La UKIP-mania ha travolto la Gran Bretagna, o meglio la schiera dei suoi “opinionisti”. Se dovessimo formarci un’opinione basandoci solamente su quello che si sente dai media borghesi (come fanno proprio gli esponenti di questi stessi media), non saremmo in grado di pensare a nient’altro che all’inesorabile scalata dell’UKIP verso il primato elettorale.
Un’analisi sobria e materialista però rivela come l’attuale ascesa di questo partito sia stata facilitata da forze estremamente contraddittorie che però possono spingere, come in questo caso, provvisoriamente nella stessa direzione. Comunque le dimensioni della voragine che questa formazione piccolo-borghese è riuscita ad aprire nel sistema elettorale tradizionale rivelano quanto sia decadente e pericolante la struttura della democrazia borghese oggi in Gran Bretagna. È una voragine che il movimento reale della classe operaia, vale a dire il movimento attorno al Labour, deve superare con coraggio attraverso una politica e un programma socialista.
Decenni di delusione e alienazione
Per decenni il panorama politico britannico è stato tanto piatto quanto lo è la sua economia dal 2008. Continuando a mantenere la propria politica nel recinto di un capitalismo in progressivo decadimento, il Partito Laburista non ha alcun margine di manovra. Anche quando si trova all’opposizione di un governo Conservatore estremamente impopolare che porta avanti durissime politiche di austerità, non è in grado di raccogliere le aspirazioni dei lavoratori alla lotta per un programma differente, dato che i suoi dirigenti e i suoi consiglieri sono immersi nella gestione del capitalismo a tal punto da sapere perfettamente che non è possibile offrire nessuna vera alternativa all’interno di questo sistema.
Non è possibile comprendere il terremoto politico provocato dall’ascesa dell’UKIP se non lo si inquadra nel contesto di decenni di delusione e alienazione provocate dalle politiche poco lungimiranti di Westminster e del ruolo vergognoso che vi ha giocato il Partito Laburista.
Sebbene venga in un qualche modo sottolineato dalla stampa ufficiale, gli esperti non prendono seriamente in considerazione nelle proprie analisi l’alto livello di astensione alle elezioni locali ed Europee del maggio 2014 in Gran Bretagna. Nel voto per il Parlamento Europeo, in cui è stato più clamoroso il successo dell’UKIP, il partito di Farage si è assicurato circa il 27% dei voti arrivando primo. Primo, però, tra chi ha espresso effettivamente il proprio voto, che è un misero 34% dell’elettorato. Vale a dire, il 9% dell’elettorato ha votato per l’UKIP in un’elezione vista non come un’opportunità per determinare la direzione politica che dovrebbe prendere il paese, ma semplicemente come un voto d’opinione. Inoltre bisogna aggiungere che nelle concomitanti elezioni locali il risultato ottenuto, 17%, è significativamente inferiore rispetto a quello dello scorso anno (anche se stavolta c’erano in palio molti più seggi) del 22%.
Segnali contraddittori
Le elezioni possono essere davvero superficiali rispetto a quanto ci possono raccontare sul reale sentimento delle persone. Un partito che arriva primo in realtà potrebbe essere ancora più odiato di tutti gli altri, e sembra essere proprio il caso dell’UKIP. In un sondaggio ICM del marzo 2014, quando agli intervistati è stato chiesto il proprio livello di gradimento per i vari partiti, l’UKIP è arrivato ultimo con 19 punti, dietro ai Liberaldemocratici (20), ai Conservatori (30) e ai Labouristi (36). Quando è stato chiesto loro di esprimere un livello di disapprovazione verso i vari partiti, l’UKIP è stato quello più detestato, il partito Laburista quello meno.
Evidentemente, il fatto che questo partito sia arrivato primo vuol dire qualcosa, ma da queste elezioni non emerge di certo un sostegno forte ed entusiasta per l’UKIP in Gran Bretagna. Dice molto di più riguardo alla crisi dei partiti tradizionali a causa della loro responsabilità condivisa dopo decenni di governi di destra e filo-capitalisti. E la direzione del Partito Laburista può dare la colpa solo a sé stessa per questo.
Gli astenuti sono stati sette volte di più degli elettori dell’UKIP. Allo stato attuale c’è, soprattutto tra i lavoratori, un rifiuto in blocco del sistema della democrazia borghese, in particolare verso la sua espressione di Strasburgo, particolarmente grottesca. I lavoratori giustamente non sentono in alcun modo come proprio il Parlamento Europeo, e nel rifiuto di votare per esso c’è di gran lunga più realismo che nei discorsi di Milliband sul capitalismo responsabile. Il declino della democrazia borghese come specchio della crisi del capitalismo è la lezione principale che possiamo trarre da queste elezioni, non certo quella sulla capacità attrattiva dell’UKIP.
Il significato del “successo” dell’UKIP
È comunque vero che l’UKIP è riuscito a guadagnare l’attenzione di settori della classe operaia, anche se ancora una volta non ci dobbiamo dimenticare che molti, molti più lavoratori di quelli che hanno votato UKIP lo hanno respinto. Ma perché l’UKIP, che tutto sommato è un partito della destra Thatcheriana, ha ottenuto il consenso dei lavoratori?
Sappiamo tutti che oggi in Gran Bretagna la diseguaglianza sociale sta crescendo a livelli senza precedenti. I salari reali sono stagnanti da molto tempo prima dell'inizio della crisi del 2008 e per decenni sono stati distrutti posti di lavoro a tempo indeterminato nell’industria per essere sostituiti da posti di lavoro precari nel settore dei servizi “flessibili”, indebitato e privo di diritti sindacali. Il fatto che questa sia una situazione di cui ci rendiamo ben conto tutti quanti dimostra fino a che punto la polarizzazione in classi della Gran Bretagna capitalista abbia penetrato la coscienza popolare.
C’è molto di cui lamentarsi oggi in Gran Bretagna, e ci sono sempre più motivi per farlo. E c’è ben poco da festeggiare. Lamentele, amarezza, frustrazione e stress non mancano di certo. C’è una rabbia bruciante verso le “elite”, in altre parole, una coscienza di classe in fieri. Molti a sinistra hanno sottolineato come questi sentimenti tendano a sfociare nel razzismo verso gli immigrati, il che è senza dubbio una freccia all’arco dell’UKIP. Tuttavia anche i Conservatori e persino i Laburisti hanno battuto per anni sul tamburo dell’ostilità verso gli immigrati, e ci sono ben poche prove che questo abbia garantito loro un guadagno in termini di voti.
La vera forza dell’UKIP nei confronti della classe operaia è che, a differenza degli altri partiti principali, Nigel Farage protesta e si lamenta a voce alta. La posizione di outsider del partito regala a Farage la possibilità di non essere considerato responsabile di tutti i problemi e le ingiustizie della Gran Bretagna di oggi, e così ha campo libero nello scagliarsi ipocritamente contro le “elite”, in particolare quelle di Bruxelles.
Milliband non può farlo perché appartiene chiaramente al mondo di Blair e Brown, ed è come tale ritenuto responsabile dei problemi della Gran Bretagna. Puntando ad arrivare al governo nel 2015 e gestire così il capitalismo britannico, non può permettersi di incanalare la rabbia bruciante della classe operaia, che ancora vota in gran parte per lui, perché per farlo dovrebbe adottare politiche socialiste. Tutto ciò non significa solo che le sue politiche sono sbagliate, ma anche che come leader è frenato dalla logica di responsabilità verso il sistema capitalistico ed è quindiuna figura patetica. Milliband non ha fiducia né nelle proprie politiche né nel proprio partito e spesso e volentieri si dilegua.
Le politiche contro i lavoratori
È probabile però che il risultato delle europee sia già il massimo dell’influenza che l’UKIP può raggiungere sulla classe operaia. La base sociale del partito di Farage è decisamente piccolo-borghese, la pancia bigotta e nazionalista, che lui (e diversi altri) sono molto bravi a gettare in un’isteria reazionaria, illudendoli con la promessa di liberazione dalla burocrazia e dalle tasse imposte dall’Europa. Avendo ormai conquistato settori della piccola borghesia, l’UKIP ha una base da cui partire per recuperare voti qua e là dalla classe operaia.
Questa strategia traspare ad esempio dal fatto che il suo programma iniziale, marcatamente di destra e thatcheriano - con misure come: l’aliquota fiscale fissa, che farebbe sì che i miliardari paghino le stesse tasse di un lavoratore a basso reddito; l’immediata privatizzazione del Servizio Sanitario Nazionale; il licenziamento di due milioni di dipendenti pubblici; - sia stato abbandonato per politiche più “di sinistra”, come la tassazione progressiva.
Le sue posizioni iniziali ultra-reazionarie sono uno specchio della base rabbiosa del partito, ed è vergognoso che la direzione del Partito laburista e molti a sinistra anziché denunciare sulla TV e sulla stampa queste politiche inaccettabili dell’UKIP, si siano limitati ad accusarlo di razzismo, contribuendo a mantenere l’opinione pubblica all’oscuro del suo vero programma. Certo, bisogna denunciare lo scandaloso razzismo dellUKIP, ma non a scapito di nascondere le loro politiche estremamente anti-operaie.
Fondamenta basate sulla sabbia
Questo apparente spostamento a “sinistra” dopo le elezioni, con Farage che parla dell’esistenza di un sottoproletariato (bianco) in Gran Bretagna e si impegna a proporre un’imposta progressiva sul reddito, rivela come il partito sia costruito su fondamenta molto deboli. La sua base è e resterà esclusivamente la piccola borghesia, che è la più debole e inconsistente delle classi in Gran Bretagna.
Questa base è in estrema contraddizione con il piccolo settore di lavoratori che ha votato per l’UKIP a maggio. Inoltre, in quanto partito fondato sull’ottusità di un settore bigotto e nazionalista della piccola borghesia, è inevitabilmente dilaniato da incongruenze, disaccordi, personalismi e corruzione.
In un’intervista davvero illuminante al Guardian, il fondatore (ed ex membro) dell’UKIP Alan Sked ha dichiarato: “i parlamentari europei dell’UKIP fanno poco o niente a Strasburgo e a Bruxelles, ma arraffano quanto più denaro pubblico possibile sottoforma di stipendio e, soprattutto, di rimborsi spese… non ci vanno quasi mai. Si vedono solo per il rimborso spese. Non si vedono invece per le discussioni importanti…Farage è diventato milionario con i rimborsi spese.” L’articolo sottolinea che “Farage ovviamente non ha detto ai giornalisti stranieri che nel 2009 ha intascato 2 milioni di sterline dalle tasche dei contribuenti tra rimborsi spese e indennità da parlamentare europeo, che sono andate a sommarsi al suo stipendio di 64mila sterline annue”.
Particolarmente interessante è il fatto, sottolineato da Sked, che i parlamentari europei dell’UKIP non abbiano neppure votato tutti allo stesso modo: “L’Istituto di Studi Europei ha trovato che quando c’erano solo tre parlamentari dell’UKIP questi hanno votato in tre modi diversi”.
Questa osservazione mette in luce le contraddizioni interne all’UKIP che, nonostante venga dipinto da Farage come un partito del popolo, non ha un programma chiaro e vedrà l’aprirsi di faide interne al partito non appena sarà costretto a prendere una posizione concreta e a decidere su importanti questioni economiche.
Alla prova del governo
È chiaro che l’UKIP non è un partito che sarà sospinto al potere sull’onda di un movimento popolare nel prossimo futuro. Sono una marmaglia di piccolo-borghesi dilettanti che in qualche modo sono diventati momentaneamente una specie di parafulmine per la rabbia popolare a causa della mancanza di qualsiasi altra valvola di sfogo.
Fino ad ora l’UKIP è sopravvissuto ed è cresciuto sulla base di due politiche chiare e correlate tra loro: il no all’Unione Europea e il freno all’immigrazione nel Regno Unito. Il loro programma per le elezioni politiche del 2010 – che conteneva molte delle loro proposte più di destra e liberaliste – è stato rinnegato da Farage; ma nessun nuovo programma lo ha sostituito. Questa tattica è una mossa ben ponderata da parte del leader dell’UKIP per far sì che il suo partito sia una sorta di tela bianca su cui può essere proiettato qualsiasi malcontento e motivo di rabbia della popolazione.
Ma questa tattica è anche molto poco lungimirante. Per le elezioni politiche del 2015 sarà necessario un programma più completo. Qualcuno nel partito spingerà per la linea dura, per politiche razziste e d’austerità; altri vorranno proporsi come più “moderati”. E in assenza di una democrazia interna, visto che il partito è il one-man show di Farage, l’UKIP con ogni probabilità sarà fatto a pezzi dai litigi interni sulle questioni politiche.
Un gruppo così eterogeneo non se la passerà bene quando sarà effettivamente chiamato ad amministrare i governi locali, com’è stato per il British national party. Dovranno mettere in atto i tagli che sono stati programmati dalle amministrazioni locali in tutto il Paese e verrà così smascherato il fatto che non sono così diversi dai tre partiti principali che adesso il loro leader Farage denuncia a gran voce.
Abbiamo già visto diatribe all'insegna dell'intolleranza tra alcuni dei suoi candidati. Chissà quante figuracce, verbali e finanziare, sono in serbo per questo partito una volta che prenderà in mano le redini delle amministrazioni locali. A quali lotte intestine tra questi personaggi dovremo assistere? Questo partito non è una formazione stabile e probabilmente crollerà con la stessa rapidità con cui è cresciuto.
La crisi del sistema politico
Ma il colpo peggiore per l’UKIP arriverà quando la classe operaia e le sue organizzazioni si mobiliteranno nella lotta di classe, che strapperà all’UKIP quei lavoratori che ora vedono Farage come colui che da voce al loro malcontento. Una volta che la classe operaia avrà creato il proprio vivo movimento di massa in grado di esprimere veramente la propria rabbia e i propri interessi riusciranno a vedere aldilà dell’illusione dell’approccio popolare dell’UKIP, cosa che, come abbiamo dimostrato, la maggio parte dei lavoratori riesce già a fare.
Come ha evidenziato Owen Jones nella propria “lettera aperta agli elettori dell’UKIP” , un sondaggio di YouGov ha dimostrato che la maggior parte degli elettori dell’UKIP è a favore della nazionalizzazione delle risorse energetiche e delle ferrovie, del mantenimento del Servizio Sanitario Nazionale pubblico e di un “aumento sostanziale” del salario minimo, cose che sono completamente in contraddizione con la politica dell’UKIP. Questo più di qualunque altra cosa rivela le contraddizioni di classe che si sono accumulate nelle fondamenta del momentaneo successo dell’UKIP. Una netta maggioranza di quelli che hanno votato per loro è in realtà in forte disaccordo col loro programma e sarebbe molto vicino al partito Laburista, che in molti casi continuano a vedere come il proprio partito, se prendesse coraggiosamente posizione per le nazionalizzazioni e un salario decente di cui si parlava prima.
La crisi del sistema politico provocata dal successo dell’UKIP è solo una pallida ombra della crisi in cui questo verrà gettato dal movimento della classe operaia. Decenni di privatizzazioni, attacchi ai diritti dei lavoratori, diseguaglianza crescente, crisi economica e scandali politici nell’apparato del sistema hanno sconvolto il tradizionale atteggiamento di deferenza per la classe dirigente. Prima o poi i colpi dell’austerità provocheranno una grande sollevazione della classe operaia, in cui si esprimerà tutta la rabbia repressa fino ad ora. Per abbattere veramente il sistema, la classe operaia imparerà che deve alzare la testa e combattere per i propri interessi, cioè per un programma socialista di trasformazione della società.