciate. Le masse hanno lasciato tranquillamente il palazzo presidenziale ed è stato permesso al vecchio potere di tornare. I frutti della vittoria sono stati riconsegnati ai vecchi oppressori e ai ciarlatani in parlamento.
Il potere era nelle mani delle masse, ma è stato lasciato scivolare tra le loro dita. È una verità sgradevole. Ma è la verità.
La conclusione è ineluttabile. Senza una corretta direzione, la rivoluzione può arrivare alla vittoria solo con grande difficoltà e, il più delle volte, non può vincere del tutto.
Iran
Un’ulteriore, eclatante conferma di ciò è stata fornita dalla rivolta rivoluzionaria e ispiratrice in Iran. È avvenuta dopo la morte, sotto la custodia della polizia, di Masha Amini, una donna curda di 22 anni, arrestata dall’odiata polizia morale, a quanto sostengono, per “non aver indossato correttamente l’hijab”.
Ma non si è trattato di un evento isolato. Ci sono state molte morti simili in Iran. In questa occasione, però, si è raggiunto un punto critico in cui la quantità si è trasformata in qualità.
L’esplosione che ne è seguita si è immediatamente diffusa in tutte le principali città, estendendosi anche a piccole città e villaggi che non avevano mai assistito a manifestazioni. I manifestanti erano per la maggior parte giovani, in gran parte ragazze, provenienti non solo dalle università ma anche dalle scuole.
Le forze di sicurezza hanno risposto con una brutale repressione, che è diventata sempre più dura con la crescita del movimento. Negli scontri numerosi e violenti tra i giovani e le forze di repressione, centinaia di persone sono state uccise e migliaia arrestate.
In risposta gli scioperi studenteschi si sono diffusi in oltre cento università e in molte scuole. L’aspetto più sorprendente di queste proteste è stata la totale mancanza di paura da parte dei giovanissimi, soprattutto di ragazze molto giovani.
Le studentesse in Iran hanno iniziato a sventolare in aria i loro hijab e a lanciare cori contro le autorità clericali. Che fonte di ispirazione è stata! I loro slogan avevano spesso un contenuto apertamente rivoluzionario, invocando il rovesciamento del regime e “Morte alla Guida Suprema!”.
La reazione brutale del regime non ha radicalizzato solo i giovani, ma anche organizzazioni dei lavoratori, con molti scioperi. L’elenco comprende i camionisti, il Consiglio per l’organizzazione delle proteste dei lavoratori a contratto del settore petrolifero, i lavoratori di Haft Tappeh, i lavoratori dell’Azienda degli autobus di Teheran, il Comitato di coordinamento degli insegnanti, tra gli altri.
In tutto il Paese sono stati istituiti comitati rivoluzionari fra la gioventù e sono stati lanciati appelli allo sciopero generale, sostenuti dalle organizzazioni sopra citate e dalla maggior parte dei sindacati indipendenti. C’è stata una serie di ondate di scioperi dei piccoli negozianti, i mercanti nei bazar, che in passato erano uno dei pilastri più solidi del regime. Ma i lavoratori dell’industria non si sono ancora mossi in modo decisivo, e questo è il tallone d’Achille del movimento.
Tutto ciò è stato molto simile ai movimenti che si sono verificati prima dell’insurrezione rivoluzionaria del 1979. Ma non è chiaro se il movimento attuale raggiungerà uno stadio superiore.
I lavoratori mostrano grande simpatia e sostegno per la ribellione dei giovani, ma se la rivolta rimane isolata ai giovani, non può avere successo.
Un movimento come questo non può rimanere tale ancora a lungo senza arrivare al punto critico in cui o riuscirà a rovesciare il regime o subirà una sconfitta. Come in Sri Lanka, la questione più decisiva è il fattore soggettivo: la direzione rivoluzionaria.
Il fattore soggettivo
L’intensificazione della lotta di classe deriva da questa analisi con la stessa inevitabilità con cui la notte segue il giorno. Ma l’esito della lotta di classe non può mai essere previsto in anticipo, perché si tratta di una lotta di forze vive.
Come abbiamo spiegato in precedenza, ci sono molte analogie tra la guerra tra le classi e quella tra le nazioni. In entrambi i casi sono coinvolti fattori oggettivi e soggettivi. E il fattore soggettivo gioca il più delle volte un ruolo decisivo.
Ci riferiamo ad aspetti come il morale e lo spirito battagliero delle truppe e, soprattutto, la qualità della direzione. Il periodo attuale sarà caratterizzato da un’intensificazione delle lotte di classe e delle rivolte di massa. Ma ciò che manca è la direzione rivoluzionaria.
Il fattore soggettivo è importante nelle rivoluzioni come in qualsiasi guerra. Quante volte, nella storia delle guerre, un grande esercito di soldati determinati e coraggiosi è stata portata alla sconfitta da ufficiali codardi e incompetenti, quando si è trovato di fronte una forza molto più piccola di soldati professionisti disciplinati e addestrati, guidati da ufficiali validi e audaci?
È questo fattore che manca, o è estremamente debole al momento attuale. Le forze del marxismo autentico sono state ricacciate indietro per decenni da fattori storici che non è necessario spiegare in questa sede. E la degenerazione dei leader riformisti ed ex stalinisti ha raggiunto un punto così basso che sarebbe sembrato impensabile in passato.
Pertanto, anche se possiamo prevedere con assoluta sicurezza che i lavoratori insorgeranno in rivolta in un paese dopo l’altro, non possiamo esprimere lo stesso grado di fiducia per quanto riguarda l’esito di queste lotte.
Il fallimento della sinistra
Prendiamo alcuni esempi, a partire da Sanders negli Stati Uniti e Corbyn in Gran Bretagna. Erano molto confusi e ovviamente avevano molti limiti. Questo era molto chiaro ai marxisti fin dall’inizio. Ma ciò che è chiaro per noi non è necessariamente chiaro per le masse.
Tuttavia, dal nostro punto di vista, entrambi avevano un grande significato sintomatico. Hanno rivelato qualcosa di molto importante. Entrambi hanno agito come un catalizzatore che ha portato in superficie un profondo malcontento nei confronti dell’establishment politico e della società esistente presente nelle masse, ma che era rimasto solo latente perché mancava un punto di riferimento.
I discorsi dai toni radicali di Sanders e Corbyn hanno agito come un potente magnete che ha permesso agli istinti rivoluzionari disorganici ed embrionali di esprimersi in modo organizzato. Questo è un fatto molto importante, che ha importanti implicazioni per il futuro.
La messa in discussione generale del sistema capitalistico è venuta a galla e la parola socialismo è tornata all’ordine del giorno, il che è stato molto positivo. Tuttavia, in ultima analisi, queste si sono rivelate solo figure accidentali che si sono scontrate con i propri limiti e ne sono uscite distrutte. Di conseguenza, i movimenti di massa sorti intorno a loro sono ormai morti.
Si potrebbe dire la stessa cosa di Hugo Chavez, anche se si spinse più lontano di loro e ottenne molto di più. Se avrebbe potuto evolversi ulteriormente qualora non fosse morto prematuramente è una domanda a cui non si potrà mai rispondere. Ma anche nel suo caso la mancanza di chiarezza politica ha giocato un ruolo fatale, come i successivi sviluppi in Venezuela hanno chiaramente rivelato.
I casi di Podemos in Spagna e di Syriza in Grecia forniscono esempi ancora più chiari del ruolo disastroso della cosiddetta sinistra in politica. Più questi leader si avvicinano al potere, più diventano timidi, vigliacchi e traditori.
La loro retorica radicale serve solo a coprire il fatto che non mettono mai in discussione l’esistenza del sistema capitalistico e quindi, quando si trovano al governo, sono costretti a operare sulla base delle sue leggi.
Il risultato inevitabile è il tradimento e la demoralizzazione della loro base. La conclusione è ovvia. Con l’attuale direzione, ci sarà una sconfitta dopo l’altra.
Ma questo è solo un aspetto del processo. Gradualmente, a partire dai settori più avanzati, in particolare i giovani, i lavoratori impareranno dalle loro sconfitte. Inizieranno a comprendere il vero ruolo del riformismo di sinistra e cercheranno di andare oltre.
In molti Paesi abbiamo assistito alla nascita spontanea di gruppi di giovani che si definiscono comunisti. Si tratta di uno sviluppo molto significativo, al quale dobbiamo prestare molta attenzione.
Similitudini e differenze
Le condizioni economiche del prossimo periodo saranno molto più simili a quelle degli anni ’30 che a quelle che hanno seguito la Seconda Guerra Mondiale. Ma ci sono importanti differenze, soprattutto perché l’equazione sociale è cambiata.
Le riserve sociali della reazione sono molto più deboli di allora e il peso specifico della classe operaia è molto maggiore. I contadini sono in gran parte scomparsi nei paesi a capitalismo avanzato, mentre ampi settori della classe media di un tempo (professionisti, impiegati, insegnanti, professori universitari, funzionari pubblici, medici e infermieri) si sono avvicinati al proletariato e si sono sindacalizzati.
Gli studenti, che in passato hanno fornito le truppe d’assalto al fascismo, si sono spostati nettamente a sinistra e sono aperti alle idee rivoluzionarie. Soprattutto, la classe operaia, nella maggior parte dei Paesi, non ha subito gravi sconfitte per decenni. Le sue forze sono in gran parte intatte.
Inoltre, la classe dominante si è scottata le dita con il fascismo in passato e non ha intenzione di percorrere facilmente quella strada. Quello che vediamo è una crescente polarizzazione politica, a destra ma anche a sinistra. Ci sono molti demagoghi di destra in giro e alcuni vengono anche eletti al potere. Tuttavia, ciò non equivale a un regime fascista, che si basa sulla mobilitazione di massa della piccola borghesia inferocita, usata come ariete per distruggere le organizzazioni dei lavoratori.
Ciò significa che la classe dominante si troverà di fronte a serie difficoltà quando cercherà di riportare indietro le cose e di riprendersi le conquiste del passato. La profondità della crisi significa che dovranno cercare di tagliare e ridurre all’osso. Ma questo provocherà esplosioni in un paese dopo l’altro.
Le donne e i giovani
Da questo caos sta nascendo un nuovo livello di coscienza. La gente comune, soprattutto i giovani e le donne, sente istintivamente che “c’è qualcosa di sbagliato in questa società”, che “viviamo in un mondo ingiusto”.
In una certa misura, questo è il caso dei lavoratori più in generale. Sono state esercitate pressioni spietate sui lavoratori per aumentare la quantità di beni prodotta e ridurre il tempo necessario per produrla. I salari sono rimasti costantemente indietro rispetto agli aumenti di produttività. In America, fino a poco tempo fa i salari reali non erano aumentati per un periodo di circa 40 anni. E con il ritorno di un’inflazione elevata, i salari reali statunitensi sono di nuovo in declino.
Ma ciò è più evidente, e più sviluppato, nel caso dei giovani e delle donne che devono sopportare il peso della crisi del capitalismo. Sono i settori più sfruttati e oppressi della classe.
In un paese dopo l’altro si sono verificate grandi mobilitazioni di donne contro il divieto di aborto: dagli Stati Uniti alla Polonia e all’Irlanda cattoliche. Anche in Argentina e in Cile si sono verificati movimenti di massa per il diritto all’aborto. In Messico, dove il trattamento disumano e barbaro delle donne ha raggiunto proporzioni epidemiche, ci sono stati anche movimenti di massa per protestare contro la violenza sulle donne. Questo è stato anche un fattore di radicalizzazione politica in Spagna.
In questo contesto, gli slogan democratici più elementari possono rapidamente acquisire un contenuto apertamente rivoluzionario.
L’espressione più chiara della rivolta delle donne si è avuta in Iran, dove il movimento di un numero enorme di giovani ragazze è passato rapidamente dalle proteste contro l’obbligo di indossare l’hijab alla richiesta di rovesciare in modo rivoluzionario un regime mostruosamente oppressivo.
Ciò indica l’inizio di un livello di coscienza completamente nuovo. In queste circostanze, c’è una profonda sensibilità tra questi settori a qualsiasi manifestazione di ingiustizia. Ciò include la questione del razzismo, come abbiamo visto con la rivolta di Black Lives Matter.
In tutti i Paesi, i giovani sono in prima linea nella lotta. Non è un caso. Gli eventi hanno dimostrato che un numero crescente di giovani è pronto a scendere in piazza per protestare contro il capitalismo.
Ancora una volta sulla coscienza
Sarebbe un errore fondamentale supporre che la maggioranza dei lavoratori veda le cose nello stesso modo in cui le vediamo noi. Vedere l’intero processo storico è una cosa, ma il modo in cui le masse intendono tale processo è un’altra cosa, completamente diversa.
La coscienza della classe operaia è fortemente influenzata dai cambiamenti della situazione oggettiva. Trotskij lo ha spiegato brillantemente in un importante articolo intitolato “Il terzo periodo degli errori dell’Internazionale comunista”.
Per alcuni settari la questione semplicemente non si pone. Per loro, la classe operaia è sempre pronta alla rivolta. Per loro è una costante che non ha nulla a che fare con i cambiamenti delle condizioni oggettive. Ma non è affatto così.
Trotskij criticò aspramente l’idea avanzata dagli stalinisti nel famigerato “Terzo Periodo”, e che ancora oggi viene ripetuta da alcuni sciocchi estremisti di sinistra, secondo cui le masse sono sempre pronte a rivoltarsi e sono solo gli apparati burocratici conservatori del movimento operaio a impedirglielo.
Trotskij disprezza quest’idea e vale la pena di inserire una lunga citazione delle sue parole:
“La radicalizzazione delle masse viene descritta come un processo continuo: oggi le masse sono più rivoluzionarie di ieri, domani saranno più rivoluzionarie di oggi. Questo modo meccanico di presentare le cose non trova riscontro nel reale processo di sviluppo del proletariato e della società capitalista nel suo complesso.
“La socialdemocrazia, soprattutto prima della guerra, guardava il futuro sotto forma di una crescita continua di consensi, fino al momento della presa totale del potere. Per il pensatore superficiale o per lo pseudo-rivoluzionario, questa prospettiva resta, in ultima istanza, valida, solo che invece parlare di aumento continuo dei consensi, costoro parlano della continua radicalizzazione delle masse. Questa concezione meccanica si basa sul programma di Stalin e di Bukharin dell’Internazionale comunista.
“Certamente bisogna dire che, considerando la nostra epoca nel suo insieme, il proletariato avanza verso la rivoluzione. Ma questo non è affatto un processo ininterrotto, proprio come non lo è il processo oggettivo dell’acuirsi delle contraddizioni capitalistiche. I riformisti non vedono che la crescita del capitalismo. I “rivoluzionari” formali vedono solo le crisi. Il marxista, invece, osserva il processo nel suo insieme, in tutte le sue fasi di ripresa e di riflusso, senza per questo perdere di vista per un solo istante la dinamica principale: le catastrofi militari, le esplosioni rivoluzionarie.
“L’ambiente del proletariato non cambia in modo automatico e costante. La lotta di classe ha fasi ascendenti e discendenti, flussi e riflussi, secondo la complessa combinazione di condizioni materiali e ideologiche, tanto nazionali che internazionali. Se la disponibilità a lottare delle masse non è sfruttata al momento opportuno o se lo è in modo erroneo, si trasforma nel suo opposto, e porta a un periodo di riflusso, da cui le masse si risollevano con maggiore o minore rapidità sotto l’effetto di nuove spinte oggettive.
“La nostra epoca è caratterizzata da cambiamenti particolarmente bruschi, da svolte nella situazione che avvengono in modo molto brutale; tutto ciò determina, nei confronti della direzione, responsabilità molto ardue per quanto riguarda l’elaborazione di un orientamento corretto.
“L’attività delle masse propriamente detta assume forme diverse, secondo le circostanze. In certi periodi, le masse possono essere completamente impegnate nella lotta economica e manifestare pochissimo interesse per le questioni politiche. Oppure, dopo aver subito una serie di sconfitte importanti sul terreno della lotta economica, possono improvvisamente rivolgere l’attenzione alla politica. In quel caso – secondo come si configura la situazione concreta e secondo l’esperienza acquisita in passato – la sua azione politica può manifestarsi nella lotta esclusivamente parlamentare, o in quella extraparlamentare“. (Lev Trotskij, pag. 1-2, AC Editoriale)
Queste righe sono estremamente importanti perché dimostrano che da affermazioni generali sull’epoca è impossibile dedurre lo stadio in cui si trova la coscienza del proletariato o il movimento concreto della classe. Vediamo qui molto chiaramente il metodo di Trotskij, che non procede da formule astratte (“la nuova epoca”) ma da fatti concreti.
Ogni tipo di elementi si combinano per plasmare la coscienza delle masse nei paesi capitalisti avanzati, non solo la situazione attuale o anche quella dell’ultimo decennio, ma il tipo di condizioni che si sono create per un periodo di decenni dopo la Seconda Guerra Mondiale. Questo vale soprattutto per la generazione più anziana. La mentalità dei giovani è una questione diversa. È un discorso a parte.
La coscienza dei lavoratori in Europa e negli Stati Uniti è stata plasmata per decenni da quello che è stato quantomeno un periodo di relativa prosperità. Il 15 novembre 1857, Engels si lamentò in una lettera a Marx:
“Per la lunga prosperità le masse debbono essere cadute in profondo letargo”. E aggiungeva: “La pressione cronica è necessaria per un certo tempo, per riscaldare il popolo. Il proletariato in questo caso colpisce meglio, con una migliore coscienza della causa e maggiore accordo…“.
La classe operaia nel suo complesso possiede una colossale capacità di sopportazione. Tollera anche cattive condizioni per un certo periodo di tempo prima che diventino assolutamente intollerabili. Ci vuole tempo perché la quantità si trasformi in qualità. E ci vuole tempo perché la coscienza, che è intrinsecamente conservatrice, si metta al passo con i cambiamenti della realtà.
Per tutto un periodo l’inflazione è stata bassa, il che significa che, anche se il tasso di sfruttamento stava aumentando, con i loro salari i lavoratori potevano comprare più di prima. I lavoratori hanno potuto acquistare automobili, televisori di grandi dimensioni e altri beni il cui prezzo è diminuito grazie ai progressi tecnologici e all’aumento della produttività del lavoro.
I bassi tassi di interesse hanno anche prodotto un’espansione senza precedenti del credito. Milioni di persone hanno potuto comprare cose che in realtà non potevano permettersi, ma solo indebitandosi sempre di più.
Vedendo come vanno le cose oggi e guardando al passato, è troppo facile avere una falsa percezione di quanto si stesse bene una volta. Ma ora tutto questo è minacciato. Ed è questo che sta iniziando a determinare un cambiamento fondamentale nella coscienza.
Il processo molecolare della rivoluzione
La questione dell’inflazione è un elemento chiave per una modifica dell’atteggiamento della vecchia generazione. Se è vero che i giovani sono lo strato più radicalizzato e più aperto alle idee rivoluzionarie, la rabbia sta crescendo tra tutte le fasce di età. Chi fino a poco tempo fa pensava che le cose andassero bene così e che la vita fosse stabile e prevedibile, ora sta subendo un vero e proprio shock.
Tutto si sta trasformando nel suo contrario. C’è un peggioramento improvviso e molto forte delle condizioni di vita, che sta cambiando la prospettiva delle persone. Improvvisamente, tutti si lamentano. Non riescono ad arrivare alla fine del mese.
In passato, in Occidente, i padroni e i dirigenti sindacali stipulavano accordi per aumenti salariali annuali dell’uno o due per cento, che tenevano a malapena il passo con l’inflazione, e li imponevano ai lavoratori. Oggi tali accordi equivarrebbero a un calo significativo dei salari reali. Per un numero sempre maggiore di lavoratori sta diventando chiaro che, per mantenere il proprio tenore di vita, dovranno organizzarsi e lottare. Ovunque si registra un netto aumento delle lotte sindacali, che spesso si concludono con la vittoria dei lavoratori.
In Gran Bretagna, centinaia di migliaia di lavoratori in molti settori hanno scioperato; in Grecia, Belgio e Francia abbiamo assistito a scioperi generali; negli Stati Uniti i lavoratori di nuovi settori come Starbucks, Apple e Amazon stanno lottando per sindacalizzarsi e iniziano a intraprendere lotte sindacali, e abbiamo anche assistito alla vertenza dei ferrovieri. Infine, in Canada abbiamo visto come gli attacchi di Doug Ford contro i lavoratori dell’istruzione in Ontario abbiano portato a uno sciopero illegale e i leader sindacali hanno minacciato uno sciopero generale che è riuscito a sconfiggere la legislazione sulla precettazione – un fatto inedito nella storia del Canada. Ovunque la classe operaia sta iniziando a svegliarsi sotto l’impatto della crisi del carovita.
L’inflazione sta avendo un impatto enorme anche sulle piccole imprese, molte delle quali si trovano di fronte al fallimento, e sugli anziani che vedono il valore delle loro pensioni eroso giorno dopo giorno. In Spagna ci sono già state manifestazioni di massa dei pensionati. E gran parte della volatilità sociale che vediamo in paesi come l’Italia è un fenomeno strettamente correlato.
C’è un sentimento generale di insicurezza e paura per il futuro che aggrava enormemente l’instabilità politica e sociale. Questo pone la classe capitalista di fronte a grandi pericoli e spiega perché sia costretta a prendere misure molto rischiose nel tentativo di prevenire sviluppi rivoluzionari.
Quando persone che prima non mostravano alcun interesse per la politica iniziano improvvisamente a parlare di politica alla fermata dell’autobus o al supermercato, è l’inizio di quello che Trotskij chiamava il processo molecolare della rivoluzione.
È vero che manca loro l’analisi elaborata e scientifica che hanno i marxisti. La loro comprensione della politica è elementare, grezza e non sviluppata. Ma è guidata da un elementare senso di ingiustizia, dalla sensazione che qualcosa non funzioni nella società e che qualcosa debba cambiare.
È una coscienza di classe elementare che è il primo embrione di una coscienza rivoluzionaria. L’elemento più importante di questo cambiamento è quello economico. Ma non è l’unico fattore.
Il disastro ambientale
Il sistema capitalistico sta conducendo il mondo verso un disastro ambientale che incombe nella mente di molte persone. Per alcuni, infatti, si tratta di un problema esistenziale. Per intere nazioni, il loro stesso futuro è a rischio.
A un estremo, c’è il problema della siccità e del prosciugamento dei fiumi, che sta avendo un effetto devastante sui raccolti e sulla produzione di cibo e quindi sta facendo salire l’inflazione.
Dall’altro, ci sono tempeste devastanti, uragani e terribili inondazioni, come abbiamo visto in paesi come il Bangladesh e il Pakistan, dove 33 milioni di persone sono state direttamente colpite.
In Paesi come la Somalia, sono morti oltre tre milioni di animali, distruggendo la fonte di sostentamento di milioni di persone. In Brasile, la distruzione criminale dell’Amazzonia ha raggiunto livelli record. Tra gennaio e giugno 2022, nella regione sono stati dissodati circa 3.988 chilometri quadrati di terra. Nello stesso periodo sono stati distrutti 3.088 chilometri quadrati di foresta pluviale.
Anche nei Paesi a capitalismo avanzato è evidente l’aumento delle condizioni meteorologiche estreme. Molte persone vivono nella costante paura che la loro casa venga allagata o spazzata via.
Nelle grandi città, l’aria è avvelenata da fumi tossici, i fiumi sono soffocati dai rifiuti chimici delle fabbriche, delle fattorie e dei reflui umani e gli oceani sono inquinati da infinite tonnellate di plastica e altri rifiuti.
L’estrazione mineraria dai fondali marini, un tempo confinata nella fantascienza, sta ora diventando una realtà, con prevedibili conseguenze catastrofiche per l’equilibrio ecologico del pianeta e la biodiversità. In tutti i Paesi il tasso di estinzione delle specie vegetali e animali ha raggiunto livelli allarmanti.
Tutte queste cose smuovono la coscienza di milioni di persone, soprattutto dei giovani. Ma l’indignazione morale e le manifestazioni di rabbia sono del tutto insufficienti, perché senza una diagnosi corretta è impossibile offrire una soluzione.
I borghesi sono giunti tardivamente alla conclusione che bisogna fare qualcosa. Ma nel capitalismo tutto è subordinato alla logica del profitto e agli interessi dei monopoli. Per esempio, stanno mascherando le politiche volte a proteggere l’industria americana o europea dalle merci provenienti da Paesi con una legislazione ambientale “meno severa” (Cina in primis) per mezzo di una retorica verde.
Fondamentalmente, tutte le loro politiche cercano di scaricare i costi della crisi ambientale sulla classe operaia e sui settori più poveri della società. Mentre le multinazionali dell’energia continuano a realizzare profitti record, le famiglie della classe operaia saranno costrette a pagare prezzi più alti per il carburante e a sostituire le loro automobili e e le loro caldaie. Allo stesso tempo, dovranno pagare i lauti sussidi alle grandi imprese attraverso un aumento delle imposte.
Di conseguenza, agli occhi di una parte della classe classe operaia, la “lotta contro il cambiamento cambiamento climatico” potrebbe essere sempre più associata con l’austerità capitalista e la crisi del carovita. Questo potrebbe fare il gioco di quelle forze reazionarie che negano l’esistenza del riscaldamento globale antropogenico e promuovono combustibili fossili.
La catastrofe ambientale è un chiaro risultato della follia dell’economia di mercato. Va sottolineato che l’esistenza del capitalismo rappresenta oggi una minaccia chiara e attuale per il futuro della civiltà umana.
Se il movimento ambientalista si limita alla politica dei gesti vuoti, si condannerà all’impotenza. L’unico modo per raggiungere i propri obiettivi è assumere una posizione chiara e inequivocabilmente anticapitalista e rivoluzionaria. Dobbiamo cercare di raggiungere gli elementi migliori e convincerli di questo dato di fatto.
Il ruolo dei marxisti
Soprattutto a causa della debolezza del fattore soggettivo, l’attuale crisi non avrà una risoluzione rapida. Questo ritardo è vantaggioso per i marxisti, perché ci darà il tempo necessario per rafforzare le nostre forze e costruire una solida base nella classe operaia e nel movimento operaio.
La crisi si prolungherà nel tempo e ci saranno molti flussi e riflussi della lotta di classe. A momenti di euforia seguiranno altri momenti di stanchezza, apatia e persino disperazione. Ma in ogni caso, la classe si rialzerà sempre, pronta a riprendere la lotta, non per qualche magia, ma semplicemente perché non ha altra alternativa se non quella di lottare.
La classe lavoratrice nel suo complesso non impara dai libri, ma dall’esperienza. Ma impara, sia dalle sconfitte e dalle battute d’arresto che dalle vittorie. Sta imparando proprio ora i limiti del riformismo di sinistra. Una volta Engels disse che gli eserciti sconfitti imparano bene la lezione. Lenin commentò: “Queste splendide parole si applicano in misura molto maggiore agli eserciti rivoluzionari”.
Ma si tratta di una curva di apprendimento molto lunga e saranno necessarie molte esperienze future prima che la classe abbandoni definitivamente le sue illusioni sul riformismo (soprattutto sotto le sue spoglie di “sinistra”) e arrivi a comprendere la necessità di una rivoluzione sociale complessiva.
Il nostro ruolo non è quello di impartire lezioni alla classe operaia da una posizione defilata, ma di partecipare attivamente alla lotta di classe. È compito dei marxisti attraversare questo processo insieme alla classe operaia, lottare al fianco dei lavoratori e conquistare così il loro rispetto e la loro fiducia.
Tuttavia, se questo fosse l’unico contenuto della nostra attività, saremmo dei semplici attivisti e non avremmo motivo di esistere come tendenza separata nel movimento operaio.
Il nostro ruolo più importante è quello di aiutare gli operai e i giovani, a partire dal settore più avanzato, a trarre le necessarie conclusioni dalla loro esperienza e a dimostrare nella pratica la superiorità delle idee marxiste.
Ci vorrà del tempo e dobbiamo imparare le virtù della pazienza rivoluzionaria. Non esiste una strada facile. La ricerca di scorciatoie finisce immancabilmente in gravi deviazioni, di tipo opportunista o di estremista di sinistra.
Ricordiamo che nel 1917, nel bel mezzo di una rivoluzione, Lenin ha lanciato lo slogan: Spiegare pazientemente! Abbiamo le idee corrette, che sole possono indicare la strada della vittoria nella lotta di classe.
Non è possibile prevedere il ritmo effettivo degli eventi. Ma il potenziale per un’intensificazione esplosiva della lotta di classe esiste in molti Paesi. Non possiamo dire dove inizierà. Potrebbe essere la Francia o l’Italia, l’Iran o il Brasile; l’Indonesia, il Pakistan, l’Argentina o persino la Cina.
Vedremo. Ma la cosa principale è che si apriranno nuove possibilità per la tendenza marxista, a patto che siamo in grado di sfruttarle. E questo dipende da una sola cosa: la nostra capacità di far crescere le nostre forze fino al punto critico in cui saremo fisicamente in grado di intervenire.
Questo, a sua volta, dipende dal lavoro che facciamo ora. Questo è ciò che dobbiamo far capire a ogni compagno. Il nostro slogan deve essere: tutta la forza verso il punto di attacco. E questo significa, appunto, costruire le nostre forze.
Dobbiamo lavorare instancabilmente per costruire le forze necessarie a portare queste idee in ogni fabbrica, in ogni sezione sindacale, in ogni scuola e università. Solo così si potrà costruire la futura direzione rivoluzionaria del proletariato.
Per molto tempo abbiamo lottato contro la corrente. I nostri quadri si sono temprati e rafforzati in questa lotta. Ci siamo guadagnati il rispetto dei lavoratori e dei giovani più avanzati. L’autorità politica e morale della nostra Internazionale non è mai stata così alta.
Sono conquiste colossali! Ma la strada da percorrere è ancora lunga. È una strada lunga e difficile, e non sarà tutto facile. A momenti di euforia seguiranno altri momenti di delusione e persino di disperazione. Dobbiamo imparare a convivere con le difficoltà e ad accettare le sconfitte e i successi con la stessa serena obiettività.
Ma la marea della storia è cambiata e ora stiamo iniziando a nuotare con la corrente, non contro di essa. I lavoratori e i giovani sono molto più aperti alle nostre idee che in qualsiasi altro momento. L’intero processo sarà accelerato.
La nostra Internazionale si troverà di fronte a immense opportunità molto prima di quanto ci si possa aspettare. Molte porte si apriranno. Sta a noi fare in modo di sfruttare appieno ogni possibilità e dimostrare di essere all’altezza dei grandi compiti che la storia ci impone.