La Zastava non c’è più. Dopo vent’anni di transizione agonizzante da un’economia “autogestita” a pianificazione centralizzata al capitalismo, la fabbrica, che una volta si ergeva a simbolo della prosperità e dello sviluppo post-bellici nella vecchia Yugoslavia, sta per essere cancellata dal registro statale delle società per lasciare spazio alla multinazionale italiana FIAT. Al suo apice verso la fine degli anni Ottanta la Crvena Zastava (Bandiera Rossa) come veniva all’epoca chiamata impiegava qualcosa come 35.000 operai che producevano più di 230.000 automobili all’ann, con altre 130.000 persone impiegate nelle fabbriche che producevano vari componenti in tutta la Yugoslavia.
Successivamente, due decenni di guerre civili, sanzioni internazionali e privatizzazioni hanno lasciato la fabbrica in frantumi. Nel 2001, dopo che il rovesciamento del regime di Slobodan Milosevic che accelerò la trasformazione dell’economia, più di 6.000 operai furono licenziati in un giorno solo. In questo processo, il centro industriale di Kragujevac e i suoi dintorni, zona un tempo ricca, divennero noti in Serbia come “la valle della fame”. Al suo arrivo, la FIAT divise ciò che rimaneva della forza lavoro della Zastava a metà attraverso discutibili concorsi interni, impiegando soltanto mille operai. La sconfitta dei 1.500 lavoratori della Zastava, che non erano stati assunti dalla FIAT e sono scesi in sciopero alla fine di dicembre 2010 per rivendicare il loro diritto di lavorare, ha inflitto un colpo mortale a quello che era stato un colosso industriale.
Di fronte alla prospettiva di un licenziamento collettivo dopo essere stati dichiarati in esubero, gli operai erano preparati a lottare, rivendicando il mantenimento dei loro contratti di lavoro, nuovi programmi di formazione e il diritto di riprendere servizio non appena la nuova azienda avesse aumentato la produzione. Il governo dal canto suo ha offerto di inserirli nelle liste di disoccupazione e nel programma sociale costituito da una indennità di 300 Euro per ciascun anno di lavoro, da un aiuto sociale di circa 200 Euro al mese per i successivi due anni e da programmi di educazione predisposti dal governo che avrebbero dovuto preparare i lavoratori alle richieste del mercato moderno. Il governo ha preso una posizione dura, diffondendo una retorica anti-operaia già in atto da un decennio, da un lato con l’insistenza neo-liberista sull’individualismo, dall’altro marchiando gli operai della Zastava come una sezione pigra e privilegiata della classe lavoratrice, che gode dei benefici dei programmi sociali mentre un milione di altri cittadini disoccupati è abbandonato a se stesso. Il consigliere del Ministro dell’Economia Aleksandar Ljubić ha pronunciato le parole seguenti, che riflettono l’opinione pubblica diffusa in Serbia oggi a proposito dei diritti dei lavoratori:
… Lo Stato non serve a dare lavoro alla gente. Il compito dello Stato è creare le condizioni perché i cittadini possano trovare lavoro. Spetta a ciascuno di loro [i lavoratori lasciati a casa] lottare, secondo i propri interessi e i propri sforzi, per ottenere la miglior posizione di partenza possibile nel mercato del lavoro e il miglior impiego possibile.
Il sindacato ha annunciato una dura resistenza e il blocco della città nel caso che il governo persistesse nelle sue intenzioni. Il 29 dicembre l’assemblea degli operai della Zastava ha finalmente respinto l’offerta del governo e ha deciso di radicalizzare la lotta cominciando uno sciopero della fame all’interno del municipio di Kragujevac. Quella stessa sera il primo gruppo di circa cento operai ha iniziato a entrare ordinatamente nel municipio, portandovi letti e vivande già preparati, a indicare la loro determinazione ad affrontare una lunga battaglia e perfino a festeggiare il Capodanno nel municipio occupato. Il giorno successivo, i media hanno trasmesso la stessa notizia secondo cui gli operai avevano accettato il programma sociale del governo, leggermente modificato, e avevano abbandonato pacificamente il municipio. Alla breve notizia non ha fatto seguito nessuna reazione né dichiarazione da parte dei lavoratori né del leader sindacale Zoran Mihajlović il quale, come riportato dai media, era stato trasferito a un ospedale vicino dopo aver subito un attacco cardiaco nella notte.
Senza entrare nelle speculazioni imposte dal silenzio dei media sulle circostanze in cui il sindacato ha accettato alla fine di terminare lo sciopero e firmare il programma sociale, possiamo comunque indicare diversi importanti fattori che hanno contribuito a questa sconfitta.
Innanzitutto, i lavoratori non sono stati divisi soltanto tra coloro che sono stati assunti dalla FIAT e gli altri che sono rimasti nella vecchia azienda. Oltre a questo, tra i circa 1.500 operai che sono rimasti nella Zastava c’erano circa 400 persone in grado di accedere al programma governativo che avrebbe consentito loro di mantenere i pochi anni di lavoro che occorrevano loro per arrivare alla pensione.
In secondo luogo, dietro le assemblee pubbliche di massa e atti apparentemente radicali era chiaro che il sindacato non avesse una tattica chiara per portare avanti uno sciopero prolungato. Il consigliere governativo citato sopra aveva rivelato un potenziale punto debole del governo esprimendo la speranza che le proteste annunciate non avrebbero messo in pericolo la produzione e la ricostruzione del nuovo stabilimento FIAT. I sindacati non sono riusciti a coinvolgere gli ex colleghi in un’azione di solidarietà a tutti i livelli. Probabilmente sarebbe stato piuttosto difficile coinvolgere il migliaio di operai neo-assunti dalla FIAT, in una situazione di diffusa disoccupazione in Serbia, in qualche tipo di azione più concreta. Tuttavia il sindacato avrebbe potuto cercare di collegare diverse altre fabbriche in situazione simile e trasformare la Zastava in un punto di riferimento nazionale assai visibile per la difesa della dignità dei lavoratori. Oltretutto la direzione sindacale si è dimostrata completamente incapace di affrontare l'aggressiva propaganda filocapitalista e i vili attacchi condotti dai media contro gli operai. L’unico argomentazione che il sindacato ha difeso come motivazione per la quale i lavoratori avrebbero dovuto mantenere l’occupazione è che l’attuale governo aveva promesso che nessuno sarebbe stato licenziato all’epoca dell’arrivo della FIAT a Kragujevac.
In terzo luogo, il fatto che i lavoratori abbiano scelto di occupare il municipio e non la fabbrica rivela forse il principale ostacolo sulla strada di una ripresa della lotta della classe lavoratrice in Serbia oggi. La natura parassitaria del capitalismo ha bloccato la capacità produttiva da ormai due decenni. Senza il potere della produzione nelle loro mani, i lavoratori sentono di non avere strumenti per lottare con i padroni e obbligarli ad accogliere le loro rivendicazioni. Senza il controllo sui macchinari, gli operai della Zastava, come tanti altri in Serbia al momento attuale, possono fare affidamento soltanto sui loro stessi corpi e su tattiche come scioperi della fame o di auto-mutilazione come mezzi per obbligare il governo e i media a prestare attenzione alle loro sofferenze.
Così come la vecchia fabbrica Zastava si ergeva a simbolo dei risultati dell’economia pianificata sotto il regime di Josip Broz Tito, la nuova FIAT ricorda alla popolazione le promesse non mantenute dell’economia di mercato di recente instaurazione. Il Partito Democratico e il suo leader Boris Tadić hanno vinto le elezioni parlamentari e presidenziali nel 2008 in gran parte grazie all’arrivo della FIAT. Entrambe queste elezioni hanno assicurato un’ulteriore avvicinamento della Serbia all’Unione Europea. Questo piano di investimento è stato considerato come la prova finale che le politiche economiche liberiste e i sacrifici temporanei dei cittadini comuni stanno finalmente dando risultati attirando grossi investitori stranieri in grado di rinnovare l’economia e creare nuovi posti di lavoro.
Le concessioni garantite dal governo serbo per attirare questa società multinazionale sono senza precedenti. La FIAT ha ottenuto il monopolio sul mercato, sussidi per diecimila Euro per ogni operaio assunto, sussidi per le vendite nel mercato interno per il primo anno, esenzione dalle tasse per i prossimi dieci anni. Il governo ha concesso i terreni intorno a Kragujevac per le aziende straniere produttrici dei componenti e una zona industriale esente da tasse provvista di tutte le infrastrutture necessarie. Tutto questo da parte degli stessi esperti di economia che hanno cercato per anni di convincere i cittadini serbi che non vale la pena di mantenere le imprese statali perché necessitano di sussidi statali che il Paese non può permettersi.
In cambio, la FIAT ha promesso di assumere 2.500 lavoratori senza impegni chiari sulla produzione e con duecento milioni di Euro di investimento iniziale. Tre anni dopo l’arrivo della FIAT, il governo ripete di attendere circa altri ottocentomila Euro di investimenti dai suoi partner stranieri, diecimila nuovi posti di lavoro nell’industria dell’auto basati sulla priduzione di massa e sull’esportazione di due nuovi modelli. Le ultime stime date dal governo sono che la FIAT produrrà circa trecentomila automobili in Serbia entro il 2013.
Finora, la Fiat non ha adempiuto a neppure metà del suo impegno iniziale di versare il capitale di partenza di duecento milioni di dollari entro il 2008! Lo scorso anno la fabbrica ha prodotto poco più di 14.000 automobili invece delle 30.000 previste. Per di più, la società ha recentemente annunciato che una sola azienda serba farà parte della lista dei produttori di componenti ufficiali FIAT. La compagnia FIAT dunque ha ricevuto le infrastrutture, la totalità del mercato e tutti i sussidi finanziari che lo Stato serbo era in grado di offrire in cambio di un investimento di cento milioni di Euro, un quantitativo di produzione non molto superiore a quello che aveva la Zastava prima della privatizzazione e un sacco pieno di vuote promesse. Questo è il tipo di affare che ci un’azienda americana si aspetterebbe di concludere in Iraq dopo l’occupazione. Se ci si ricorda che gran parte degli stabilimenti della Zastava furono bombardati dalla NATO nel 1999, questo paragone non sembra tanto campato in aria come potrebbe apparire a un primo sguardo.
È chiaro che questa non è una relazione di partnership. La FIAT continua a giocare con i suoi piani di investimento e la distribuzione dei modelli di automobili ogni mese, mentre il governo serbo non ha alcuna influenza sulle decisioni aziendali. Nel caso dei capitalisti serbi, il Presidente Boris Tadić avrebbe potuto almeno fare appello al loro dovere patriottico per cercare di far loro pagare le tasse e investire in Serbia. Con la FIAT il governo non può fare neppure questo. Con stabilimenti in Italia, Brasile, Polonia, Serbia e da poco anche negli Stati Uniti, la multinazionale sta raccogliendo benefici dai governi “amici” e ricattando la forza lavoro delle singole fabbriche per ottenerne la sottomissione con la minaccia di trasferire gli stabilimenti.
Per il momento i lavoratori di Kragujevac sono costretti ad accettare l’umiliazione di se stessi, dei colleghi e dei vicini buttati in mezzo alla strada. Ogni volta che gli operai di una fabbrica FIAT sono sconfitti i loro colleghi negli altri Paesi vengono ben presto obbligati ad accettare il peggioramento delle loro condizioni lavorative. Gli investimenti promessi in Serbia sono stati usati dai media italiani per preparare l’atmosfera che avrebbe dovuto spaventare la forza lavoro della fabbrica di Mirafiori a Torino per forzarli ad accettare le nuove rigide condizioni di lavoro. A dispetto di queste tattiche, il referendum all’interno della fabbrica di Torino ha concesso l’introduzione del nuovo regime di lavoro soltanto con un’esile maggioranza a favore dei piani aziendali. In risposta a questi attacchi il sindacato dei metalmeccanici, la FIOM, ha fatto appello per uno sciopero generale in Italia.
La solidarietà dei lavoratori e il coordinamento oltre i confini nazionali è l’unico modo per contrastare l’offensiva del padronato. Le lotte degli operai italiani e il recente scambio di lettere di solidarietà tra i sindacalisti in Serbia e in Italia mostra la via da seguire. Nella migliore tradizione del movimento operaio, le dichiarazioni di solidarietà tra lavoratori di diverse nazionalità saranno lette in diverse città italiane nel corso dello sciopero dei metalmeccanici. Sta a noi fare in modo che questi appelli di solidarietà non si trasformino in un vuoto rituale. La sorte della Zastava è un avvertimento di quello che può accadere a ogni fabbrica che affronta le tattiche mortali della FIAT senza una forte resistenza e un fronte di solidarietà sviluppato.
- Un torto fatto a uno è un torto fatto a tutti!
- Per un’assemblea unitaria dei delegati sindacali degli stabilimenti FIAT in tutta Europa come un primo passo verso la solidarietà internazionale!
8 febbraio 2011
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Translation: FalceMartello (Italy)