La vittoria incontestabile della destra alle elezioni regionali e municipali ha provocato un terremoto politico, che è sfociato nella convocazione di elezioni anticipate da parte di Pedro Sanchez [dimessosi dall’incarico d primo ministro il 29 maggio a seguito di tali risultati, ndt] per la domenica del 23 luglio.
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Questo risultato inatteso, per l’ampiezza della sconfitta della sinistra governativa, soprattutto in quei seggi che si consideravano “sicuri”, ha trasmesso l’immagine di una onda travolgente della destra che si prepara a assaltare la Moncloa con il coltello tra i denti.
Tuttavia, dobbiamo collocare i fatti nel loro contesto e fare una considerazione di carattere più ampio.
Bisogna cominciare con un dato che è passato in sordina in tutti i media nazionali, che è l’affluenza relativamente bassa, un 63,9% dell’elettorato. Il 28 maggio l’astensione è stata maggiore rispetto alle elezioni regionali e provinciali del maggio 2019, che già era elevata. Così l’astensione è passata dal 34,8% al 36,1%, con circa 600mila voti in meno. Inoltre, il numero di schede bianche e nulle è cresciuto a 220mila. Senza dubbio, questi 800mila voti in meno provengono dalla coalizione della sinistra, il che ci dice molto sulla carenza di entusiasmo che la sinistra ufficiale ha provocato in buona parte dei suoi elettori.
La destra è passata dal 53,37% del 2019 al 40,42% dei voti attuali; cioè, da 8 a 9 milioni. Il PP e Vox hanno assorbito tutti i voti di Ciudadanos [scissione centrista del PP, ndt], che sparisce completamente dal panorama politico.
I dati della sinistra ufficiale sono difficili da definire nel dettaglio, a causa della grande varietà di lista municipali, e anche regionali, con le quali si presentano abitualmente in questo tipo di elezioni. Un conteggio il più dettagliato possibile ci rivela che la sinistra governativa è passata da 8,95 milioni di voti nel 2019 a 8 milioni, circa il 36% dei voti, perdendone quasi 1 milione.
Per contestualizzare, dobbiamo ricordare che nelle elezioni politiche del novembre 2019 l’insieme della destra nazionalista e dei suoi alleati ottennero 10,35 milioni di voti. Cosicché non si può parlare di una “onda travolgente” o di un “grande spostamento” a destra il 28 maggio; piuttosto, pur considerando il carattere più astensionista di queste elezioni, la base della destra si è mobilitata in maniera più attiva al momento di recarsi alle urne rispetto alla base della sinistra. Senza dubbio, lo spettacolo ripugnante suscitato dalla destra e dai suoi mass media riguardo alle liste di EH Bildu [partito della sinistra indipendentista basca, ndt] ha avuto un certo successo nel mobilitare la destra. Così come il caso del tentativo di brogli nel voto postale a Melilla e a Mojácar, sebbene nella prima non fosse coinvolto il PSOE, bensì un paio di militanti del PP, tra gli altri.
Escludendo qualche accordo dell’ultimo minuto che potrebbe far cambiare gli equilibri in una o due grandi città, la sinistra è passata dal governare 20 capoluoghi di provincia a governarne solo 12 e la destra è passata da 25 a conquistarne 34. I nazionalisti di destra catalani e baschi sono passati da averne 5 a 4.
Notevole è la sconfitta della sinistra a favore della destra in capoluoghi rilevanti come Valencia, Sevilla, Valladolid, Palma o Cadiz.
A livello regionale, la sinistra perde l’importante Comunitat Valenciana (la sua principale roccaforte), l’Estremadura (un feudo tradizionale del PSOE), le Baleari, La Rioja e l’Aragona, dove aveva una coalizione molto instabile con la partecipazione di elementi regionalisti di destra (del PAR). Per un soffio, il PSOE ha mantenuto la maggioranza a Castilla-La Mancha, governata dal rappresentante dell’ala di destra felipista [che fa capo a Felipe Gonzalez, ndt] Garcia-Page. Riesce anche a mantenere le Asturie e, forse, le Canarie, se raggiunge un accordo con Coalicion Canaria. Allo stesso modo, il PSOE potrebbe assicurarsi la Navarra, con la astensione di EH Bildu.
Per comprendere la portata di queste elezioni, vale la pena soffermarsi sui seggi più contesi e importanti.
Madrid
A Madrid, la partecipazione è crollata di 260mila voti rispetto alle elezioni regionali precedenti del 2021. Di fatto, anche se ha ottenuto più deputati di due anni fa (da 65 a 71, su un totale di 135), Isabel Diaz Ayuso (presidente della Comunità di Madrid, ndt) ha perso 37mila voti, pur avendo assorbito gran parte dei voti di Ciudadanos e di Vox. Il primo ha perso 77mila voti e il secondo 85mila. Vale a dire, la destra ha preso 200mila voti in meno rispetto al 2021. Per quanto riguarda la sinistra, Más Madrid (socialdemocratici liberali di Errejón) e il PSOE eguagliano i risultati del 2021, ed è Podemos-IU a perdere più di 100mila voti. È stata la clausola antidemocratica che impone il quorum del 5% dei voti, e che ha impedito automaticamente a Podemos-IU di ottenere almeno 7 deputati (avendo ricevuto il 4,73% dei voti) a spese della destra, a esagerare la portata della vittoria dell’Ayuso e a assicurarle la maggioranza assoluta. Posto che è responsabilità di Podemos-IU non aver portato a votare la sua base potenziale e essersi fermato sotto il 5 %.
Ciò che è certo è che, nonostante le impressionanti mobilitazioni contro la gestione della sanità della Ayuso alla fine dell’anno passato e all’inizio di quello corrente, ciò non ha avuto un effetto rilevante nell’erodere il suo appoggio popolare, se non di accorciare di 100mila voti la distanza tra destra e sinistra, che si mantiene tuttora attorno al mezzo milione di voti. Sorprendentemente, il PP ha ottenuto 150mila in più nella Comunidad de Madrid nelle elezioni regionali rispetto alle municipali.
La realtà è che la sinistra ufficiale da anni è scomparsa da Madrid e dai suoi quartieri, senza intraprendere iniziative di alcun tipo, dedita alle poltrone, senza dirigenti sociali o operai riconosciuti, cambiando i suoi pupazzetti elettorali ogni due anni, ognuno dei quali risulta più sconosciuto e insipido di quello precedente.
Dall’altra parte, è indubbio che la Ayuso trae beneficio dalla relativa stabilità sociale e economica della Comunidad de Madrid, nonostante l’inevitabilità di una nuova crisi che colpirà in pieno la regione. In maniera più spiccata che in altre zone, nella Comunidad de Madrid c’è stato uno spostamento a destra dei settori intermedi, scontenti e frustrati dall’incapacità della sinistra di fornire una prospettiva nel periodo della sua ascesa, tra il 2014 e il 2016, anche se questo cambierà nel futuro. Un altro fattore è che il 23% della popolazione di Madrid è costituito da popolazione immigrata, gran parte della quale è priva del diritto di voto in una specie di “apartheid” politico e rimane al di fuori dell’attività politica. Infine, un settore politicamente arretrato della classe operaia vede la sinistra solo come “chiassosa” e teme che un brusco cambiamento politico minacci la relativa stabilità economica della regione.
Tuttavia, tutte queste illusioni svaniranno, prima o poi, appena i problemi riguardo agli alloggi etc. diventeranno intollerabili, come lo è già la situazione della sanità pubblica. Una crisi inevitabile infrangerà le illusioni dei settori più inerti della popolazione, preparando un nuovo spostamento a sinistra nei settori intermedi e nei settori operai politicamente più conservatori, come nel periodo 2012-2016.
Ciò detto, la sinistra ha mantenuto praticamente tutta la “cintura rossa” madrilena a livello municipale: Getafe, Leganés, Parla, Alcorcón, Fuenlabrada e Coslada. Ha perso solo Mostoles.
Andalusia
L’Andalusia ha vissuto un’altra delle grandi battaglie elettorali di domenica. La sinistra è passata da 1,9 milioni di voti a 1,65 milioni e la destra è passata da 1,55 milioni a 1,8, con una partecipazione simile a quella del 2019, anche se inferiore.
Qui il PSOE ha perso 3 dei 4 capoluoghi di provincia che controllava: Siviglia, Huelva e Granada. Ha mantenuto solo Jaén. Il capoluogo più emblematico per la sinistra del PSOE, Cadice, è anch’essa caduta sorprendentemente nelle mani del PP, sebbene il suo sindaco precedente, “Kichi” Gonzalez [membro di Anticapitalistas, eletto nelle liste di Podemos], non si sia ricandidato.
In generale, in Andalusia ha avuto un peso la divisione nella sinistra tra “Con Andalucia” (Podemos-IU-Más País) e il gruppo di Teresa Rodriguez “Adelante Andalucia” in molte elezioni in cui pochi voti erano decisivi. A Cadice, ha avuto un peso il frazionamento del voto di sinistra con varie candidature indipendenti, inclusa quella di Podemos (!), che ha favorito la vittoria del PP e la sconfitta della sinistra.
È ovvio che, affinché un tale frazionamento potesse incidere, ci devono essere state mancanze e insufficienze nella gestione di “Kichi”, che non ha soddisfatto tutte le aspettative riposte anni fa da parte delle famiglie operaie.
Fuori dai capoluoghi, la sinistra ha mantenuto le province proletarie e quasi tutte le zone industriali (Baia di Cadice, Polo Chimico di Huelva, area metropolitana industriale di Siviglia, etc.).
Catalogna
La Catalogna ha avuto l’astensione più significativa nel paese, il 44%. Qui ERC (Esquerra Republicana de Catalunya), ha pagato il prezzo del suo appiattimento nei confronti del governo centrale e un settore della base indipendentista che l’aveva accompagnato fino a adesso si è spostato verso le candidature raggruppate attorno a Junts [partito indipendentista di centrodestra guidato da Puigdemont, che deve buona parte della sua popolarità alla persecuzione giudiziaria da parte dello Stato Spagnolo per il referendum d’indipendenza del 2017, quando era presidente della Generalitat, ndt]. ERC è passata dal 23,52% nel 2019 al 17,39% e Junts dal 15,98% al 18,36%. Il PSC (sezione catalana del PSOE) si è imposto come primo partito in Catalogna con il 23,71% e si è assicurato Tarragona e, forse, Lleida. Ha anche vinto a Bajo Llobregat e a Sabadell.
La CUP è arretrata perdendo 40mila voti, assestandosi sotto il 4% ed è uscita dal consiglio municipale di Barcellona. Ha avuto un risultato significativo solo nel municipio di Girona, rimanendo lì la seconda forza politica, come nel 2019. Il suo moderatismo sempre più spiccato, senza nessuna differenza chiara da Junts nelle sue critiche a ERC, le ha fatto perdere rilevanza.
La astensione ha danneggiato maggiormente En Comú Podem di Ada Colau rispetto al PSC, senza che ci fosse alcuna differenza significativa tra i rispettivi programmi. Il PSC si è imposto su ECP all’interno della sinistra a Barcellona. In maniera ancora più accentuata che nel caso di Cadice, la gestione della Colau a Barcellona non è uscita dai confini istituzionali e dopo 8 anni di gestione si sono erose le enormi aspettative popolari riposte in lei, che ha camminato mano nella mano con il PSC nell’ultima legislatura. Junts, con il suo candidato Trias, è diventata la prima forza politica nella città con il 22,4%, mentre ERC ha perso metà dei voti ottenuti nel 2019. Trias e Collboni, il candidato del PSC, si disputano il ruolo di sindaco, anche se non sono ancora chiare le coalizioni che favoriranno uno o l’altro. Tutto dipende dalla decisione che prenderà ERC.
La destra nazionalista spagnola ha ottenuto un trionfo chiaro solo a Badalona, dove Garcia Albiol ha ottenuto una maggioranza assoluto (essendo già stato sindaco in precedenza) che obbedisce a condizioni specifiche molto concrete, come il suo utilizzo demagogico e reazionario della questione migratoria. In ogni caso, anche in Catalogna bisogna relativizzare la “ondata” della destra nazionalista, poiché la somma dei suoi voti si è accresciuta solo lievemente dall’11% al 14%.
Paese Basco
Nel Paese Basco (inclusa la Navarra), EH Bildu è uscita vincitrice in numerose elezioni locali, anche se il Partito Nazionale Basco (PNV) ha vinto nelle elezioni regionali. EH Bildu ha chiaramente tratto beneficio dalla campagna di criminalizzazione da parte della destra spagnola, il che, unito al suo radicamento territoriale, le ha permesso di ottenere i migliori risultati della sua storia, senza dover rendere conto del suo appiattimento nei confronti del governo centrale. Ha vinto chiaramente a Vitoria-Gasteiz. Tuttavia, con ogni probabilità, il PNV si assicurerà i tre capoluoghi baschi facendo un accordo con il PSOE. A Pamplona, sicuramente il PSOE consegnerà nuovamente il consiglio municipale alla destra navarrista del UPN, sebbene sia Eh Bildu la forza dominante nella sinistra locale.
Come nelle elezioni anteriori, tanto nel Paese Basco quanto in Catalogna la sinistra spazza via la destra nazionalista spagnola.
Galizia
In Galizia, c’è stata una vittoria chiara della sinistra, con la crescita del BNG (Blocco Nazionalista Galiziano, independentista di sinistra) grazie al suo profilo più combattivo, anche se il PSOE rimane la forza principale a sinistra. Las Mareas, vincolato a Podemos e a Izquierda Unida, scompare. La sinistra vince in 3 dei 4 capoluoghi (trane Orense), inclusa Vigo e la capitale, Santiago. Il PP conquista solo una città importante, Ferrol, sottraendola alla sinistra.
Comunità Valenciana
La sconfitta maggiore la sinistra la ha subita nella Comunità Valenciana. Nelle elezioni regionali l’astensione è cresciuta, con 250mila voti in meno, e la destra si è imposta, nonostante abbia ottenuto circa 100mila voti in meno rispetto al 2019. La sinistra però ha perso 165mila voti. Significativamente, nelle elezioni del capoluogo regionale, Valencia, c’è stato un importante aumento dell’affluenza, dal 66,3% al 72%. Però la sinistra ha ottenuto 10mila voti in meno, mentre la destra ne ha conquistati 31mila in più. Senza dubbio, qui ha giocato un ruolo la gestione del sindaco uscente, Joan Ribó di Compromís (formazione della sinistra nazionalista locale). È rilevante che mentre il PSOE ha aumentato lievemente i suoi voti sia nelle elezioni regionali sia in quelle municipali, Compromís è crollato sensibilmente nei voti. E Podemos-IU è scomparsa sia dal parlamento regionale sia dal consiglio municipale di Valencia.
In altre zone, come le Asturie, il risultato è stato disomogeneo, il PSOE conserva il controllo della Comunità autonoma e la sinistra vince ampiamente a Alivés e nella “cuenca minera”, però perde Gijón e la destra conserva il capoluogo, Oviedo. Izquiera Unida, candidatasi da sola, ha vinto nuovamente nel municipio di Zamora, per la terza legislatura consecutiva.
Un bilancio
Queste elezioni sono state influenzate, più che mai, dalla situazione creata dalle condizioni di vita, almeno nelle grandi città, che è dove si vive in maniera più sentita l’aumento del costo della vita, il mancato accesso a abitazioni degne di questo nome e la precarietà lavorativa, che creano un enorme angoscia, logoramento e incertezza. E il governo centrale non sta dando risposte soddisfacenti a tutto ciò.
Quando si ascoltano i ministri e i politici, soprattutto di Podemos e IU, che commentano le meraviglie realizzate dal governo di coalizione, si può solo trarre la conclusione che le direzioni ufficiali della sinistra vivono molto lontano dalle condizioni di vita reali della maggioranza delle famiglie operaie. Hanno prodotto alcuni risultati solo nelle questioni relative all’identità sessuale, di genere o etnica, che hanno la loro importanza, però hanno abbandonato completamente le questioni più rilevanti di classe e dello sfruttamento capitalistico, come se quest’ultimo non esistesse.
Anche se possiamo apprezzare alcune misure approvate dal governo, non bastano per garantire un orizzonte di sicurezza e stabilità alla condizione di vita di milioni di lavoratori. Nei momenti decisivi, il governo ha dimostrato una grande vigliaccheria o è capitolato di fronte agli interessi dei ricchi e dei potenti, mantenendo nella sua essenza la riforma del lavoro del PP e vendendo in modo vergognoso questo come un avanzamento per i lavoratori, o accettando il ricatto delle aziende elettriche parassitarie invece di nazionalizzarle, o cedendo servilmente alle pressioni dell’apparato statale per mantenere integra la repressiva Ley Mordaza [legge bavaglio, ndt]. I fondi speculativi si sono impossessati del mercato immobiliare e degli affitti in Spagna con la passività assoluta de governo, per mezzo della speculazione e dell’affare parassitario del turismo.
A questa situazione hanno contribuito le direzioni sindacali dell’UGT e di Comisiones Obreras (CCOO) che hanno fatto tutto il possibile per fermare e limitare le lotte operaie, firmando ogni tipo di accordi regressivi con la padronale, e lo stesso hanno fatto negli ultimi anni le direzioni di Podemos e di Izquierda Unida, che hanno paralizzato i movimenti sociali e di quartiere di lotta nelle strade con lo stupido e insostenibile argomento di “non mettere in difficoltà il governo”. In questo modo, la destra ha ottenuto il monopolio della critica alle insufficienze della gestione del governo centrale e del tentativo della sinistra di gestire il capitalismo in una fase di declino del sistema, con Podemos e IU che si sono resi corresponsabili di tale gestione.
Sebbene la critica della destra ai dissidi pubblici dentro il governo di coalizione abbia un carattere demagogico, chiaramente questi ultimi trasmettono sfiducia e stanchezza nella base di sinistra e aiutano la destra a raggruppare dietro di sé la piccola borghesia. Però, questo è il risultato inevitabile dell’impegno di Podemos e Izquierda Unida in una gestione nella quale la direzione del PSOE impone limiti molto chiari alla portata delle politiche “progressiste” per non turbare l’Ibex35 [indice della borsa di Madrid], l’imperialismo degli Stati Uniti (sulla questione del Sahara o il coinvolgimento nella guerra in Ucraina) o l’apparato dello Stato (come sulla legge “Solo sì è sì”, quando i giudici reazionari hanno arbitrariamente abbassato le pene agli strupratori).
La realtà è che la politica moderata e delle vie di mezzo del governo, quando non era incongruente con il suo programma originale, ha smobilitato e demotivato i settori più attivi, inquieti e vitali, come la gioventù e i settori di attivisti operai e sociali più avanzati, che guardano con disgusto e sfiducia alla politica istituzionale. È stata significativa la completa assenza, in generale, di giovani sotto i 30 anni ai comizi elettorali di Podemos e Izquierda Unida.
Detto ciò, un altro fatto rilevante è che mentre il PSOE mantiene una percentuale di voti simile a quella delle elezioni precedenti, un 28%, l’arco politico che comprende Podemos, IU, Más País [partito di Errejon, ndt] e le liste regionali affini, crolla a un 8% del voto. Alla fine, di fronte a forze politiche che trasmettono idee e programmi simili, e che governano in coalizione, il grosso del voto di sinistra tende a coagularsi attorno a quella che ha un apparato più grande e maggiori possibilità di ottenere la vittoria; in questo caso, il PSOE.
Le elezioni anticipate
In queste condizioni, occorre chiedersi se le elezioni anticipate da qui a due mesi siano la soluzione migliore per la continuità del governo “progressista”. In realtà, si tratta di una mossa disperata nella quale Sanchez si gioca il tutto per tutto.
I calcoli di Sanchez non vanno oltre le manovre e i trucchi a effetto, i cui risultati si vedranno presto. Egli confida nel fatto che l’insediamento di governi PP-Vox nelle prossime settimane, in nuove regioni e in decine in città, mostri alla popolazione a cosa porterebbe una vittoria della destra alle elezioni del 23 luglio. Pensa che questo possa servire come uno stimolo per mobilitare in massa l’elettorato di sinistra, come nell’aprile e novembre del 2019. Però non è garantito che ciò funzioni di nuovo.
Nei pensieri di Sanchez devono anche avere un peso altri aspetti. Da un lato, ci sono i limiti alla spesa pubblica che l’Unione Europea ha iniziato a imporre nuovamente ai governi, di fronte all’aumento del debito pubblico dovunque, e che egli non ha intenzione di mettere in discussione. Così, non c’è più spazio per nuove misure economiche e sociali efficaci, e per il governo si sarebbe trattato di sopportare 7 lunghi mesi, sotto la pressione incessante di una destra ringalluzzita. Dall’altro lato, Sanchez prevede anche che si intensificheranno le iniziative dell’ala più di destra del PSOE, guidata adesso da Garcia-Page, per organizzare un’opposizione alla gestione di Sanchez e al patto con Podemos e gli indipendentisti. Questa ala sarebbe ancora più contenta della destra di una sconfitta elettorale di Sanchez per defenestrarlo e riprendere il controllo del partito.
Però, le elezioni anticipate non erano l’unica alternativa di cui disponevano Sanchez e il suo governo di coalizione. Se veramente voleva cambiare il clima sociale a favore della sinistra, il governo lo poteva fare facilmente. Gli rimanevano 7 mesi per applicare integralmente il suo programma di governo, che è stato messo nel cassetto, con misure coraggiose appoggiate dalla mobilitazione popolare: abolizione integrale di quel che resta della riforma lavorativa del PP, abolizione integrale della Ley Mordaza, tasse ai ricchi, far pagare alla Chiesta l’IBI [imposta sugli immobili, ndt], etc. insieme a altre che trasformino radicalmente le condizioni di vita delle masse lavoratrici, come l’esproprio delle case sfitte e dei fondi speculativi in favore di un affitto sociale, l’esproprio delle compagnie elettriche truffaldine, etc. Questo sì che sarebbe una fonte di ispirazione per milioni di persone, le sveglierebbe dal letargo e risusciterebbe lo spirito di quelle milioni di persone che hanno portato Sanchez al governo. Però i legami della direzione del PSOE con i padroni dell’Ibex35 sono più forti di quelli con la sua base elettorale ed essa non ha intenzione di mettere in discussione la stabilità del sistema né del regime. Questa è la realtà.
Il risultato più immediato della manovra di Sanchez è la più che probabile confluenza elettorale di Podemos e Sumar [coalizione elettorale guidata dall’ex-ministro del Lavoro Yolanda Diaz, che ha rotto da destra con Podemos e riunisce IU, Más País e altri gruppi regionali, ndt], poiché è fuori discussione che una divisione adesso condannerebbe tutta la sinistra alla sconfitta. Però adesso è Yolanda Diaz che ha il coltello dalla parte del manico e che detterà le condizioni alla direzione di Podemos, con concessioni minime, che dovrà accettare senza fiatare. Podemos approfondisce così il suo declino politico, senza una base militante rilevante, man mano che la sua presenza scompare dai parlamenti regionali e dai consigli municipali.
Sanchez sta facendo anche un altro calcolo nelle sue considerazioni. Al di là delle buffonate e delle esagerazioni della destra e dei suoi media sul risultato elettorale, la realtà è che l’insieme della destra spagnola e dei suoi alleati regionalisti hanno preso appena il 41% dei voti in queste elezioni. Vox, di fatto, è arretrato chiaramente, a poco più del 7%. Nel Paese Basco e in Catalogna, la forza della destra è molto debole. Tutto ciò costituisce, in linea di principio, una base molto risicata per aspirare a una maggioranza assoluta in parlamento. Se è vero che la sinistra governativa ha arretrato in queste elezioni, fino al 36%, i partiti nazionalisti che appoggiano il governo di coalizione, più altri come Junts e il BNG che non potranno mai accordarsi con la destra nazionalista spagnola, sono cresciuti in generale e i loro voti assommano al 10%. El País ha pubblicato una proiezione dei risultati del 28 maggio in un’elezione legislativa e la destra appare lontana dalla maggioranza assoluta, con il “blocco progressista” che la supera di poco ed è in condizioni di replicare la coalizione di governo.
Tuttavia, bisogna tenere in conto il morale. La vittoria della destra ha ringalluzzito la sua base e può trascinarsi settori della popolazione vacillanti nella piccola borghesia e settori politicamente arretrati della classe operaia, e la mobilitazione di massa della base di sinistra, una parte della quale si è astenuta in queste elezioni, non è garantita. Le settimane che restano ci daranno un quadro più preciso della situazione.
Noi però dobbiamo avere uno sguardo più ampio. Quale che sia il governo che verrà eletto alle elezioni del 23 luglio, si trovare davanti un panorama molto differente da quello degli ultimi anni. È terminata la festa della spesa pubblica. Come dicevamo, la Commissione Europea ha dato segnali chiarissimi che bisogna ricominciare con i tagli, e lo stesso ha fatto l’OCSE. Continuerà l’aumento dei tassi di interesse con un raffreddamento maggiore dell’economia. La Germania è già in recessione, e la FED pronostica la recessione negli Stati Uniti alla fine dell’anno. Il nuovo governo si vedrà obbligato a prendere misure impopolari. Con il rancore accumulato a causa delle condizioni di vita difficili, una ripresa delle lotte è inevitabile. Un eventuale governo della destra e dell’estrema destra, con una maggioranza molto risicata e senza una base sociale stabile né solida, risulterebbe particolarmente odioso in questa situazione. Le masse dei lavoratori e dei giovani passerebbero dal fronte politico al fronte economico e sociale con lotte di massa, mentre le idee anticapitaliste si estenderanno a settori più ampi, come già cominciamo a vedere a partire dalla gioventù.
Il compito che dobbiamo affrontare, cominciando dai settori avanzati dei lavoratori e della gioventù, è costruire un’alternativa socialista e rivoluzionaria, un’alternativa comunista, che proponga un’uscita dalla barbarie irrazionale del capitalismo, impegnata nelle lotte quotidiane della classe lavoratrice e che offra un orizzonte chiaro e rivolto alla trasformazione socialista della società.