Il risultato elettorale ha smentito le attese di una ampia vittoria del centrosinistra. Le urne del 9-10 aprile non ha visto, come in molti abbiamo atteso, l’ultimo atto di una serie di sconfitte che pure negli scorsi anni avevano visto la Casa delle libertà ripetutamente battuta. È necessario quindi partire dal dato meno atteso, ossia la rimonta della destra e in particolare di Forza Italia.
La sintesi migliore che possiamo proporre ci pare la seguente: Berlusconi ha interpretato con chiarezza e determinazione lo scontro in termini di lotta di classe, di difesa rabbiosa e spregiudicata degli interessi del suo blocco di riferimento. Non si è perso nei minuetti procedurali e istituzionali, ma ha martellato, con tutti i considerevoli mezzi a sua disposizione, il messaggio centrale: chi ha qualcosa da perdere, voti per me. Ai possidenti, ai ricchi, agli evasori fiscali, a tutti i privilegiati grandi e piccoli, ha gridato forte “se perdo, perderete tutti voi!”. Un messaggio rivolto non solo ai ricchi e ricchissimi, ma anche a quei settori di ceto medio e medio-basso che in questi anni hanno visto erodersi i propri redditi, ai quali ha offerto la più classica delle risposte: prendersela con chi sta sotto di loro. Ai professionisti ai quali ha detto “i vostri figli devono stare un gradino sopra ai figli degli operai!”.
La presenza delle forze fasciste nella sua coalizione serviva non solo a raccogliere una manciata di voti in più, ma anche a veicolare quella parte del messaggio che non si poteva esprimere apertamente: di fronte al degrado sociale che ha colpito tante aree del paese, è legittimo prendersela con gli immigrati, con gli omossessuali, con i tossicodipendenti, con tutti i “diversi”.
Alla fine tutto questo non è bastato a garantirgli la vittoria; Tuttavia, se pure Berlusconi perde il governo, cade in piedi. Forza Italia, grande sconfitta nelle precedenti elezioni regionali ed europee, riconquista il ruolo di perno della Cdl e Berlusconi quello di suo capo indiscusso.
Dopo le sbornie premature di tanta intellettualità progressista e benpensante, si risentono i vecchi discorsi triti e ritriti sul presunto “ventre di destra” del nostro paese, sul ruolo delle televisioni, e quant’altro. Ma la realtà è diversa. Se l’opposizione avesse avuto la metà della decisione che ha avuto Berlusconi nel proporre una visione alternativa basata su una difesa altrettanto intransigente degli interessi dei lavoratori, oggi parleremmo di un risultato diverso.
Così non è stato, e non solo nella campagna elettorale. Per cinque anni abbiamo visto la mobilitazione massiccia, generosa e a tratti dirompente di milioni di lavoratori, di giovani, di immigrati, contro le politiche di destra. Ma ogni volta i capi del centrosinistra hanno versato acqua nel vino, hanno lavorato sistematicamente a disinnescare i conflitti più esplosivi, hanno rifiutato di lavorare per la caduta anticipata del governo, rinviando tutto alla fatidica scadenza elettorale.
Berlusconi ha detto chiaramente ai “suoi” che con lui avrebbero avuto da guadaganare, e con “la sinistra” avrebbero perso tutto. Ma un metalmeccanico, un precario, una casalinga, uno studente, non trovavano certo un messaggio altrettanto chiaro nell’Unione e nella sua campagna elettorale. Troppo evidente e dominante il ruolo dirigente delle forze borghesi, a partire dallo stesso Prodi, troppe le compromissioni e le aperture alle ragioni dell’avversario, troppi anche i ricordi degli avvenimenti degli scorsi mesi ed anni, dalle varie scalate bancarie fino agli abbracci con la Confindustria. L’allargamento a destra della coalizione, anziché rafforzarla l’ha resa ancora più incapace di fronteggiare efficacemente la campagna di Berlusconi.
La sintesi è ora evidente: nonostante alla fine sarà l’Unione a governare, queste elezioni non hanno risolto neppure il problema più elementare, ossia quello di dare il colpo di grazia a una destra che pure era stata più volte vicina al collasso.
Checché possa dirne, Prodi sarà a capo di un governo debole; non legittimato da una piena investitura, continuamente sottoposto a pressioni e incursioni dal suo lato destro, particolarmente al Senato, dove pochi voti mancanti saranno sufficienti a fargli mancare la maggioranza. Sarà un ricatto permanente. A questo si aggiungerà la pressione della grande borghesia. Per quel settore della classe dominante che aveva scommesso sull’Unione la situazione non è certo allegra. Se ne rammarica il Corriere della sera, che già oggi invoca (ma senza troppa convinzione) scenari di “Grande coalizione”, ossia di unità nazionale fra settori dei due poli. Tali scenari oggi sono impraticabili per il semplice motivo che né Prodi né Berlusconi sono disponibili a progetti che avrebbero come prima conseguenza un serio ridimensionamento del loro potere, se non addirittura la loro estromissione. Dal punto di vista dei “salotti buoni” del capitalismo italiano la situazione è scoraggiante: la macchina politica non risponde ai comandi! Come ha detto un commentatore di destra, Alan Friedman: “È l’immagine di un paese che non sa dove andare e che probabilmente non andrà da nessuna parte”.
Non per questo tuttavia molleranno la presa; cominceranno a dire che la situazione economica è seria (e certo lo è), che bisogna risanare i conti pubblici con nuove misure di lacrime e sangue, che “i mercati” e “l’Europa” ce lo chiedono; diranno che se Prodi non può assolvere da solo a questi compiti, deve essere ragionevole e cercare accordi con settori del centrodestra. Al di là della disponibilità o meno di Prodi a tali manovre, è chiaro che questi discorsi troveranno più di una eco nell’Unione.
Ma non finisce qui. La destra perde il governo ma non è ancora battuta; Berlusconi ha le mani libere e nulla più da perdere. Dobbiamo pertanto aspettarci che scendano anche sul terreno della mobilitazione di piazza per mettere sotto pressione il governo. Alla prima misura impopolare (e non ne mancheranno!) chiameranno “il popolo” a manifestare contro la sinistra amica dei banchieri e dei grandi industriali, agitando la più classica demagogia reazionaria, aiutati in questo anche da quelle forze neofasciste che hanno legittimato come mai in passato, al di là del loro modesto risultato nell’urna.
E qui sorge il problema centrale per Rifondazione comunista. Il partito ha raccolto un risultato positivo, ma non certo travolgente. Dopo anni di mobilitazione ci ritroviamo sotto il 6% alla Camera, con una nota negativa dettata dal minor voto giovanile (indicata dalla differenza fra Senato e Camera di 290mila voti, laddove in passato era normale che succedesse il contrario). Ma il problema centrale è di strategia. Oggi Bertinotti investe tutto su Prodi, si incatena a Prodi e giura ogni mattina che il Prc non farà cadere il governo. Questo non solo significa corresponsabilizzarci di quanto farà il governo, ma anche esporre il partito al rischio di un logoramento mortale, a diventare lo scudo di un governo che sarà incessantemente minacciato da destra e da sinistra. A prescindere da quanto possiamo dire o fare, la realtà è che un governo debole come quello che si profila difficilmente potrà durare per cinque anni; a un nemico “esterno” ancora forte (la destra) si aggiungeranno non meno pericolosi nemici “interni”, da Mastella a Rutelli e altri che in futuro usciranno allo scoperto, che quando le difficoltà si faranno serie si proporranno come interpreti di una nuova maggioranza, che tagli a sinistra e apra a settori del centrodestra; per giunta, questa linea è confortata dal buon risultato dell’Udc.
La risposta di Prodi a questi pericoli sarà quella di insistere sulla costruzione del partito democratico e indubbiamente su quella via si faranno altri passi. La lista unitaria dell’Ulivo non ha certo fatto scintille (31,26%), ma Ds e Margherita da soli al Senato hanno fatto molto peggio (17,5 e 10,7 rispettivamente). Tuttavia, se simili manovre possono temporaneamente “blindare” i gruppi parlamentari, dal punto di vista politico corrispondono a un ulteriore spostamento a destra dell’asse dei Ds; e la corsa al centro, la continua rincorsa delle posizioni più moderate è precisamente ciò che ha aperto e aprirà il campo a Berlusconi. Lo smantellamento della sinistra (perché di questo si tratta) non è certo un argine contro la reazione. Al contrario significa spalancare le porte all’avversario.
Se questa è la prospettiva, la tattica di Bertinotti di aggrapparsi a Prodi, nel medio termine espone il Prc al rischio di essere travolto dalle contraddizioni della coalizione anziché trasformarle in un’opportunità per far emergere una reale alternativa a sinistra.
È invece necessario avviare una svolta generale nell’orientamento del Prc. Per sconfiggere la destra è necessario sconfiggerla nel paese, cioè lavorare per la ripresa delle mobilitazioni su un piano più alto, riallacciare i fili partendo dai punti alti delle lotte di questi anni, dai metalmeccanici alla Valsusa, non per una utopica e impossibile “permeabilità” del governo, ma per generalizzarne le lezioni, per proporne l’esempio a tutti i lavoratori, per far sì che domani in Italia si lotti come si sta facendo in queste settimane in Francia, e che su quelle basi si edifichi quella indispensabile alternativa politica a sinistra, riproponendo la prospettiva comunista come unica reale alternativa alla crisi del capitalismo e a un “riformismo” che in realtà non è altro che la subordinazione ai diktat della classe dominante.
È questa la bussola che proponiamo per riorientare l’azione del partito nella fase convulsa che si apre.
Le elezioni non hanno risolto nulla per nessuno. Non per la classe dominante, che si trova a fare i conti con un sistema politico sempre meno controllabile e sempre meno “efficace” nella difesa dei suoi interessi; tantomeno per la classe lavoratrice, che troverà nel governo dell’Unione non un argine contro la destra e contro le pretese dei padroni, ma una fonte di nuovi attacchi; oggi più che mai vale la considerazione che per i lavoratori non ci sarà alcun “governo amico”.
Ma il fatto che le urne non abbiano risolto alcun problema, che il risultato possa anche produrre nella sinistra una temporanea paralisi, non deve farci perdere di vista la questione fondamentale. I problemi sono ancora tutti lì, semmai esacerbati dall’esito del voto; e ciò che non è stato risolto dalle urne, prima o poi dovrà essere risolto per altre vie, ossia nel conflitto aperto, nella lotta di classe, come ci insegna in questi giorni la mobilitazione francese. Oggi la destra, ringalluzzita da una rimonta insperata, ha forse una carta in mano da giocare per prima. Ma più prima che poi torneranno in campo le grandi forze che abbiamo visto dispiegarsi nei movimenti di massa per l’articolo 18, nelle mobilitazioni contro la guerra, nelle cento lotte che hanno attraversato il paese in questi cinque anni. Lo imporrà non la volontà di questa o quella forza politica, ma la situazione senza uscita del capitalismo italiano.
Il paese spaccato delle urne simboleggia in qualche misura la reale spaccatura di classe che si è aperta in Italia. Ma con una avvertenza: lo specchio elettorale rimane uno specchio deformante, che enfatizza la forza dell’avversario, riduce o ammutolisce le ragioni più profonde dei lavoratori e di tutti gli sfruttati. Ma domani, quando inevitabilmente il conflitto si sposterà nelle aziende, nei quartieri, nelle piazze emergeranno i reali rapporti di forza, oggi in parte oscurati dalla natura della coalizione dell’Unione. In quei conflitti svaniranno tutti i sogni e le fantasie del “paese normale”, delle “grandi riforme”, dell’“Italia che riparte” e torneranno a sentirsi più forti di prima le voci di chi ha lottato per un reale cambiamento, che ha sperato di coglierlo attraverso il voto e che oggi scopre che questo arriverà solo quando prenderemo in mano direttamente, in prima persona, il nostro futuro, togliendo la fiducia a Prodi e riscattando la sinistra da una subordinazione pluridecennale a interessi che non sono i nostri.
È in questo processo che deve collocarsi il Prc, è lì come marxisti saremo presenti.
11 aprile 2006.
La redazione di FalceMartello