Un punto di svolta cruciale per la rivoluzione
La campagna per le elezioni presidenziali in Venezuela del 3 dicembre è in pieno svolgimento. Ma queste elezioni non sono per nulla “normali”. Quel che veramente è in gioco il 3 dicembre è il futuro della rivoluzione bolivariana.
All’inizio, l’atteggiamento della classe dominante venezuelana nei confronti di Chavez fu ambiguo. Chiaramente non era il loro candidato, ma da quando fu eletto a presidente, ci fu chi pensò che poteva essere messo sotto forte pressione, per moderare il suo programma, e fondamentalmente che poteva essere usato per fornire una faccia nuova e pulita alla screditata democrazia borghese Venezuelana, ma senza danneggiarne il potere, le ricchezze, e i privilegi.
Queste speranze svanirono quando nel dicembre 1991 il presidente Chavez emanò le 49 leggi abilitanti, con l’intento di mettere in pratica la parte più importante del suo programma: il mantenimento del carattere statale dell’industria petrolifera e l’applicazione della riforma agraria. A prima vista, queste riforme erano solo moderatamente progressiste. L’industria petrolifera era già stata nazionalizzata nel 1976 e la riforma agraria proposta distribuiva principalmente le terre demaniali ed espropriava con indennizzo le proprietà terriere incolte. Ma la marcia e parassitaria borghesia venezuelana, le 100 famiglie che controllano le ricchezze del paese da duecento anni e governavano lo stato e la compagnia pubblica petrolifera come feudi privati, non potevano tollerare nulla di questo. Non era solo una semplice questione di opposizione alle 49 leggi abilitanti, ma la paura di un movimento rivoluzionario che si era sviluppato dal basso, di un processo di presa di coscienza delle masse iniziato da Chavez, dell’organizzazione di milioni di operai, contadini e poveri delle città in organizzazioni rivoluzionarie di base di ogni tipo.
Coloro che erano sempre stati esclusi dalle decisioni politiche ora pensavano di poter governare il paese, qualcosa che non poteva essere assolutamente permesso. Questo spiega l’opposizione fondamentale e irriconciliabile dell’oligarchia (la piccola cricca di capitalisti proprietari delle banche, della terra e dell’industria, in alleanza col capitale multinazionale) alla rivoluzione bolivariana. Non importa quante volte Chavez abbia provato a cercare un confronto, e di pacificare la situazione. Finchè Chavez rimane un fattore di sprone al movimento rivoluzionario delle masse, non cesseranno i loro tentativi di rovesciarlo e di porre la parola fine alla rivoluzione bolivariana con ogni mezzo necessario.
Questo è stato chiaramente dimostrato col colpo di stato dell’Aprile 2002, con la serrata e il sabotaggio dell’economia nel Dicembre 2002-Febbraio 2003 (che fu accompagnato da un nuovo tentativo di colpo di stato) e gli scontri e le provocazioni (la “guarimba” secondo i venezuelani) del Febbraio 2004 (in cui l’opposizione portò 130 paramilitari colombiani nel paese). Ma tutti questi tentativi di un rovesciamento violento del governo sono falliti perché si sono scontrati con un movimento di massa che li ha sconfitti. Nel caso del sabotaggio petrolifero nel 2002, i lavoratori petroliferi (con l’appoggio delle comunità locali e di settori delle Forze Armate) hanno preso il controllo degli impianti e li hanno fatti funzionare sotto il controllo operaio, in quel che nel mondo rappresenta il più avanzato esempio di controllo operaio degli ultimi tempi.
L’oligarchia e le elezioni
La controrivoluzione è regolata dalle medesime leggi della rivoluzione. Essendo stata duramente sconfitta in varie occasioni, l’opposizione (l’oligarchia) è demoralizzata, divisa al suo interno e ha perso la capacità che aveva di mobilitare centinaia di migliaia di persone tra i ceti medi dell’Est di Caracas. Le sconfitte dei tentativi di golpe hanno portato all’epurazione della parte più reazionaria delle Forze Armate. Allo stesso tempo questi avvenimenti hanno rafforzato la fiducia delle masse nelle loro forze e la loro risolutezza nel difendere la rivoluzione. Questo ha lasciato l’oligarchia, nel breve periodo, senza la possibilità di portare avanti un nuovo tentativo golpista.
Ma sarebbe un errore pericoloso pensare che si siano convinti ad agire soltanto entro i limiti della democrazia parlamentare. Il loro scopo è sbarazzarsi di Chavez e spezzare il movimento e lo spirito rivoluzionario delle masse. Sanno molto bene che, per adesso, non possono ottenere questo in una competizione elettorale onesta. In questo campo sono già stati duramente battuti, nel referendum revocatorio dell’agosto 2004, nelle elezioni per i governatori degli stati nell’ottobre dello stesso anno (dove hanno vinto soltanto in 2 dei 23 stati del paese) e poi nelle amministrative del 2005 (dove hanno conquistato soltanto il 25% delle amministrazioni comunali).
Anche se potrebbero essere costretti a partecipare alla competizione elettorale, per mancanza di un piano migliore, questa è soltanto una mossa tattica. Al tempo del referendum revocatorio nell’Agosto 2004, sapevano che non potevano vincere e il loro piano fu di annunciare la vittoria, con l’appoggio dei media e degli osservatori internazionali, e creare così una situazione di caos che potesse “giustificare” un intervento internazionale (sotto la foglia di fico dell’Organizzazione degli Stati Americani). All’ultimo minuto, davanti alle dimensioni della vittoria di Chavez e impauriti dalle implicazioni di un movimento di massa contro ogni tentativo di truccare il risultato del referendum, il settore più intelligente dell’imperialismo ha abbandonato questo piano, lasciando gridare alla “frode” l’opposizione Venezuelana per qualche mese.
Alle elezioni per l’Assemblea Nazionale del 2005, la tattica usata fu differente. L’opposizione partecipò alla campagna elettorale mentre stava organizzando una campagna sistematica per minarne la credibilità (attaccando il sistema di voto,il registro elettorale, il Consiglio Elettorale Nazionale, etc.), in modo da giustificare una ritirata all’ultimo minuto (anche se molte delle loro richieste riguardo ai metodi di voto, al conteggio e altro, erano state accolte). L’idea era di delegittimare l’Assemblea Nazionale. Questo fu un chiaro segnale che la classe capitalista venezuelana non è interessata alla democrazia parlamentare, quando questa non fornisce i risultati desiderati.
Questa volta l’opposizione sembra stia usando una combinazione di entrambe le tattiche. Prima di tutto sono riusciti a scegliere un candidato unitario (un vero successo!), Manuel Rosales, l’attuale governatore dell’opposizione del ricco stato petrolifero di Zulia, al confine con la Colombia. Rosales rappresenta una tipologia del politico d’opposizione molto più astuta. Anziché opporsi frontalmente agli programmi sociali estremamente popolari del governo Chavez (le Misiones), ha introdotto delle “brutte copie” di questi nello stato di Zulia sotto nomi diversi (e senza l’elemento rivoluzionario di autorganizzazione delle masse che molte delle missioni hanno). Ha dichiarato nella sua campagna elettorale che se verrà eletto, manterrà le Misiones. Nei fatti, sta facendo molte promesse assistenzialiste che fanno di lui il vero candidato populista di queste elezioni!
L’opposizione continua ancora a fare molto chiasso sulle irregolarità nel registro elettorale, sull’inaffidabilità delle macchinette elettroniche per il voto, etc. etc. Ma Rosales ha promesso di restare in corsa fino alla fine e di non ritirarsi. La loro strategia questa volta somiglia molto a quella usata durante il referendum revocatorio. Attraverso il loro controllo dei mass-media privati stanno sviluppando l’idea che il vantaggio di Chavez si stia riducendo e che il margine tra lui e Rosales si stia colmando. Come abbiamo già visto, quanto più si avvicina il giorno delle elezioni, possono pubblicare facilmente sondaggi di “intenzioni di voto” che mostrino come sia un vero testa-a-testa, che entrambi i candidati riceveranno più o meno gli stessi voti…e quando allora i risultati indicheranno la vittoria di Chavez con un ampio margine. Allora potrebbero organizzare una campagna dicendo che c’è stata una frode, appellandosi all’intervento delle Forze Armate e della “comunità internazionale”, etc.
Mentre l’opposizione è relativamente debole, uno dei principali pericoli per la rivoluzione bolivariana proviene dall’interno. C’è tutto uno strato di funzionari nell’apparato statale e nel movimento bolivariano che stanno impedendo alla rivoluzione di andare avanti e di essere portata avanti.
Chavez stesso ne è molto consapevole, e in una recente intervista ha messo in guardia su come questo ora sia la principale minaccia che fronteggia la rivoluzione.
La minaccia interna
“La maggiore minaccia viene dall’interno. C’è una controrivoluzione burocratica costante. Rappresenta un nemico quotidiano, devo camminare in giro con una frusta, perché vengo attaccato da tutti lati da questo nemico, da una vecchia e una nuova burocrazia che resiste ai cambiamenti, così devo stare costantemente in guardia quando impartisco un ordine, e devo seguirne il suo iter affinchè non sia bloccato, o distorto, o minimizzato da questa controrivoluzione burocratica che è presente nello stato. Questo sarà uno degli elementi della nuova fase in cui stiamo entrando: la trasformazione dello stato.”
“Lo stato è stato trasformato ai livelli alti, ma rimane intatto alla base. Abbiamo la necessità di pensare fin da ora a un nuovo pacchetto di leggi, per trasformare i livelli alti del potere politico e giudiziario fino ai livelli più bassi dello stato per poter sconfiggere questa resistenza.”
“Una minaccia gemella a quella della controrivoluzione burocratica è la controrivoluzione della corruzione, perché può colpire dove meno te lo aspetti” (tratto da Panorama Digital, riportato su Aporrea)
Ciò solleva due problemi diversi che sono collegati fra loro. Da un lato l’apparato dello stato Venezuelano è ancora lo stesso apparato statale capitalistico della IV Repubblica. Tutto un settore di attivisti che proviene dal movimento rivoluzionario adesso occupa posizioni nei ministeri e nelle varie istituzioni, ma le strutture basilari e la maggioranza del personale sono ancora le stesse. Ciò significa che c’è un sabotaggio costante delle decisioni prese dal governo o dai diversi ministeri. Quando le organizzazioni di base devono trattare con le istituzioni statali si trovano bloccate a tutti i livelli da funzionari che sono stati in quelle posizioni per 10, 15, 20 anni, chiaramente al servizio degli interessi della classe dominante.
Una delle principali lezioni tratte da Marx ed Engels dall’esperienza della Comune di Parigi è che “La classe operaia non può mettere semplicemente le mani sulla macchina dello Stato bella e pronta, e metterla in movimento per i propri fini.” (La Guerra Civile in Francia) L’esperienza della rivoluzione bolivariana negli ultimi anni è una conferma inconfutabile di quest’idea e la conseguenza è che si è sviluppato uno scontento crescente nelle fila del movimento rivoluzionario di fronte a questo stato di cose.
La strada scelta da Chavez finora è stata quella di provare ad aggirare, fino a un certo punto, le istituzioni esistenti creandone altre. Per esempio i piani sociali per l’istruzione, la sanità e altro (le Misiones), attualmente non sono realizzati attraverso i Ministeri della Sanità e dell’Istruzione, ma direttamente a livello delle comunità. Il problema è che, mancando una struttura adeguata di controllo e di vigilanza da parte dei lavoratori e delle comunità stesse, la burocrazia si è riprodotta in molte di queste nuove istituzioni. Il problema quindi non riguarda soltanto la vecchia burocrazia della IV Repubblica, ma anche questa nuova burocrazia di cui parla Chavez, che si maschera da “bolivariana”, ma che sta giocando in realtà un ruolo controrivoluzionario.
L’ultimo tentativo di affrontare questo problema è la creazione dei Consejos Comunales. Questi organismi sono basati su assemblee di massa di 200 - 400 famiglie nelle aree urbane e hanno il potere di eleggere e revocare i portavoce della comunità. I Consejos Comunales (adesso ce ne sono migliaia in tutto il paese) sono anche tenuti a ricevere finanziamenti direttamente dallo stato per occuparsi dei problemi sui territori in cui sono presenti. Questi, potenzialmente, potrebbero essere le basi per una nuova forma di stato, uno stato fermamente sotto il controllo dei lavoratori. Il problema sorge quando questi Consejos Comunales coesistono con il presente apparato statale, non fanno parte di una estesa struttura nazionale centralizzata (e quindi il loro potere reale è limitato) e con il fatto che il Venezuela ha ancora un’economia capitalista (così i Consejos non possono realmente pianificare o dirigere l’economia nelle loro aree). Finchè l’apparato statale non sarà distrutto e sostituito da una nuova forma statale, basata sui delegati eleggibili e revocabili delle fabbriche, dei posti di lavoro, delle comunità, etc., il problema della burocrazia si ripresenterà sempre.
Riformisti e burocrati
L’altra parte del problema è rappresentata dai settori riformisti e burocratici del movimento bolivariano. Quelli che accettano con riluttanza gli attacchi di Chavez al capitalismo e i suoi appelli al socialismo, ma che in realtà sono fondamentalmente socialdemocratici, che pensano che la rivoluzione è già andata avanti abbastanza, e che soprattutto si debba rispettare la proprietà privata dei mezzi di produzione.
La divisione tra destra e sinistra si sta acuendo a tutti i livelli del movimento bolivariano. Tutta una serie di episodi recenti sono indicativi. Alla fine di Agosto abbiamo visto una polemica tra il sindaco di Caracas Juan Barreto e il vicepresidente Josè Vicente Rangel sull’esproprio di due campi da golf nell’Est di Caracas. Questo è stato significativo perché per la prima volta è avvenuta un’aperta spaccatura su questioni politiche nella leadership bolivariana. E le linee di demarcazione erano chiare: Rangel sosteneva che “in nessun caso possiamo accettare la violazione del diritto di proprietà, così come sancito nella Costituzione”, mentre Barreto replicava che se “restiamo in silenzio” in modo da non “spaventare una parte del ceto medio” questo “demoralizzerà la nostra gente”.
Le masse bolivariane stanno chiaramente cominciando a essere impazienti perché vedono che dopo 7 anni dall’inizio del processo rivoluzionario, la maggioranza della popolazione vive ancora in povertà e il progresso della rivoluzione è costantemente ostacolato dai burocrati, dai riformisti e dalla quinta colonna all’interno della rivoluzione. Uno dei posti dove la rabbia della base della rivoluzione ha assunto un’espressione organizzata è lo stato andino di Merida, con la formazione del Frente de Fuerzas Socialistas. L’8 ottobre, questa coalizione di organizzazioni rivoluzionarie di base, partecipanti alle Misiones educative, organizzazioni di sinistra, sindacati, comitati per la riforma agraria, hanno convocato una manifestazione sotto le parole d’ordine di : “Chavismo con Chavez”, “con Chavez verso il socialismo” e “con Chavez, senza burocrati.” Senza il sostegno di nessuno dei partiti chavisti ufficiali o delle istituzioni statali, il corteo ha chiamato a raccolta una marea rossa di più di 12.000 persone. La burocrazia “bolivariana” ha risposto come al solito con accuse del tipo che gli organizzatori erano sostenitori dell’opposizione, che erano contro Chavez, etc. però i rappresentanti del FFS hanno messo in evidenza come fosse soltanto un mucchio di bugie e che nei fatti Arnaldo Marquez, il rappresentante del Comando Miranda da cui provenivano queste accuse, era stato egli stesso un membro del partito d’opposizione Accion Democratica.
Briceno, portavoce del Frente, ha espresso “il nostro fermo sostegno al nostro presidente Hugo Chavez” ma ha aggiunto che “noi non ne possiamo più di falsi leader che hanno occupato posti di comando e hanno dimenticato le loro responsabilità verso il popolo, mentre hanno incarichi redditizi che permettono loro di comprare automobili costose.”
Merida è uno dei pochi posti dove l’opposizione rivoluzionaria di base alla burocrazia nel movimento Bolivariano ha raggiunto una tale espressione organizzata, ma l’atteggiamento delle masse è simile dovunque.
Il problema della burocrazia e dell’assenza di democrazia non esiste soltanto nell’apparato statale ma anche, e probabilmente in modo più pericoloso, nelle strutture stesse del movimento rivoluzionario. I principali partiti del governo (MVR, PPT, PODEMOS) sono totalmente screditati dalla base come strumenti attraverso cui potersi esprimere. Ciò è peggiorato dalle modalità in cui sono stati selezionati i candidati del movimento bolivariano negli ultimi anni per le varie competizioni elettorali. Fondamentalmente erano nominati dall’alto senza alcuna consultazione con la base e le sue organizzazioni. Le masse bolivariane hanno ancora continuato a votare per loro, ma solo perché erano i “candidati di Chavez.”
Per affrontare questo problema Chavez ha cominciato adesso a parlare della necessità di un partito unico rivoluzionario. Quest’idea ha incontrato ampio appoggio nella base, che la vede come una possibilità di disfarsi delle strutture burocratiche degli attuali partiti. Ma il problema principale che rimane è: quale sarà la futura struttura di questo partito? Se è una ripetizione delle differenti forme organizzative che sono state usate finora (la maggior parte delle quali verticistiche, senza alcun controllo), sarà un nuovo fallimento. Soltanto un’organizzazione basata su principi genuinamente democratici (eleggibilità e revocabilità di tutti i rappresentanti da parte della base) può rispondere alle necessità del movimento rivoluzionario venezuelano.
La lotta per il controllo operaio e l’economia socialista
La burocrazia è si è inoltre impegnata ad annacquare e sabotare le esperienze di controllo operaio che si sono sviluppate in Venezuela dall’espropriazione della Venepal nel Gennaio 2005.
Un vasto assortimento di forze si è riunito per impedire che queste esperienze possano andare più in là. Da un lato c’è chi ha argomentato, in pubblico e in privato, che non debba esserci né controllo né partecipazione dei lavoratori nella gestione delle imprese statali nei settori strategici (particolarmente quelli energetico e petrolifero). I lavoratori di entrambi i settori hanno risposto dicendo che proprio trattandosi di interessi strategici è precisamente una delle ragioni sul perché debbano essere sotto il controllo operaio e delle comunità (cioè sotto il controllo diretto del popolo venezuelano) e che il sabotaggio della PDVSA del dicembre 2002 dimostra che non si può far affidamento su dirigenti e direttori né eletti né controllabili nel difendere gli interessi nazionali, figurarsi poi gli interessi della rivoluzione. Questo ostacolo deliberato al controllo operaio (o come è chiamato in Venezuela, “cogestion”) ha già distrutto l’esperienza di partecipazione operaia alla compagnia elettrica Cadafe, lasciando dietro di sé una scia di demoralizzazione e di cinismo tra i dirigenti sindacali di fabbrica.
C’è chi sostiene, incredibilmente, che i lavoratori venezuelani non hanno il livello politico, di coscienza e culturale per applicare il controllo operaio, e che questa è una discussione destinata ad un futuro molto lontano. Questa idea ad esempio è stata difesa da Jacobo Torres, del Frente de Trabajadores Bolivarianos (una delle tendenze all’interno dell’UNT), durante un’assemblea organizzata dal TUC britannico a Brighton. Ha aggiunto che “indipendentemente da ciò che qualcuno sta dicendo, non c’è controllo operaio in Venezuela”e “meno che mai nelle industrie fondamentali in Guayana”. Questo semplicemente si scontra con la realtà di fatto. Nell’acciaieria statale Alcasa, in Guayana, gli operai hanno eletto diversi dirigenti d’azienda, soggetti al diritto di revoca da parte dei lavoratori e non ricevono un salario superiore a prima. Se questo non è controllo operaio, qualsiasi sia il nome che viene dato ad esso in Venezuela, cos’è? Non soltanto questo, ma sia nel caso di Alcasa che in quello dei lavoratori petroliferi durante la serrata, la classe operaia venezuelana ha dato ampia prova di avere il necessario livello culturale e politico per esercitare il controllo operaio.
La posizione politica portata avanti da Torres e altri nel movimento sindacale e in quello bolivariano è soltanto un rimaneggiamento della vecchia teoria stalinista delle due fasi, che sosteneva come una rivoluzione doveva essere divisa in due fasi: prima la lotta per la liberazione nazionale e la democrazia, e poi, in un futuro lontano, la lotta per il socialismo. Il problema di questa teoria è che Chavez ha chiaramente dichiarato che l’obiettivo a cui tendere è il socialismo e il dibattito si è aperto nel movimento rivoluzionario. La classe capitalista del Venezuela,come abbiamo spiegato all’inizio, quando si è confrontata con le prime misure di una genuina rivoluzione nazionaldemocratica, ha deciso di organizzare una rivolta armata! Ecco un esempio chiarissimo di come non si può separare l’una dall’altro. Tanto prima si comincia a portare avanti, seriamente, i compiti della rivoluzione nazionaldemocratica, tanto prima ci si confronta col semplice fatto che il nemico che stai affrontato non è solo l’imperialismo, ma anche i proprietari locali delle banche, della terra e dell’industria, che sono la classe capitalista.
Lo sviluppo del controllo operaio non è stato bloccato soltanto dal sabotaggio della burocrazia e dei riformisti. Purtroppo, l’elemento principale è stata la inattività dei dirigenti sindacali. In numerose occasioni Chavez ha lanciato un appello pubblico ai lavoratori a prendere in mano le fabbriche dove gli imprenditori avevano sabotato la produzione. Ha stilato anche una lista di 700 aziende che erano state dismesse e altre 500 in via di dismissione, rivolgendo un appello agli operai ad occuparle.
Cosa ha fatto invece la direzione dell’Unt? Invece di mettere in pratica l’appello diChavez e organizzare i lavoratori di diverse regioni per occupare queste fabbriche e rivendicare l’espropriazione statale sotto il controllo operaio, non ha fatto praticamente nulla. Anche l’ex Ministro del Lavoro, Maria Cristina Iglesias, ha criticato pubblicamente i dirigenti dell’Unt per la loro passività su questo fronte! Qualcuno potrebbe argomentare che Chavez aveva soltanto fatto un appello ai lavoratori a occupare fabbriche già abbandonate dai proprietari e che perciò questa non è propriamente una misura socialista. Strettamente parlando, questo è vero. Ma proviamo soltanto ad immaginare cosa succederebbe se 700 o 100 fabbriche occupate dagli operai che ne chiedono l’espropriazione sotto il controllo operaio, venissero in seguito effettivamente espropriate dal governo. Ciò potrebbe aprire seriamente il dibattito sul controllo operaio nell’industria pubblica e privata, e la necessità di una pianificazione democratica dell’economia, ponendo ciò all’ordine del giorno per il movimento operaio. Nei fatti, già ora, molti conflitti per i salari e le condizioni lavorative terminano con discussioni tra i lavoratori sull’occupazione e l’espropriazione (come nel caso della Sanitarios Maracay). In una situazione rivoluzionaria come in Venezuela non c’è alcuna muraglia cinese che possa dividere le aziende in bancarotta da quelle attive che stanno attaccando i diritti e le condizioni dei lavoratori, né alcuna divisione tra aziende pubbliche e private.
Il sindacato
Qualcuno nella direzione dell’Unt (come abbiamo visto nel caso di Jacobo Torres) attualmente si è opposto al controllo operaio. Ma quel che è più preoccupante è l’atteggiamento di alcuni di coloro che sono nella sinistra della leadership dell’Unt, i quali non hanno preso sul serio questa questione. Ad esempio, i dirigenti dell’ala sinistra, la Ccura, dell’Unt, che sono impegnati nella costruzione del nuovo Partido por la Revolución y el Socialismo erano contrari alla partecipazione all’ Encuentro Latinoamericano de Trabajadores de Fabricas Ocupadas y Recuperadas, perché sostengono sia stato un incontro “gobiernero” (filogovernativo). Certamente, è una cosa buona che un Ministero del Lavoro promuova un meeting di questo tipo (ovviamente provando a non interferire con le conclusioni che potrebbero trarne i lavoratori). Ma anche se si è all’opposizione politica rispetto agli organizzatori di quell’incontro, la peggiore cosa che si può fare è…non andarci! Va dato atto a Orlando Chirino di aver partecipato all’incontro, ma molti altri della Ccura hanno seguito il settarismo dei dirigenti del Prs.
I dirigenti del Prs si sono anche astenuti in generale dal partecipare al movimento delle fabbriche occupate, Freteco, che è stato creato nel febbraio di quest’anno, e che ora organizza la stragrande maggioranza delle fattorie sotto “cogestion” in Venezuela. L’unica tendenza nel movimento operaio che ha proposto di costituire questo fronte e ha lavorato continuamente per svilupparlo è stata la Corriente Marxista Revolucionaria (Cmr).
Il recente Incontro nazionale del Freteco è stato da questo punto di vista un indicazione di che cosa sarebbe possibile fare. I militanti operai nel Freteco, partendo da coloro che stanno dirigendo l’esperienza del controllo operaio all’Inveval a Los Teques, hanno dovuto resistere a enormi pressioni da parte della burocrazia statale che voleva annacquare il contenuto della loro lotta, e di recente persino mettere la parola fine al controllo operaio.
Questo è ancora un movimento giovane, che sta imparando dai propri errori. Questo è stato il caso ad esempio dell’Invepal, la cartiera di Moron. Qui i lavoratori decisero di smantellare il sindacato dopo l’esproprio. Credevano che avendo loro adesso il controllo e eleggendo i dirigenti, non avevano bisogno del sindacato. Questo fu un errore grave di cui hanno pagato lo scotto quando i nuovi dirigenti eletti si sono discostati dagli obiettivi originari della lotta. Ma la cosa più importante è che alla fine nell’ottobre 2005, un’assemblea operaia di massa decise di rimuoverli e di eleggere una nuova direzione. Tale esperienza non è stata negativo, ma al contrario, come spiegano i lavoratori, dimostra come la democrazia operaia, il controllo e il diritto di revoca sono le uniche armi genuine contro la burocrazia.
A causa dell’esistenza di organismi come Freteco, i lavoratori in lotta, a parte l’elementare solidarietà ricevuta, hanno potuto discutere le loro esperienze e generalizzare le loro conclusioni. Se un’organizzazione come questa (basata su delegati eletti in ogni fabbrica) esistesse all’interno della totalità del movimento rivoluzionario, sarebbe un grande passo in avanti.
I lavoratori all’Inveval e alla Invepal, e nelle altre fabbriche occupate, a dispetto di tutte le difficoltà, mostrano come gli operai sono capaci di portare avanti l’industria in modo democratico. Ma sono anche coscienti che non possono restare piccole isole di socialismo nel mare del capitalismo, e che la loro lotta è soltanto una parte della lotta generale per l’espropriazione della borghesia intera e della direzione dell’economia venezuelana sotto una pianificazione democratica della produzione.
L’economia venezuelana rimane un’economia capitalista. I settori chiave rimangono in mani private e alcuni di essi nelle mani delle multinazionali. Questo è il caso del settore bancario per esempio (in mano a due multinazionali spagnole), le telecomunicazioni, la distribuzione alimentare, i mass-media, ecc. Questi capitalisti hanno mostrato ancora una volta la loro totale opposizione alla rivoluzione bolivariana, anche se questa non è andata così avanti da minacciare direttamente la proprietà privata dei mezzi di produzione.
La questione di chi controlla l’economia deve essere risolta nella prossima fase della rivoluzione. Le leve del potere economico non possono essere lasciate in mano alla controrivoluzione, che non esiterà nell’usarle per schiacciare la rivoluzione, quando capirà che il momento è adatto.
Un punto di svolta cruciale per la rivoluzione
Riassumendo, possiamo quindi dire che le elezioni del 3 dicembre sono un punto cruciale di svolta per la rivoluzione venezuelana. Le masse si mobiliteranno per ottenere una vittoria trionfale il 3 dicembre ma subito dopo si aspetteranno ed esigeranno delle soluzioni ai loro problemi chiave: lo stato e la burocrazia, l’organizzazione democratica del movimento rivoluzionario e soprattutto la questione dell’economia.
In queste condizioni, le idee del marxismo che già ora sono ampiamente discusse all’interno del movimento, avranno un’eco ancora maggiore.
La rivoluzione venezuelana può risolvere queste contraddizioni soltanto se si muove decisamente nella direzione del socialismo, vale a dire verso un’economia nazionalizzata e democraticamente pianificata e uno stato operaio genuino basato sull’eleggibilità e la revocabilità dei delegati ad ogni livello.
Uno sviluppo del genere potrebbe avere un impatto enorme nel terreno già fertile dell’America Latina rivoluzionaria e aprire le porte a una rivoluzione continentale.
1 novembre 2006