La rivoluzione boliviana ha sconfitto nuovamente l'ala radicale della borghesia ed il suo tentativo reazionario di tornare al potere dopo le dimissioni di Carlos Mesa nella notte di lunedì scorso. Una nuova immensa mobilitazione di lavoratori, contadini, sin tierra e popoli originari ha sventato i tentativi golpisti coordinati tra la borghesia cruceña, le ambasciate occidentali, non solo quella statunitense, e le multinazionali: un colpo di stato che se realizzato, nella attuale situazione del paese, avrebbe coperto di sangue le Ande.
La temporanea tregua che quasi naturalmente ha fatto seguito all'enorme dispersione di energie profuse in questa lotta, non illude nessuno: la nazionalizzazione degli idrocarburi, l'assemblea costituente e tutti gli altri problemi sollevati in queste 3 lunghissime settimane di lotta sono ancora irrisolti. E soprattutto la parola d'ordine del governo operaio contadino e la bandiera del socialismo sono ormai ben piantate nel cuore delle masse boliviane. Comincia ad articolarsi l'organizzazione della Asemblea Popular Nacional Originaria .
Le dimissioni di Mesa e la mediazione della chiesa
A conclusione del discorso col quale annunciava le proprie definitive dimissioni, Mesa nuovamente chiamava la chiesa a svolgere un ruolo di mediazione sociale. L'invocazione lasciava correttamente interpretare le motivazioni delle dimissioni del presidente.
Il governo Mesa ha goduto per un anno e mezzo dell'appoggio del MAS, ed insieme alle correnti più a destra di questo partito, legate al progetto Evo 2007 – la vittoria delle elezioni presidenziale del 2007 appunto – aveva disperatamente tentato di salvare e riaffermare la democrazia borghese e gli interessi imperialisti in Bolivia. Questi erano ad esempio gli obiettivi del famoso tramperendum , il referendum truffa con il quale il governo ed il parlamento, cercarono di confondere con cinque farraginosi quesiti la volontà popolare di nazionalizzare il gas (a tal proposito leggi l'articolo che abbiamo pubblicato sulla questione).
All'epoca il referendum, pur sommerso dall'astensione e dai voti annullati, sembrava cogliere l'obiettivo di dividere l'alleanza tra operai e contadini, ma era solo un'illusione. Durante la discussione di aprile sulla legge degli idrocarburi il tema della proprietà delle ricchezze naturali e dei mezzi di produzione è riesploso con maggiore forza e vigore. Oramai inviso alla generalità della popolazione e dei movimenti, indifendibile dal MAS e sempre apertamente ostacolato dalla maggioranza parlamentare Mesa è stato obbligato alle dimissioni.
Attraverso la mediazione della Conferenza Episcopale Boliviana, Mesa e il MAS, il primo per difendere le istituzioni, il secondo per non bruciare le proprie possibilità di arrivarci, avevano individuato il punto d'uscita dalla crisi.
Dimissioni dei due chiamati alla linea di successione istituzionale, presidenti di senato e camera, per far arrivare alla prima carica dello Stato il Presidente della Corte Suprema di Giustizia, con il compito esclusivo di convocare elezioni anticipate, sospendere l'elezione diretta dei prefetti e il referendum per l'autonomia, salvare la democrazia borghese.
Come riferito in precedenza il giorno delle dimissioni Evo Morales aveva segnalato i compiti del futuro governo tecnico tra cui quella che il leader cocalero chiama la nazionalizzazione di fatto del gas - il recupero della proprietà dei pozzi attraverso la loro occupazione fisica, e successiva concessione, con il 50% complessivo di imposte, alle multinazionali – oltre alla convocazione dell'assemblea costituente.
Ma pochi giorni dopo su questi punti il MAS glissa, puntando tutto sulla tregua concessa dal governo e sulla convocazione di nuove elezioni. All'inizio della settimana scorsa le dimissioni di Mesa - che il sindacato dei minatori in un comunicato stampa del 7 giugno definiva testualmente parte della trama ordita minuziosamente dalle multinazionali che hanno dimostrato d'essere padrone della Bolivia - hanno finalmente messo il paese di fronte alla domanda cruciale, l'ultima e definitiva conseguenza delle lotte sociali di questi anni: “quale classe comanda nella società?”. L'ipotesi di guerra civile avanzata da tutti i mass media mondiali, trova fondamento nell'aperta lotta per il potere tra l'imperialismo e la borghesia da una parte e la forza dirompente della classe lavoratrice boliviana dall'altra.
Il cabildo del 6 giugno e l' Asamblea Popular Nacional Originaria
Lo stesso 6 giugno, lunedì scorso, quando erano oramai nell'aria le dimissioni di Mesa, a la Plaza de Los Heroes (mai toponimo fu più appropriato) le organizzazioni civiche e sindacali di El Alto, la COB, gli insegnanti e le decine e decine di migliaia di contadini che assediano La Paz si riuniscono in uno storico cabildo . I dirigenti che si susseguono sul palco, da Edgar Patana della COR di El Alto, a Jaime Solares della COB, Miguel Zubieta dirigente dei minatori, Wilma Plata dirigente del sindacato insegnanti, Gabriel Choque dirigente contadino e tutti gli altri, affermano all'unisono la necessità che "il popolo si faccia governo". Con le nostre orecchie abbiamo ascoltato mezzo milione di persone (tante ne ha stimate il governo) rispondere a squarciagola, con una espressione aymara Jallalla Gobierno Obrero Campesino, viva il governo operaio contadino.
La determinazione e l'eccitazione della piazza coinvolge gli stessi oratori. Il carpentiere Abel Mamani, dirigente delle Juntas Vecinales di El Alto nella foga del suo intervento dichiara dirigiamoci adesso a prendere il parlamento, quelli d'accordo con me mi seguano . Prima che riesca a scendere dal palco mezza piazza avanza già minacciosa verso Plaza Murillo , l'altra metà si organizza per marciare lungo il Prado .
Gli scontri con i Grupos Especiales de Seguridad (GES) o dalmata come chiamano in Bolivia le forze antisommossa di esercito e polizia addestrate da militari statunitensi (anche direttamente in basi USA) dureranno fino a notte inoltrata. A mezzanotte circa mentre Mesa pronuncia il suo discorso di dimissioni, ci sono ancora alcune migliaia di contadini che cercano furtivamente di penetrare nella piazza del governo militarizzata. Il segnale lanciato viene immediatamente raccolto da tutto il paese. Il giorno dopo arrivano a La Paz le milizie armate del popolo: i minatori. Sono i cooperativistas , operai delle cooperative nate dalla privatizzazione delle miniere, imprese private, che il loro sindacato nazionale non ha ancora chiamato ad unirsi allo sciopero. Ma da Oruro e Potosì arrivano in massa, ed armati. La polizia riesce a bloccare proprio sulla Plaza de Los Heroes tre autobus. Su uno di questi vengono ritrovati qualcosa come cento chili di dinamite, due fucili e 14.000 bolivianos (la moneta locale): i cooperativistas sono arrivati armati, e si sono attrezzati, con collette speciali nelle loro città di origine, a restare a lungo in città, fino alla vittoria finale. Sono gli scontri più duri dall'ottobre del 2003 e proseguono ininterrottamente dalle 10 di mattina a notte fonda: il saldo a fine giornata è di diversi feriti, una città sommersa dai gas lacrimogeni, inondata dagli idranti e dagli agenti chimici, oltre 50 arresti.
Ovunque nel paese, con maggiore o minore forza, si susseguono le dichiarazioni di appoggio alla rivendicazioni nate a El Alto: l'autorità politica della dirigenza alteña è tanto forte che oramai in tutto il paese lo slogan è Bolivia de pie nunca de rodillas (Bolivia in piedi mai in ginocchio) riprendendo uno degli slogan più diffusi nelle marce a La Paz:
“El Alto in piedi mai in ginocchio.”Ancora una volta l'arrivo dei minatori galvanizza il già alto morale tra la popolazione: il giorno 8 gli scontri si ripetono con uguale intensità, i blocchi e le manifestazioni nel paese si radicalizzano come l'assedio alla capitale. Così mentre ancora non si sa dove, quando e se il congresso riuscirà a riunirsi, 150 dirigenti sindacali e di organizzazioni civiche, contadine e indigene dell'altiplano convocano a El Alto l'incontro fondativo della Asamblea Popular Nacional Originaria per approvare la storica risoluzione che abbiamo tradotto in altre pagine del sito.
Per la prima volta le organizzazioni sociali impegnate nell'assedio a La Paz indicano ufficialmente alla rivoluzione boliviana lo strumento, le assemblee popolari di base, e la meta, il governo operaio e contadino. La storia ricomincia da qui!
Il “golpe in guanti bianchi” e Hormando Vaca Diez
Il Presidente del Senato, Hormando Vaca Diez convoca il parlamento giovedì 9 a Sucre, a valle, lontano dai fuochi rivoluzionari dell'altipiano. Dichiara di non avere alcuna intenzione di rinunciare alla carica di Presidente della Repubblica: le dimissioni a catena si fermano con lui.
Mesa con un accorato appello televisivo, rivolgendosi direttamente e per nome all'esponente del MIR lo esorta “Hormando ti prego dimettiti, salva il paese dalla guerra civile”. Nel frattempo diversi esponenti dello stesso MIR, del MNR e della NFR cominciano a esprimersi a favore di un governo Vaca Diez. Risorge la megacoalicion , il tripartito che aveva sostenuto Gonzalo Sanchez de Lozada il vecchio presidente cacciato dall'insurrezione dell'ottobre del 2003.
Hormando Vaca Diez è uomo del MIR, è di Santa Cruz de la Sierra, è un latifondista legato alle borghesia autonomista. Fu coinvolto nello scandalo del narcotraffico della fine degli anni ‘80 da alcune foto che lo ritraevano alle feste dei più importanti mafiosi del paese i Saucedo e i Chavarria. Per i movimenti sociali, specie a El Alto, è anche l'assassino di Eustaquio Picachuri, anziano lavoratore che per protestare contro la riforma delle pensioni si era asserragliato nella hall del parlamento pieno di dinamite e che mentre il governo Mesa preparava una trattativa per portarlo a più miti consigli, Vaca Diez spinse al suicidio mandandogli contro la polizia al grido “toglietemi di torno questo terrorista”.
Attorno alla sua figura si coalizza un ampio fronte controrivoluzionario per combattere quelli che nella sua omelia dell'8 il cardinale Julio Terrazas aveva definito i demoni che si sono impossessati di El Alto . Evo Morales denuncia pubblicamente il tentativo golpista in atto e chiama i movimenti sociali, i lavoratori e la classe media urbana ad organizzare la resistenza .
La Central Obrera Departamental de Chuquisaca organizza immediatamente una manifestazione nella città dove fu proclamata l'indipendenza della Bolivia. Dal vicino dipartimento di Potosi una marea umana si mette in moto per arrivare a Sucre ed impedire a Vaca Diez di impossessarsi della prima carica dello Stato.
Citiamo un episodio marginale per dare le dimensioni della mobilitazione. Il cronista di una radio potosina in marcia verso Sucre intercetta una colonna di 4.000 contadini ed intervista il dirigente che dice: veniamo da Betanzos . Conosciamo personalmente il posto, un villaggio contadino vicino Potosì di non più di 5.000 abitanti compresi anziani e bambini.
Immancabilmente si muovono i minatori potosini, storico distretto minerario del paese: alcuni autobus della Cooperativa 26 de Marzo di Potosi vengono intercettati e provocati dall'esercito a Yotala ad alcuni kilometri da Sucre.
Il minatore Carlos Coro Mayta viene assassinato. Il ministro dell'interno Saul Lara alla televisione dichiara che il governo non ha dato alcun ordine di fare fuoco – a tutt'oggi non si sa chi abbia ordinato all'esercito di sparare – ma comunque lo stesso governo ritiene l'arrivo dei minatori in città un serio pericolo per lo svolgimento dei lavori parlamentari.
La rabbia popolare al diffondersi della notizia diviene violenta. Istintivamente le masse corrono a bloccare gli aeroporti, e gli stessi lavoratori aeroportuali entrano in sciopero. Wilberto Ramos principale dirigente campesino della regione afferma che Vaca Diez uscirà da Sucre solo squartato. Un immane spiegamento di forze tenta di proteggere la Plaza 25 de Mayo dove è attesa la riunione del parlamento. Le foto delle colonne militari pubblicate in quei giorni mostrano chiaramente che per fronteggiare le masse i comandi militari sono dovuti ricorrere nuovamente ai soldati di leva di leva. In tutto il paese la mobilitazione esplode: a Cochabamba il cabildo abierto che si svolge nella piazza centrale approva una mozione per la formazione delle Assemblee Popolari e per arrivare al governo operaio contadino. Vaca Diez rifugiatosi in una caserma militare alla fine è costretto a fare marcia indietro, non prima di aver condannato il ricatto antidemocratico della piazza, e di aver stretto la mano sorridente al nuovo Presidente, Eduardo Rodriguez Veltsè, giurista della corte suprema di giustizia, arrivato da tecnico a tentare di cospirare anch'esso contro la rivoluzione boliviana attraverso le trappole parlamentari.
Vaca Diez arriva a Sucre su un aereo in compagnia del genero e assessore di Gonzalo Sanchez de Lozada, Mauricio Balcazar e di Eduardo Sffeir, rappresentante dell'Ambasciata USA. Mentre in parlamento i partiti trattano, il comando militare in mimetica convoca una conferenza stampa per invitare il congresso ad ascoltare tutti i settori sociali, compreso il padronato cruceño, ed avvertire che le forze armate faranno rispettare la costituzione, le decisioni del congresso, qualsiasi esse siano, e la democrazia, messa in pericolo, a loro dire, dall'avanzata rivoluzionaria di El Alto.
A Santa Cruz la chiamata alle armi del comitato civico ha raccolto non più di 800 militanti della Union Juvenil. Questi ultimi, col tipico vigliacco atteggiamento fascista, caricano le poche decine di contadini che bloccano la Santa Cruz - Cochabamba nella località di El Torno, con diversi feriti, ma già hanno vita dura nel più grande blocco di Santa Marta. Il comitato perde il controllo della città: un sondaggio del 13 giugno ad opera del giornale cruceño El Deber mostra che oltre il 70% della popolazione, una delle percentuali più alte del paese, è per la nazionalizzazione del gas, e più del 50% è contro l'autonomia. A San Julian feudo del MAS i contadini e i lavoratori si preparano allo scontro militare, a sud di Santa Cruz i guaranì radicalizzano la lotta. La borghesia autonomista chiede aiuto all'esercito, Santa Cruz è totalmente militarizzata dall'arrivo dei militari della ottava divisione, tutte le forze armate della regione si concentrano in città.
L'Ambasciata USA e le multinazionali lasciano chiaramente intendere il loro appoggio a Vaca Diez, anche in vista del bagno di sangue che il suo governo dovrà realizzare per affermarsi, tutto è concesso pur di frenare l'avanzata socialista e proletaria che si diffonde nel paese. Ma proprio in una caserma militare assediata e con decine di migliaia di manifestanti in piazza, Vaca Diez è riportato a più miti consigli.
In genere quando un Presidente, appena nominato, prima ancora di formare il governo annuncia il cambio al vertice delle forze armate c'è qualcosa che non va. Se poi a farlo è un presidente costituzionale nominato al culmine di una insurrezione popolare, come il caso di Rodriguez allora la cosa è più che sospetta.
Significativa in tal senso è l'annunciata sostituzione del generale Cesar Lopez, uno dei tre ufficiali dell'alto comando militare che si presentarono alla nazione in divisa da combattimento il 9 giugno, con il generale Marcelo Antezana, il Capo di Stato Maggiore dell'Esercito al quale i sindacalisti della COB si rivolgevano le scorse settimane chiedendogli di formare un governo civico militare. Non si può a nostro avviso partire dal fatto che sull'ipotesi del colpo di stato la direzione del MAS ha ricostruito la propria autorità tanto da riuscire, tradendo la lotta del popolo, a dichiarare la tregua unilaterale al governo Rodriguez, per affermare, all'opposto estremo, che non vi è stato alcun tentativo di fronteggiare anche militarmente l'avanzata rivoluzionaria, che si è trattato di una semplice manovra.
L'insurrezione di queste settimane ha svelato nelle forze armate l'esistenza di almeno tre correnti, una nazionalista, l'altra democratico costituzionale, la terza disponibile a seguire la borghesia e l'imperialismo sul terreno eversivo della repressione. E questo senza che la base dell'esercito abbia materialmente avuto possibilità e tempo di esprimersi. Vaca Diez ha impersonato il tentativo estremo di difesa per una borghesia accerchiata ed impaurita dagli sviluppi della rivoluzione. Le masse boliviane hanno d'un colpo pesantemente indebolito le organizzazioni borghesi, sconfitto e reso molto più che improbabile un esito reazionario alla crisi che attanaglia il paese, e, fissandosi l'obiettivo rivoluzionario della presa del potere, pesantemente ipotecato le possibilità di successo del governo democratico istituzionale di Eduardo Rodriguez. Ma hanno anche svelato una volta di più quanto la Bolivia sia importante nel "grande gioco" imperialista latino americano.
La Bolivia nello scacchiere imperialista
Non è il caso di approfondire eccessivamente il tema, ma è un dato di fatto che l'America Latina non è più semplicemente il "cortile di casa" statunitense, da quando l'apertura dei mercati negli anni '80 ne ha fatto terra di conquista per le multinazionali, specie quelle europee, alle quali gli USA rispondono cercando di ergere la muraglia dell'ALCA. Secondo uno studio della Commisione economica delle Nazioni Unite per l'America Latina e i Caraibi del 2002 tra le multinazionali che fanno maggiori guadagni in America Latina, nel settore industriale al primato della General Motors corrisponde il secondo posto della tedesca Volkswagen, in quello estrattivo energetico il primato spetta alla britannico-olandese Shell, seguita a distanza dalla Exxon e più in là dalla spagnola Repsol e dalla italiana ENI.
Sono lontani i tempi in cui la nazionalizzazione in Bolivia voleva dire avere a che fare con le statunitensi Gulf, Standard Oil ecc. Ci sono notevoli investimenti europei diretti in Bolivia, ma il grosso gravita attorno alle economie brasiliana, argentina e cilena (oltre, ma con minore intensità a quella messicana). Nessuno di questi tre paesi è autosufficiente dal punto di vista energetico. La più economica e grande fonte di approvvigionamento sono proprio il gas e il petrolio boliviano. È ovvio che la Comunità Europea difenda i propri utili nel continente e non perda occasione per competere sul terreno commerciale, come in quello diplomatico con l'egemonia statunitense. Gli stessi fondi per la cooperazione, a parte l'uso che se ne fa, sono dall'Europa subordinati ad imporre scelte ai governi, come il caso dell'adesione della Bolivia alla carta contro i genocidi proposta dal Tribunale dell'Aia ed apertamente osteggiata dagli USA.
Per parte loro gli Stati Uniti hanno bisogno di una nuova affermazione nell'area.
L'America Latina è una polveriera, mentre è in corso l'insurrezione boliviana c'è stato uno sciopero generale di una settimana a Panama contro la riforma delle pensioni e altrettante mobilitazioni in Nicaragua. Questo spinge anche i governi non propriamente rivoluzionari, come quello argentino e brasiliano, ad assumere posizioni in aperto contrasto con la politica USA, come il caso della recente elezione del nuovo segretario della Organizzazioni degli Stati Americani (OEA).
L'alleanza Lula – Kirchner – Chavez ha impedito l'elezione del candidato messicano caro agli USA a favore del socialista cileno Insulza. Controllare la Bolivia vuol dire controllare le economie brasiliana e argentina e mettere in scacco la penetrazione europea in Sud America.
Le masse in lotta per la propria emancipazione sanno di non potersi fidare dei governi riformisti di Lula, Kirchner, Zapatero, che in Bolivia difendono gli interessi delle rispettive borghesie, nè tanto meno nella UE e in tutti gli altri enti che come avvoltoi svolazzano sulle vette andine. L'imperialismo dopo essersi giocato la carta Vaca Diez per misurare la forza e la determinazione delle masse, ed esserne uscito sconfitto, sembra complessivamente privo di una strategia. La UE ed alcuni suoi paesi come la Spagna hanno continuato a sostenere Mesa anche dopo le sue dimissioni, e soprattutto a sottoscrivere con lui contratti di sfruttamento delle risorse. Gli USA vorrebbero puntare su Jorge Tuto Quiroga, uomo della destra della ADN, ex presidente, delfino di Banzer ed amico di Bush, ma sanno che sarà molto difficile portarlo ad una affermazione elettorale in questa situazione sociale. Tutti si aggrappano a Rodriguez nella speranza che la tregua che l'attuale presidente è riuscito ad ottenere duri quanto basta per studiare un piano. La rivoluzione boliviana potrà essere sconfitta solo al suo interno, è questa la lezione di questi giorni. Il problema con Evo Morales e con il MAS diviene una delle priorità assolute per le avanguardie rivoluzionarie
Evo Morales Ayma e le prospettive della rivoluzione
La tregua dichiarata a Rodriguez è una oggettiva vittoria politica del MAS e della sua linea conciliatrice. Ma la situazione è molto diversa dall'ottobre del 2003 quando Morales puntò sul condizionamento esterno del governo Mesa per decretare la fine delle ostilità che portarono alla caduta di Sanchez de Lozada. Allora si attendeva di mettere il nuovo governo alla prova.
Oggi i contadini della regione di La Paz sostengono ancora blocchi a nord della capitale. La COR di El Alto, sempre in prima linea, in un importante documento di bilancio della lotta di queste settimane afferma: “noi lavoratori alteñi stabiliamo che in nessun momento stiamo concedendo tregue all'attuale governo di Eduardo Rodriguez ma al contrario stiamo ripiegando solo per rifornirci di alimenti e carburante per continuare la nostra lotta intransigente e incrollabile” e ancora in un significativo passaggio titolato la nostra irrinunciabile lotta per il potere si dice: “che Samuel Doria Medina e Jorge Tuto Quiroga, strumenti politici delle loggie, della oligarchia cruceña e dell'imperialismo yankee, non si strofinino le mani, perché noi di El Alto, succeda quello che succeda, non rinunceremo al nostro obiettivo di instaurare un governo dei popoli originari, degli operai e dei poveri delle città”. Più chiaro di così!
Nella stessa base del MAS il recupero di autorità del gruppo dirigente non viene vissuto come una cambiale in bianco. Il documento del Pacto de Unidad che raggruppa il sindacato contadino, i Sin Tierra e le organizzazioni dei popoli originari, pur dichiarando la tregua ufficialmente afferma che la soluzione Rodriguez è una via d'uscita transitoria che non risolve i problemi di fondo del popolo boliviano, per cui non rinunceremo alle nostre domande storiche che sono la convocazione dell'Assemblea Costituente ed il recupero effettivo dei nostri idrocarburi . Un comunicato della Coordinadora en Defensa del Gas attiva e riconosciuta organizzazione del feudo masista di Cochabamba afferma la necessità di utilizzare la tregua per aprire ovunque la riflessione sulla necessità di costruire la nostra capacità di autogoverno, per lanciarla nelle prossime mobilitazioni . La caratteristica delle mobilitazioni in Bolivia di questi ultimi anni è proprio questa: ad ogni nuova ondata rivoluzionaria le parole d'ordine più radicali del periodo precedente diventano patrimonio e rivendicazione comune, segno del progressivo approfondimento del processo rivoluzionario.
Rodriguez ha una sola possibilità per evitare la ripresa delle mobilitazioni: non dire né fare niente, visto che non è certo lui, ex gonista contro cui il MAS fino a 2 anni muoveva pubbliche denunce, l'uomo che condurrà alla nazionalizzazione. La possibilità che la borghesia e l'imperialismo si giochino la carta del sostegno a Evo Morales è una lama a doppio taglio. Morales non è Lucio Gutierrez. Non è il militare pescato fuori dalla lotta di classe che con la sua faccia da indio riesce a conquistare l'appoggio delle masse lavoratrici, salvo poi essere buttato fuori dalle stesse una volta manifestato il suo servilismo alla borghesia e all'imperialismo.
Il MAS ha mostrato di avere una base proletaria, attiva, critica e poco convinta dagli equilibrismi istituzionali di Morales su temi importanti come quello degli idrocarburi. Per questo non è detto che Morales vinca le prossime elezioni, così date le passate esperienze del popolo boliviano, non è neppure detto che la borghesia si renda disponibile a fare qualche minima concessione.
Le uniche armi per dividere il movimento continuano ad essere l'Assemblea Costituente, non a caso finanziata dagli USA, e la questione indigena, terreno sul quale l'imperialismo sarebbe ben felice di fare qualche concessione che gli faccia recuperare in immagine, senza mettere in discussione i privilegi della borghesia urbana.
Torna urgente la necessità per l'avanguardia rivoluzionaria di avere un orientamento chiaro nei confronti di questo partito per conquistarne la base alla prospettiva della presa del potere. Si potrebbe far leva sulla condizione sociale contadina della base del MAS, a partire da un programma per la realizzazione di una vera riforma agraria, che chiarisca che quella del 1956 è fallita perché gestita dalla stessa borghesia che si voleva espropriare.
La riforma, frutto della rivoluzione operaia del 1952, affermava il diritto per ciascun boliviano alla terra, la realtà oggi è che il 7% della popolazione possiede l'87% delle terre coltivabili, 28 milioni di ettari. La rinascita di una questione indigena negli anni '90 parte da qui, dalla questione agraria e dal fallimento della rivoluzione operaia del 1952, e lo sanno perfino i dirigenti dei due partiti più indigenisti di Bolivia il MAS appunto e il MIP di Felipe Quispe, i quali si contendono a suon di manovre il controllo del sindacato contadino.
L'industrializzazione del gas, oggi dichiarata senza specificarne gli scopi, nel programma rivoluzionario dovrebbe essere messa al servizio della meccanizzazione della produzione agricola, per liberare i contadini, anche i piccoli proprietari, dalla schiavitù della terra. In questo contesto vanno affermati i diritti dei popoli originari, altrimenti l'autodeterminazione che pure in tanti rivendicano diventa uno strumento per la disintegrazione della Bolivia tra aymara, quechua e guaranì.
Nel dibattito che naturalmente si aprirà tra le varie organizzazioni bisognerà porre la questione in questi termini: “volete continuare a lottare per uno strumento vuoto, l'Assemblea Costituente, o per l'obiettivo che per questa via voi stessi vi prefiggete di ottenere: la possibilità di costituire uniti un governo operaio, contadino e dei popoli originari di Bolivia? Volete la nazionalizzazione, la riforma agraria ecc., costruiamo insieme le Assemblee Popolari”.
Sono questi i compiti ineludibili della avanguardia rivoluzionaria di massa: aprire da subito senza settarismo una campagna rivolta al MAS, organizzare e promuovere le assemblee popolari in tutto il paese per promuovere la direzione unica della futura ondata di mobilitazioni rivoluzionarie.
El Alto e il ruolo della classe operaia
Ma da chi è composta questa avanguardia di massa? L'assenza di una direzione rivoluzionaria organizzata in un partito, con un piano per la presa del potere, è apparsa evidente.
Quello che in molti si è cercato di nascondere è il ruolo della classe operaia boliviana. Ciò che non si poteva nascondere è il ruolo della città di El Alto. Nel documento approvato dall'Assemblea Popolare Nazionale Originaria del giorno 8 El Alto viene proclamata capitale della rivoluzione boliviana del XXI° secolo. Dietro questo riconoscimento politico delle organizzazioni sindacali e contadine nazionali e dipartamentali si cela il carattere proletario ed il ruolo d'avanguardia della classe lavoratrice boliviana.
El Alto nasce come municipio il 6 marzo del 1986 a seguito della più profonda sconfitta della classe operaia boliviana, che segna anche l'inizio del periodo "democratico" nel paese andino. Battute le dittature Banzer, prima e Garcia Meza, poi, la Bolivia si trovò ad affrontare una durissima crisi economica prodotto della crescita esponenziale del debito estero, contratto dalle giunte militari e fasciste, dalla caduta del prezzo dello stagno e dalla crescente inflazione. Proprio l'uomo che i minatori difesero nella rivoluzione del 1952, il rappresentante del partito nazionalista borghese MNR che sull'onda di quella stagione rivoluzionaria nazionalizzò le miniere e lanciò la riforma agraria, Victor Paz Estenssorro, si incaricò di svendere le conquiste sociali della classe operaia boliviana, operando il più selvaggio massacro sociale della storia del paese.
Prima furono mandati al confino 150 sindacalisti, tra cui lo stesso Juan Lechin, per quarant'anni corrotto dirigente della COB, che con Paz Estenssorro aveva formato il governo di fronte popolare del 1952. Furono poi annunciati circa 100mila licenziamenti e la privatizzazione di molte miniere statali. Dopo 16 giorni di sciopero generale nell'agosto del 1985 i minatori iniziarono la Marcha por la Vida da Oruro a La Paz. Erano isolati perché la direzione di Lechin non seppe unire la loro lotta ad una visione generale dei problemi della società, ed anche per effetto del controllo che partiti come il MIR esercitavano sul sindacato contadino, ma in quei 16 giorni di lotta difensiva ancora una volta furono ad un passo dal piegare lo stato borghese.
Paz Estenssorro conosceva bene la loro forza e prima che la marcia arrivasse a La Paz mandò l'esercito a disperderla nella località di Calamarca, a 100 chilometri dalla capitale.
23mila furono i licenziamenti solo tra i minatori, 100mila in tutto il settore ex pubblico, molti dei quali, con i loro carichi di frustrazione ma anche di tradizioni operaie, sindacali e di lotta diedero vita all'esplosivo processo di inurbazione del sobborgo paceño che poi divenne El Alto. La popolazione in questa città è cresciuta ad un ritmo del 10% annuo. Secondo le stime ufficiali dell' Instituto Nacional de Estadistica boliviano, la popolazione di El Alto impiegata nel settore manifatturiero leggero (aziende tessili, alimentari, calzaturieri ecc.) è aumentata in 10 anni dell'84%, fino a far diventare la città il secondo centro industriale del paese dopo Santa Cruz de la Sierra.
La sconfitta di Calamarca, paragonabile per certi versi ai 35 giorni della FIAT, spinse molti intellettuali a sminuire il ruolo della classe operaia, a cercare fuori dai rapporti di produzione le spinte alla trasformazione della società. In Bolivia Alvaro Garcia Linera, influente e stimato pensatore politico, molto amato e citato dai giornalisti de Il Manifesto , arrivò ad affermare in La condicion obrera che Calamarca, la chiusura e la parcellizzazione delle grandi fabbriche e miniere statali segnavano la fine della centralità della classe operaia, indebolita e trasformata dai processi di ristrutturazione. Il nuovo orizzonte erano i popoli originari, la lotta per l'affermazione del loro diritto a vivere e produrre secondo l'antica tradizione comunitaria.
Gli anni '90 furono effettivamente un decennio di ripresa delle lotte di emancipazione dei popoli originari. Nacquero organizzazioni nazionaliste indigene come il MIP di Felipe Quispe e lo stesso sindacato contadino si caratterizzò per la sua visione indigenista del problema agrario. Ma non si trattava di riprendere il filo interrotto con la guerra di liberazione nazionale di Tupaj Amaru e Tupaj Katari, come lasciano intendere molte interpretazioni anche italiane del fenomeno, ma di fare i conti, come già detto in precedenza, con il fallimento della rivoluzione operaia. Eppure fino a qualche anno fa era lo stesso Quispe a affermare con il coro degli scettici che la classe operaia in Bolivia era morta!
La classe operaia invece ripiomba sulla scena, trascinandosi dietro tutti i settori sfruttati della società. Secondo lo stesso istituto statistico oggi solo il 20% della popolazione economicamente attiva lavora nei settori manifatturiero, estrattivo e delle costruzioni, contro il 38% del settore agricolo.
Di quel 20% solo un terzo è impiegato in luoghi di lavoro con più di 30 dipendenti. Eppure ancora una volta la discesa in campo dei circa 70.000 minatori boliviani ha scatenato nelle masse un irrefrenabile entusiasmo ed è capace di spostare l'ago della bilancia. E non solo in Bolivia. Condividiamo il giudizio del marxista inglese Alan Woods nell'articolo Bolivia tutto il potere alle assemblee popolari , che fatti come quelli della Bolivia ridanno speranza al movimento operaio e rivoluzionario mondiale.
Non si fa un buon servizio a questa causa nascondendo, come pervicacemente si è tentato di fare, i nuovi obiettivi che si è data la rivoluzione boliviana a partire dal cabildo abierto del 6 giugno. Sembra incredibile ma non siamo riusciti a trovare la notizia della formazione dell'Assemblea Popolare come strumento di potere degli operai e contadini di Bolivia in nessuno dei giornali progressisti e della sinistra italiana. Eppure è un fatto storico.
La rivoluzione socialista torna sulla scena mondiale, torna sulla bocca di milioni di lavoratori e contadini e nelle loro mobilitazioni. Il mondo sta cambiando rapidamente e la crisi di direzione del movimento operaio di fronte a tali cambiamenti diviene sempre più evidente. E da qui, dalle lezioni che ci impartisce la rivoluzione boliviana con l'entusiasmo che ci infonde che dobbiamo ripartire nel nostro lavoro di costruzione del partito rivoluzionario dei lavoratori.
Quando su Liberazione si dice, in una lettera inviata alla redazione da Nicotra e De Palma, siamo tutti boliviani che almeno lo si dica a partire dalle loro rivendicazioni e dai loro slogan.
14/06/2005