Il 22 maggio, in una piacevole serata erano in migliaia, principalmente adolescenti, ad un concerto pop nell’Arena di Manchester. Ma ciò che doveva essere un’occasione di divertimento, si è trasformato in un bagno di sangue quando un attentatore suicida solitario ha fatto esplodere un dispositivo esplosivo a frammentazione improvvisato nell’ingresso dell’Arena, affollato di genitori che stavano aspettando i propri figli.
La maggior parte dei morti e dei feriti erano giovani e bambini, uno di loro di otto anni. Molti altri sono ancora ricoverati negli ospedali. Le foto strazianti delle prime giovani vittime e dei dispersi sono state postate online. La bomba a Manchester è stato il peggior attacco terroristico nella storia della città.
Poi il 3 giugno un nuovo attacco terroristico a Londra ha fatto otto morti e 48 feriti. Questo è stato il terzo atto terroristico mortale in meno di tre mesi in Gran Bretagna. Alle 22 circa un furgone ha investito a a grande velocità i passanti sul London Bridge. Quando il furgone si è fermato, ne sono usciti tre uomini che si sono scatenati nei pub e ristoranti affollati, pugnalando indiscriminatamente le persone nella zona attorno a Borough Market, poco oltre il Tamigi. Gli uomini, che gridavano “Questo è per Allah”, sono stati uccisi dalla polizia.
I recenti attentati terroristici di Manchester e Londra hanno creato un’ondata di shock e di rigetto nella società. Ma sembrano avere un carattere diverso. L’evidente grossolanità dell’ultimo assalto contrasta con l’attacco a Manchester, in cui una bomba relativamente sofisticata è stata utilizzata per uccidere il massimo numero di persone.
Chi o cosa sta dietro a questi attacchi terroristici? L’ISIS ne rivendica la responsabilità, anche se non è stata verificata. In una dichiarazione riportata dall’agenzia di stampa dell’organizzazione Amaq pubblicata domenica, veniva affermato che “l’attacco di ieri è stato compiuto da un distaccamento di combattenti dello stato islamico”.
La scelta di un concerto pop come obiettivo dell’attacco somigliava molto al massacro del Bataclan di Parigi del novembre 2015. I terroristi jihadisti ispirati all’ISIS e ad al-Qaeda scelgono deliberatamente grandi locali che ospitano eventi, in parte per il loro valore simbolico come esempi di “decadenza occidentale”, ma principalmente perché sono bersagli “deboli” e vulnerabili che possono essere attaccati con un rischio minimo. Il fatto che molte delle vittime di questo tipo di attacco siano bambini e adolescenti non lo vedono come una cosa negativa, ma si adatta molto bene al loro programma deformato perché aggiunge orrore all’orrore.
Alla maggior parte della gente sembrava che la scelta deliberata come obiettivo di un attentatore suicida di colpire bambini e adolescenti ad un concerto con una bomba piena di chiodi e bulloni, fosse un crimine talmente enorme da poter essere concepito solo da una mente malata e disperata. Tale giudizio è abbastanza logico, ma non fornisce alcuna spiegazione. Possiamo essere d’accordo che questo tipo di terrorismo indiscriminato è una forma di follia. Ma è certamente necessario dire da dove proviene questa follia.
Il killer di Manchester, Salman Abedi, un musulmano britannico di 22 anni, era conosciuto dalle forze anti-terrorismo britanniche. Nato e cresciuto a Manchester, la famiglia di Abedi è di origine libica e ha viaggiato spesso avanti e indietro dalla Libia, dove suo padre è attivo in un’organizzazione terroristica della Jihad. Qualcuno che conosceva Abedi lo ha descritto come una “testa calda” conosciuto per il suo coinvolgimento in piccoli crimini. “Ieri erano commercianti di droga, oggi sono musulmani” ha detto, aggiungendo poi che crede che Abedi sia stato anche amico di Anil Khalil Raoufi, un reclutatore dell’ISIS di Didsbury, ucciso in Siria nel 2014.
Le indagini della polizia non hanno trovato prove definitive per confermare la teoria di una cellula terroristica e hanno concluso che questo atto omicida è stato condotto da un attentatore suicida solitario. Tuttavia, altri fattori suggeriscono almeno che l’autore dell’attentato sia stato addestrato in Libia. Abedi si era recato di recente in Libia. Suo fratello e suo padre sono stati arrestati a Tripoli il 24 maggio. La milizia che li ha fermati ha affermato che il fratello è membro dell’ISIS e stava progettando un attentato a Tripoli.
Theresa May: l’ipocrisia che maschera l’impotenza
Subito dopo l’atrocità di Manchester, Theresa May, con il suo sguardo da uccello fissato saldamente sul fronte elettorale, ha aumentato il livello di minaccia terroristica da “grave” a “critico”. Per la prima volta è stato schierato l’esercito per le strade dell’isola della Gran Bretagna. Un gesto drammatico, per non dire teatrale! Ma quali sono stati gli effetti concreti di ciò? Niente di niente. Per un giorno, o poco più, i soldati sostavano, a disagio, agli angoli delle strade non sapendo cosa dovessero fare. Poi sono stati mandati di nuovo in caserma. I sospettati che erano stati arrestati così rapidamente, sono stati liberati uno a uno senza alcuna accusa.
Dopo pochi giorni avevamo dei terroristi scatenati sul London Bridge. Dopo questo attacco Theresa May ci ha informato che “quando è troppo, è troppo”, che le cose devono cambiare, e così via. Se per sconfiggere il terrorismo, bastassero i discorsi davanti al Numero Dieci di Downing Street, tutte le forze combinate dell’ISIS, al Qaeda e dei talebani avrebbero già deposto le armi e si sarebbero dati al giardinaggio molto tempo fa. Ma purtroppo per quanta retorica usi la May non si produrrà il minimo effetto.
Theresa May è Primo Ministro da pochi mesi e in precedenza è stata ministro degli interni dal 2010. Questo significa che era responsabile della polizia e della sicurezza. Qualcuno potrebbe chiedersi: perché non ha pronunciato la frase “quando è troppo, è troppo ” sette anni fa? La popolazione britannica deve aspettare una campagna elettorale prima che la May concluda che “le cose devono cambiare”? Possiamo essere sicuri di una cosa: a prescindere dalle misure che potranno prendere i Tories, non potranno fermare altri attacchi terroristici, perché sono il risultato diretto della politica britannica di interferenza nel Medio Oriente assieme all’imperialismo americano. L’intervento militare, invece di salvare gli inglesi dal terrorismo, ha avuto esattamente l’effetto opposto.
Come a sottolineare questo fatto ovvio, il 31 maggio un dispositivo esplosivo nascosto in un camion cisterna è esploso durante l’ora di punta in una zona affollata di Kabul. L’esplosione ha distrutto le finestre a chilometri di distanza e ha formato nuvole di fumo nero sopra l’intera città. Almeno 90 persone sono state uccise e più di 460 sono state ferite. Questo è stato uno degli attentati più letali nella capitale in 16 anni di guerra civile. Questa sarebbe dovuta essere una “zona sicura” in prossimità di diverse ambasciate straniere. La bomba che ha devastato Kabul è una chiara prova che la cosiddetta guerra al terrorismo è fallita.
Anche le misure di polizia hanno un effetto limitato. L’MI5 (il servizio segreto britannico, ndt) ha sulle sue liste circa 3.000 persone che cataloga come estremisti religiosi, ma ha le risorse per monitorarne costantemente solo 40. La sorveglianza di 24 ore di un singolo sospetto richiede fino a 18 agenti. Ci sono regole su quanto può durare una sorveglianza così intensiva verso un individuo. In ogni caso i tagli per l’austerità introdotti dalla May hanno portato alla perdita di 20.000 unità di polizia negli ultimi sette anni.
Per sconfiggere il terrorismo è necessario l’appoggio attivo della popolazione e in particolare la popolazione musulmana. Ma la gente non ha più alcuna fiducia nel governo o nelle istituzioni politiche. La maggior parte delle persone sono deluse da Westminster e il grado di alienazione aumenta proporzionalmente alla crescita della disoccupazione, della povertà, del degrado abitativo, del razzismo e della discriminazione. Questo è il terreno su cui il “brodo di cultura” del terrorismo possono prosperare tra uno strato di giovani alienati e disincantati. La guerra contro il terrorismo può essere vinta solo quando queste cose vengono sradicate dalla nostra società.
Rilanciando la campagna elettorale laburista dopo la pausa di tre giorni seguita alle atrocità di Manchester, Jeremy Corbyn ha coraggiosamente richiamato l’attenzione sul legame tra gli attacchi terroristici come quello a Manchester e le guerre che la Gran Bretagna sta portando avanti. Ha stabilito un legame di causa-effetto tra “le guerre che il nostro governo ha sostenuto o combattuto in altri paesi e il terrorismo qui”.
Questa affermazione ha naturalmente attirato una risposta furiosa dei Tories che hanno affermato come Corbyn stesse “incolpando la Gran Bretagna per gli atti terroristici” e che stesse “fornendo una scusa al terrorismo”. Questo nonostante il fatto che avesse sottolineato che la sua valutazione è condivisa dai servizi di intelligence e di sicurezza e “non vuole sottovalutare in alcun modo la colpa di coloro che attaccano i nostri figli”. Ha inoltre detto che “Non smetteremo mai di insultare questi terroristi che dovranno rendere per sempre conto delle loro azioni”.
Giurando di “cambiare quello che facciamo all’estero”, Corbyn ha aggiunto: “Una comprensione consapevole delle cause del terrorismo è una parte essenziale per fornire una risposta efficace che servirà per proteggere la sicurezza della nostra gente, che lotta piuttosto che alimentare il terrorismo. Dobbiamo essere abbastanza coraggiosi da ammettere che la ‘guerra al terrore‘ semplicemente non funziona. Abbiamo bisogno di un modo più intelligente per ridurre la minaccia da parte dei paesi che tirano su i terroristi e generano il terrorismo”.
Nonostante le proteste furiose dei Tories, non si può assolutamente dubitare che esista un nesso causale tra il coinvolgimento inglese nelle avventure militari in Iraq, Afghanistan, Libia e Siria e il terrorismo. È facile constatare come prima dell’invasione dell’Iraq – quell’azione barbara e criminale organizzata da Tony Blair e George Bush – non ci fossero stati atti terroristici in Gran Bretagna – neanche uno. Prima, quando al Qaeda non aveva alcuna base in Iraq o in Siria e l’ISIS non esisteva. Questi sono fatti e i fatti sono concreti.
Il collegamento con i libici
Non è un caso che Salman Abedi, l’attentatore di Manchester, abbia forti legami con dei libici. Suo padre era un fondamentalista islamico in fuga dal regime di Gheddafi e accolto in Gran Bretagna per il ben noto principio che “il nemico del mio nemico è mio amico”. Ma la diplomazia è una palude molto insidiosa dove il nemico di oggi può rapidamente diventare l’amico e l’alleato di domani.
Non sono in molti a sapere che le autorità britanniche hanno attivamente incoraggiato i giovani musulmani a recarsi in Siria per aiutare a rovesciare il governo di Assad. Molti di questi giovani si sono radicalizzati in Siria dove sono stati reclutati come terroristi jihadisti. Molti sono tornati in Gran Bretagna e sono un serio rischio per attentati terroristici come quelli che abbiamo recentemente visto a Manchester e Londra.
Il governo britannico non ha promosso attivamente attività terroristiche solo in Siria. Il caso della Libia è ancora più evidente. In quel caso erano la Gran Bretagna e la Francia che battevano i tamburi di guerra per un intervento volto a rovesciare Gheddafi (gli americani non ne erano affatto entusiasti). Tutti ricordiamo lo show di David Cameron a Bengasi, di fronte a una folla festante dopo la cosiddetta “liberazione” della Libia. Ma cosa è stato ottenuto?
Quel paese “liberato” è ora nel caos più completo. È pieno zeppo di terroristi jihadisti, con varie bande criminali che si battono per prendere il controllo. Abbiamo lo spettacolo dei contrabbandieri che saccheggiano i profughi disperati che vengono quotidianamente mandati a morire in navi fatiscenti e stracolme di gente. Omicidi, stupri, saccheggi, caos, miseria e criminalità hanno preso il posto del regime di Gheddafi. Questo è l’unico risultato dell’interferenza britannica in Libia.
Il Gruppo dei Combattenti Islamici Libici (LIFG) è stato un gruppo terroristico islamico anti-Gheddafi che si è formato nel 1990 da jihadisti libici che lottavano contro l’Unione Sovietica in Afghanistan. Dopo il ravvicinamento tra il governo britannico e quello libico siglati dal cosiddetto “Deal in the Desert” tra il Primo Ministro britannico Tony Blair e Gheddafi nel 2004, in Inghilterra molti esuli libici con collegamenti con il LIFG sono stati sottoposti a ordinanze di controllo restrittivo e sottoposti a sorveglianza e monitoraggio.
Il cinismo delle autorità britanniche è dimostrato da documenti segreti recuperati rovistando negli uffici dei servizi segreti libici dopo la caduta di Gheddafi nel 2011. Questi documenti dimostrano che il governo britannico sotto Tony Blair era entrato in stretta collaborazione con il regime di Gheddafi, compresa la cooperazione tra servizi segreti libici e britannici. Secondo questi documenti, come parte dell’accordo, i servizi di sicurezza britannici hanno perseguitato i dissidenti libici in Gran Bretagna, oltre che aiutare a consegnare due leader di alto livello del LIFG, Abdel Hakim Belhaj e Sami al-Saadi, a Tripoli dove vennero poi torturati.
In uno di questi documenti incriminanti c’è una lettera che Tony Blair ha scritto a Gheddafi nell’aprile 2007, indirizzato al “Caro Mu’amma”, in cui Blair ha espresso il suo rammarico per il fatto che il governo britannico non era riuscito nei suoi tentativi di deportare dal Regno Unito un certo numero di oppositori di Gheddafi e ringraziava il dittatore per la “eccellente collaborazione” tra le sue agenzie di intelligence con gli omologhi britannici. Ma in seguito l’atteggiamento di Londra verso Tripoli ha fatto una svolta di 180 gradi. Gheddafi è diventato nuovamente il nemico. La sua caduta è stata affrettata dagli attacchi aerei della NATO guidati dalla Francia e dalla Gran Bretagna. In quel momento il governo britannico ha portato avanti una politica di “porte aperte”, permettendo agli esiliati libici e ai cittadini anglo-libici di unirsi alla rivolta del 2011 che ha rovesciato Gheddafi, nonostante alcuni di loro fossero stati sottoposti a ordinanze di controllo anti-terrorismo.
Gli ordini di controllo sono stati introdotti come parte della legislazione contro il terrorismo elaborata dopo le bombe a Londra nel 2005. Ziad Hashem, un membro del LIFG cui è stato dato asilo politico nel Regno Unito, ha dichiarato di essere stato imprigionato per 18 mesi senza alcuna imputazione e di avere avuto gli arresti domiciliari per altri tre anni sulla base di informazioni che riteneva fossero state fornito dall’intelligence libica.
Ma ha aggiunto: “Quando la rivoluzione è iniziata, le cose sono cambiate in Gran Bretagna: il loro modo di parlare e di trattarmi è cambiato: mi hanno offerto dei benefit, compreso un permesso di soggiorno illimitato o la cittadinanza”.
“L’addestramento del SAS”
La complicità tra l’intelligence britannica e gli jihadisti non si limitava a chiudere un occhio sui giovani che viaggiavano verso la Libia per andare a combattere contro Gheddafi. Ci sono molte prove che dimostrano come le Forze Speciali Britanniche (SAS) li abbiano effettivamente armati e addestrati. Un cittadino britannico di origini libiche che era sottoposto a un’ordinanza di controllo – di fatto agli arresti domiciliari – perché si temeva potesse unirsi a gruppi militanti in Iraq, si è detto “scioccato” del fatto che potesse viaggiare verso la Libia nel 2011, poco dopo che il divieto era stato tolto: “Mi è stato permesso di andare, nessuna domanda”. Ha conosciuto molti altri libici britannici a Londra a cui è stato tolto il regime di controllo nel 2011, mentre la guerra contro Gheddafi si era intensificata, con Inghilterra, Francia e Stati Uniti che conducevano attacchi aerei e dispiegavano soldati delle Forze Speciali a sostegno dei ribelli”.
“Non avevano passaporti, ne stavano cercando di falsi o un modo per introdursi clandestinamente” ha detto. Ma pochi giorni dopo che gli era stato tolto l’ordinanza di controllo, le autorità britanniche gli hanno restituito i loro passaporti”.
“Questi erano quelli della vecchia scuola del LIFG, [le autorità britanniche] sapevano cosa stavano facendo” ha aggiunto. Il governo britannico aveva segnalato la LIFG come organizzazione terroristica illegale nel 2005, siccome cercava di instaurare una “stato islamico dalla linea dura” che fosse “parte del più ampio movimento estremista islamico ispirato ad Al-Qaeda”.
Balal Younis, un altro cittadino britannico che è stato in Libia, ha descritto come al suo ritorno in Inghilterra dopo un viaggio nel paese all’inizio del 2011, sia stato fermato in base ai poteri dello ‘Schedule 7’ per l’anti-terrorismo. Lo Schedule 7 consente alla polizia e ai funzionari dell’ufficio immigrazione di arrestare e interrogare chiunque attraversi i controlli alle frontiere nei porti e negli aeroporti per determinare se è coinvolto nel terrorismo.
Ha detto che in seguito gli è stato chiesto da un agente dell’intelligence, l’MI5 l’agenzia di sicurezza nazionale: “Sei disposto ad andare in battaglia?”.
“Mentre prendevo tempo per trovare una risposta, si è girato e ha detto che il governo britannico non aveva alcun problema con coloro che combattono contro Gheddafi”.
Mentre tornava in Libia nel maggio 2011, è stato avvicinato all’imbarco da due poliziotti dell’anti-terrorismo che gli hanno detto che se fosse andato a combattere avrebbe commesso un crimine, ma dopo aver fornito loro il nome e il numero di telefono dell’agente dell’MI5 con cui aveva parlato in precedenza e dopo una rapida chiamata con lui, è stato fatto passare. Mentre aspettava di salire sull’aereo, lo stesso ufficiale dell’MI5 lo ha chiamato per dirgli che aveva “risolto la cosa”.
“Il governo non ha messo ostacoli sulla strada di coloro che volevano andare in Libia. La stragrande maggioranza di questi avevano sui 30 anni. Alcuni ne avevano 18 e 19. La maggioranza di quelli partiti da qui, venivano da Manchester”.
Uno degli anglo-libici ha descritto come ha portato avanti un lavoro di “Public Relation” per i ribelli nei mesi prima che Gheddafi venisse rovesciato e infine ucciso nell’ottobre 2011. Ha detto che si occupava di pubblicare video con ribelli libici addestrati da mercenari che avevano fatto parte della SAS e delle Forze Speciali Irlandesi a Bengasi, la città della Libia orientale da cui è cominciata la rivolta contro Gheddafi:
“Non erano video a basso costo con le nasheeds [canzoni] arabe, erano eccellenti, film professionali che mostravamo a qatarioti e ad arabi degli Emirati per sostenere le truppe che si stavano ricevendo un addestramento d’elite dal SAS”. Era anche stato incaricato dai comandanti ribelli di insegnare ai giovani libici ad utilizzare le videocamere così da poter vendere le riprese ai media internazionali.
Durante un incarico nel campo base dei ribelli in una scuola di Misurata, era venuto in contatto con un gruppo di circa otto giovani anglo-libici. Dopo aver scherzato sui loro accenti del nord, ha scoperto che non erano mai stati in Libia in precedenza. “Sembravano avere attorno ai 17 o 18 anni, forse uno ne aveva al massimo 20. Avevano proprio l’accento di Manchester”. “Erano lì a vivere, combattendo e facendo tutto il possibile”.
Dall’ottimismo al caos
Al rovesciamento e all’uccisione di Gheddafi fece seguito un periodo di ottimismo insopportabile. In occasione di una manifestazione a Bengasi, nella parte est del paese, nel settembre 2011, il primo ministro britannico David Cameron e il presidente francese Nicolas Sarkozy tennero un discorso davanti a una grande folla che sventolava la bandiera francese e quella inglese. “È bello essere qui nella Bengasi libera e in una Libia libera” ha detto loro Cameron.
Questa euforia non è durata a lungo e oggi nessuno desidera ricordare il momento di “gloria” di David Cameron. Come in Iraq, alla caduta del vecchio regime è seguita una completa decomposizione, l’anarchia e il caos. Un accordo di pace, sostenuto dalle Nazioni Unite, firmato da alcuni degli oppositori del 2015, non è né riuscito a unire il paese né a creare uno stato efficace sotto il “Governo di accordo nazionale” (GNA). Numerosi gruppi armati, vagamente allineati con i governi rivali dell’est e dell’ovest, si contendono il potere. L’ISIS ha prosperato sul caos e ne ha aggiunto attaccando di recente le condotte idriche e le stazioni di pompaggio.
Nel vuoto, sono entrati i criminali armati jihadisti e le milizie dei signori della guerra con i gangster rivali. I libici indifesi sono caduti dalla padella alla brace mentre i loro “alleati” britannici e francesi li hanno prontamente piantati in asso. La Libia è diventata un paradiso per i terroristi e un magnete per aspiranti jihadisti provenienti dall’Europa, inclusa la Gran Bretagna. I giovani di Manchester e di altre città facevano avanti e indietro senza impedimenti, compresi coloro che erano sotto sorveglianza per sospetti collegamenti con estremisti. Anche Abedi era tra coloro che hanno viaggiato liberamente e hanno combattuto in Libia, avendo legami riconosciuti con organizzazioni terroristiche.
Abedi era uno di quei giovani di Manchester “che facevano tutto il possibile”, uno di quelli formati dal SAS? Probabilmente era troppo giovane, ma non sembra esserci alcun dubbio che sia stato addestrato da persone con notevoli abilità nell’arte mortale di fabbricare bombe e molto probabilmente hanno ricevuto la formazione necessaria da esperti britannici. Ad ogni modo, il coinvolgimento britannico in un’azione militare in Libia, sia segreta che aperta, ora è tornato per perseguitare gli inglesi.
Amber Rudd, il Ministro dell’Interno, ha ammesso che Abedi era conosciuto dai servizi di sicurezza. Un assistente sociale locale ha detto alla BBC che parecchie persone lo avevano segnalato alla polizia come sospetto terrorista. Il fratello minore di Abedi e il padre, che si sono trasferiti in Libia dopo il rovesciamento di Gheddafi, sono stati arrestati per sospetti legami con l’ISIS, che ha rivendicato la responsabilità dell’attacco di Manchester.
Il jihadismo è una forma di fascismo?
Di tutte le classi che ci sono nella società, la piccola borghesia è quella più impotente. Schiacciata tra i grandi monopoli e il proletariato, è storicamente destinata all’estinzione. Eppure si batte disperatamente contro questo destino. Odia le grandi banche e i monopoli che la spingono al fallimento, ma teme e odia quel proletariato dentro cui viene sempre di più spinta.
Negli anni Trenta la piccola borghesia tedesca – i piccoli imprenditori e i commercianti in rovina – furono mobilitati da Hitler sulla base di un programma falso e demagogico che a parole doveva essere diretto contro le banche e il grande capitale (in particolare il capitale finanziario). In realtà, Hitler era solo l’agente dei grandi capitalisti tedeschi. Abilmente Hitler dirottò la furia della piccola borghesia contro un settore del capitale, che identificava con gli ebrei. L’odio del piccolo commerciante in rovina fu così deviato dal capitalismo verso un altro obiettivo.
Singolarmente il piccolo borghese è insignificante. Ma raccolto in un esercito, con un scopo comune mobilitante e dotato di slogan sulla superiorità razziale e nazionale, la piccola borghesia si sente potente. Il pulviscolo umano diventa una forza. Alla rabbia impotente della piccola borghesia era stata messa l’uniforme, alle intense sensazioni di umiliazione venne dato un falso senso di soddisfazione nella forma di sentimento di superiorità nazionale e razziale. Il verme si trasforma (almeno nella sua testa) in un drago. La follia che ne consegue viene chiamata fascismo. Diretto contro la classe operaia, il fascismo è diventato l’agente più forte della reazione: un potente ariete per distruggere il movimento operaio. Un movimento che mentre in teoria era diretto contro le grandi imprese, nei fatti era l’agente più valido per il mantenimento del capitale monopolistico.
La piccola borghesia divenne fanaticamente devota a Hitler perché gli prometteva una via d’uscita dalla crisi del capitalismo tedesco. Da un punto di vista logico, le sue idee erano irrazionali, mistiche, confuse e contraddittorie. Ma la logica non è necessariamente lo strumento più potente per mobilitare le masse. L’emozione gioca un ruolo ancora più grande nei momenti decisivi e Hitler sapeva benissimo come giocare con le emozioni delle masse, specialmente con la piccola borghesia arrabbiata, di cui era parte. Il nazionalsocialismo asserì la superiorità della “razza” su tutto il resto. Il piccolo borghese tedesco, impotente come singola persona, si sentiva parte di un Tutt’uno universale – la Nazione e la Razza – onnipotente. In questo caso, la frode della superiorità razziale serviva come pura copertura agli interessi dell’imperialismo tedesco.
Che relazione c’è tra questo fenomeno e il fanatismo islamista? Alcuni vedono quest’ultimo come islamo-fascismo. Superficialmente questa formula è attraente ma un po’ fuorviante. Il fascismo è un prodotto del capitalismo monopolistico in un periodo di decadenza. È l’espressione estrema del razzismo che è l’essenza distillata dell’imperialismo. L’idea della superiorità razziale sui popoli “inferiori” fornisce una copertura utile all’aggressione imperialista e alla schiavitù di una nazione da parte di un’altra. I movimenti jihadisti, al contrario, non si sono manifestati nelle nazioni imperialiste avanzate, ma in alcuni dei paesi più oppressi dell’Est – ex colonie che hanno ottenuto l’indipendenza formale dal dominio diretto dell’imperialismo, ma che, su basi capitaliste, si trovano in un vicolo cieco.
I jihadisti del giorno d’oggi si differenziano dai nazionalsocialisti in quanto sono espressione delle stridenti contraddizioni sociali che esistono nelle nazioni povere ex-coloniali e non di quelle dei potenti stati imperialisti predatori. Tuttavia, nella loro composizione psicologica e di classe offrono molti punti di contatto. In quanto classe condannata a scomparire, la piccola borghesia è particolarmente soggetta alle illusioni. Questo è molto chiaro nella spazzatura mistica e pseudo-storica in cui Hitler avvolse il suo messaggio reazionario e ne mascherò il reale contenuto. Vediamo un fenomeno simile con l’ideologia confusa e mistica dello jihadismo, anche se il suo reale contenuto non è lo stesso del fascismo e ha radici completamente diverse.
Il contenuto di classe e l’ideologia dello Jihadismo
L’islamismo è a sua volta un’estrema manifestazione di “identità politica”, in quanto offre un senso di identità a un particolare gruppo sociale che indubbiamente soffre a causa dell’oppressione, della marginalizzazione e della alienazione all’interno della società occidentale.
Ma, come tutte le altre manifestazioni di “identità politica” , esso non offre alcuna soluzione alle persone a cui si rivolge. Invece di collegare i problemi dei giovani musulmani disoccupati alla classe operaia nella lotta comune contro il capitalismo, li separa dagli altri strati degli oppressi e degli sfruttati, e anzi li rivolge contro di loro. Seminando divisione e odio, gioca un ruolo completamente reazionario e controrivoluzionario.
L’unica forma di identità politica che può essere veramente utile a un obiettivo progressista e rivoluzionario è la politica del conflitto di classe. Qualsiasi altro tipo di identità è nella migliore delle ipotesi un sostituto illusorio e divisivo di una vera lotta rivoluzionaria e, al peggio, una copertura per gli obiettivi più reazionari.
I jihadisti giocano sui sentimenti di umiliazione e di oppressione che esistono negli strati più ampi della popolazione negli ex Paesi coloniali. Lo studente disoccupato del Cairo, il disperato residente nei quartieri più poveri di Karachi, il negoziante rovinato a Jakarta, offrono un pubblico pronto per dare credito a movimenti reazionari ben finanziati che spiegano che tutti i loro problemi sono dovuti alla cultura occidentale decadente e che l’unica soluzione è quella di ritornare all’Islam “puro”.
Ci occuperemo del reale contenuto di questo islam “puro” più tardi. Per il momento è sufficiente notare che, molto spesso nella storia, un movimento di malcontento di massa presenta la caratteristica di voler tornare ad un passato d’oro mai esistito, ma esprime al contempo un odio ardente per l’ordine esistente e il desiderio di fuggire dalle sue contraddizioni. Il desiderio di un mondo migliore hanno spesso assunto un carattere semimistico e religioso.
L’ideologia del jihadista è semplice e, per questo motivo, attraente: tutti i nostri problemi sono dovuti al dominio dei valori e della cultura occidentale; siamo oppressi e umiliati; la nostra cultura, i nostri valori e la nostra religione sono disprezzati. Dobbiamo riprenderci il nostro Paese, cacciare gli infedeli, cancellare ogni traccia delle idee, della morale e di religioni diverse, tornare al vecchio sistema e stabilire una comunità di veri credenti. Allora tutto andrà bene.
La vaghezza dell’idea costituisce al tempo stesso la sua forza e la sua debolezza. In una società crudelmente divisa tra ricchi e poveri, essa predica una specie di identità che teoricamente va oltre le classi. Si tratta di un messaggio potente. Conferisce alle persone un senso di identità e di comunità, una fratellanza di religione al posto della crudele atomizzazione e dell’alienazione prodotte dal capitalismo. Ma questa “soluzione” è nei fatti illusoria. Come tutte le religioni, risolve il problema non all’interno della realtà ma solo nella mente, non nel qui e ora, ma in una vita nell’aldilà.
“Nella moschea tutti i musulmani sono uguali”. Ciò può essere vero in una certa misura, ma si sottovaluta il fatto che, lasciando la moschea, il ricco musulmano che possiede la terra o una fabbrica sfrutterà, deruberà e ingannerà il povero lavoratore o contadino musulmano. I poveri rimarranno poveri e dovranno aspettare la loro ricompensa in un’altra vita, mentre i ricchi governeranno la società come han fatto fino ad ora e riceveranno la loro ricompensa terrena senza ulteriori ritardi.
È, ovviamente, inutile discutere con la fede religiosa, che per definizione non è tenuta a rispondere alle leggi della logica. Le insostenibili contraddizioni della società capitalista possono indurre le persone a cercare soluzioni disperate. Una persona che sta affogando si si aggrappa ad un filo di paglia e lo stringe forte, anche se la logica dice che rappresenta uno sforzo inutile.
Gli jihadisti e l’imperialismo
L’unica via d’uscita da questa terribile impasse è prendere la strada della rivoluzione socialista. Tutto questo è stato possibile. La classe operaia in Iraq, in Sudan, in Indonesia, in India e in molti altri paesi, ha mostrato un enorme eroismo e ha guardato al comunismo come una via d’uscita. Ma i partiti comunisti di quei paesi, sotto il controllo di Mosca (o di Pechino nel caso dell’Indonesia), seguivano la politica criminale delle “fasi” che affermava che la classe operaia dovesse consegnare il potere alla “borghesia nazionale”. Quella politica ha paralizzato il proletariato, ha isolato l’avanguardia comunista e ha consegnati i militanti comunisti ai carnefici come pecore al macello.
Il tradimento degli stalinisti e la distruzione del movimento operaio in un paese dopo l’altro è ciò che ha condotto questi paesi nell’abisso attuale della miseria in cui si trovano. Il vuoto è stato riempito dalla reazione jihadista. Ma questo processo non è stato compiuto senza l’intervento attivo dell’imperialismo.
Alcuni gruppi di sinistra hanno permesso a sé stessi di essere ingannati dalla retorica “antimperialista” degli jihadisti. Ma bisogna tener presente che è possibile “essere contro l’imperialismo” per molte ragioni diverse, non tutte di natura progressista. Nel redigere le tesi sulla questione nazionale e coloniale al Congresso della II Internazionale Comunista, Lenin ha sottolineato la necessità di mantenere un’opposizione intransigente agli elementi reazionari, feudali e religiosi nei paesi coloniali:
“11) Nei confronti degli Stati e paesi più arretrati, in cui predominano istituzioni feudali o patriarcali-rurali, bisogna tener presente:I) La necessità del concorso di tutti i partiti comunisti ai movimenti rivoluzionari di emancipazione in questi paesi, concorso che deve essere veramente attivo e la cui forma deve essere determinata dal P.C. del paese, se esiste. L’obbligo di sostenere attivamente questo movimento incombe naturalmente in primo luogo ai lavoratori della metropoli o del paese alla dipendenza finanziaria del quale il popolo in questione si trova;II) La necessità di combattere la influenza reazionaria e medioevale del clero, delle missioni cristiane e di altri elementi;III) È anche necessario combattere il panislamismo, il panasiatismo e altri movimenti similari che cercano di utilizzare la lotta emancipatrice contro l’imperialismo europeo ed americano per rendere più forte il potere degli imperialismi turchi e giapponesi, della nobiltà, dei grandi proprietari fondiari, del clero, ecc.” (L’ enfasi è nostra)
Queste parole sono molto chiare e del tutto attuali nel determinare il nostro atteggiamento verso le tendenze reazionarie degli jihadisti che si prefiggono di “combattere l’imperialismo” sotto la bandiera nera della reazione. Nell’ideologia di ISIS e degli altri gruppi jihadisti non esiste un briciolo di contenuto progressista. Essi infatti rappresentano la più fanatica forma di reazione. La loro pretesa di “lottare contro l’imperialismo” è altrettanto falsa, come chiunque conosca minimamente i fatti saprà molto bene.
Il fondamentalismo islamico è stato incoraggiato e finanziato dall’imperialismo – in particolare dall’imperialismo statunitense – come mezzo per combattere il comunismo in Medio Oriente negli anni della guerra fredda. A seguito della rivoluzione afghana del 1979, la CIA ha sostenuto, armato e finanziato le bande jihadiste che più tardi diventarono i talebani. Osama bin Laden, figlio di un miliardario saudita, era allora un agente della CIA. Gli Stati Uniti non avevano alcun problema con Al Qaeda finché questi uccidevano i russi. Ma quando l’esercito sovietico si ritirò dall’Afghanistan e gli jihadisti cominciarono ad attaccare gli americani, cessarono di essere “combattenti di libertà” e diventarono “terroristi”.
Il ruolo dell’Arabia Saudita
L’Islam “puro” di cui parlano gli jihadisti è naturalmente quello importato dall’Arabia Saudita, dove una cricca parassita di principi e sceicchi viziati e degenerati vivono uno stile di vita sfarzoso nella ricchezza più oscena. Questi “difensori dei luoghi santi” abitano vasti palazzi, possiedono limousine costose e godono di tutti i più recenti lussi che l’infido Occidente può offrire. Quando non stanno oziando nei loro palazzi, trascorrono il loro tempo nei bordelli e nei casinò di Londra e Parigi, ubriachi fradici di whisky.
Questi sono gli uomini che gelosamente custodiscono le virtù più sacre dell’Islam “puro” nella sua forma wahabita più intransigente. Chiunque abbia l’intenzione di trasgredire il rigido codice morale che hanno imposto o chiunque abbia voglia mettere in discussione in qualunque modo la loro legge può aspettarsi di essere sottoposto alle punizioni più rigorose . Tra i deliziosi costumi di questo paradiso di wahabita troviamo la fustigazione, il taglio degli arti, la lapidazione a morte, le decapitazioni e la crocifissione.
La banda reazionaria di Riyad, che esporta, oltre al petrolio, il velenoso fanatismo wahabita, ha ottimi rapporti con gli imperialisti occidentali e con Israele (hanno recentemente stabilito un collegamento aereo diretto). Avendo a disposizione una grande quantità di denaro contante, acquistano i servizi di personale che diffonde la loro ideologia attraverso mille organizzazioni collegate: dalle madrase (le scuole coraniche, ndt) in Pakistan e dalle “organizzazioni benefiche” in Nord Africa ai movimenti jihadisti armati in Iraq, Siria e Libia.
Se tracciamo i fili che legano tutte le diverse bande terroristiche della Jihad alla loro fonte ultima, troveremo che la maggior parte, se non tutti, riportano a Riyad. La maggior parte di coloro che hanno eseguito l’attacco terroristico dell’11 settembre alle Torri Gemelle erano sauditi. C’erano anche giordani, ma non un singolo iracheno. Eppure è stato l’Iraq, non l’Arabia Saudita o la Giordania, ad essere invaso. Il giorno dopo l’11 settembre il presidente Bush ordinò che tutti gli aeromobili che volavano sugli Stati Uniti fossero trattenuti a terra, con un’unica eccezione: gli aerei che trasportavano cittadini sauditi fuori dagli USA – compresi i parenti di Osama Bin Laden.
Conviene agli imperialisti chiudere un occhio su queste attività dei loro amici a Riyad, che non solo sono i loro servitori più fedeli ma anche fonte di affari molto importanti per quanto riguarda le armi, come quello recentemente firmato dal presidente Trump per circa un centinaio di miliardi di dollari. Il fatto che queste armi siano usate per macellare il popolo dello Yemen non rappresenta una preoccupazione per loro.
Come i Sauditi hanno ricompensato i nostri “democratici”
Può sembrare sorprendente che il fatto noto che i Sauditi e i loro agenti wahabiti costituiscono la principale forza trainante dietro le bande della Jihad che operano in Siria, Afghanistan, Iraq e Libia e sono dietro gli attacchi terroristici in Gran Bretagna, Francia, Belgio e in Germania, non venga mai menzionato da nessuno. Ma non è affatto sorprendente. Il regime saudita ha un grande esercito di giornalisti e consulenti prezzolati in molti paesi il cui compito è quello di mettere a tacere qualsiasi critica sul loro regime e sulle sue attività.
Nell’ambito della vasta rete di corruzione pagata con i soldi sauditi, i funzionari del governo e dei parlamentari conservatori sono stati venduti con doni e soldi dal governo saudita. I legami finanziari tra il Regno saudita e i parlamentari conservatori sono dettagliatamente illustrati nel registro degli interessi finanziari pubblicato dal Parlamento britannico. Questi mostrano che i parlamentari conservatori hanno intascato 99.396 dollari (128.035 sterline ) in doni, spese di viaggio e “spese di consulenza” dal governo dell’Arabia Saudita a partire dalla guerra dello Yemen.
Quando Philip Hammond, oggi Ministro del Tesoro, era Ministro degli Esteri, era stato criticato per aver difeso un’esecuzione di massa in Arabia Saudita che includeva un contestatore non violento del governo . Lo stesso Philip Hammond ha accettato un orologio da parte dell’ambasciatore saudita del valore di 1.950 sterline ($ 2.514). La parlamentare conservatrice Charlotte Leslie, che aveva presieduto il dibattito parlamentare in materia di politica estera in Medio Oriente, ha ricevuto un cesto di cibo dall’ambasciata saudita con un valore stimato di 500 sterline ($ 644). Forse un regalo minore, ma in ogni caso molto gradito. Il governo arabo ha anche gentilmente coperto il costo per quattro visite fatte dai parlamentari conservatori a quell’affascinante regno sin dall’inizio della guerra in Yemen. I costi per gli alloggi, i viaggi e i pasti dei legislatori variano da un modesto ammontare di £ 2.888 sterline ( 3.724 dollari) ad uno più accettabile di 6.722 dollari ( 8.668 sterline). Secondo il registro degli interessi finanziari, almeno 18 parlamentari conservatori hanno partecipato a tali viaggi. Rehman Chishti, uno dei beneficiari di questa splendida ospitalità saudita lo scorso anno, ha ricevuto mensilmente 2.000 sterline ($ 2.579) come consulente al King Faisal Center for Research and Islamic Studies, un “gruppo di esperti” (think-tank) sostenuto dallo Stato in Arabia Saudita. L’accordo è iniziato nel febbraio 2016. Non è chiaro se stiano ancora “pensando” (gioco di parole con il verbo “think” in inglese) – ma sicuramente stanno guadagnando …
Ora, ci vuole un notevole sforzo di immaginazione per credere che tale regali generosi non facciano parte di un progetto per aumentare l’influenza saudita su entrambi i lati dell’Atlantico. L’Intercept ha riferito che “il governo arabo ha rapidamente ampliato la sua influenza a Washington, D.C., assumendo consulenti ed esperti di pubbliche relazioni con stretti legami con il presidente Donald Trump. Dal 2015, il numero di consulenti registrati che lavorano per il Regno Saudita è cresciuto da 25 a 145 individui.” A giudicare dalla recente visita di Donald Trump, lo sforzo ha dato ottimi frutti.
I legami dei conservatori con l’Arabia Saudita sono stati ulteriormente premiati dalla vendita di armi da record. I governi conservatori hanno autorizzato la vendita di armi ai militari sauditi per un valore di 3,3 miliardi di sterline (4,2 miliardi di dollari) dall’inizio del massacro in Yemen, su cui questi ben noti umanitari /filantropi non hanno nulla da dire – proprio come i “campioni della democrazia” mostrano una straordinaria riluttanza a criticare le violazioni dei diritti umani quando vengono commesse dai loro amici sauditi.
Theresa (“quando è troppo, è troppo”) May ha visitato Riyad prima che lo facesse il suo amico Donald Trump ed è tornata in patria molto soddisfatta di se stessa, dal momento che aveva stretto di nuovo un altro bellissimo contratto di vendita di armi con i Sauditi. Tornato a Londra, ha velocemente negato tutte le accuse sulla brutale aggressione saudita contro lo Yemen, che la Gran Bretagna sta sostenendo attivamente. Dopo tutto, il denaro è denaro, e tutti sappiamo che non puzza, non importa da quale fogna provenga.
Si potrebbe supporre che prima che Santa Theresa di Downing Street si recasse a Riyad, fosse stata informata dall’intelligence britannica. Si potrebbe anche supporre che l’MI6 (servizi segreti, ndt) sia ben consapevole degli stretti legami tra il regime saudita e il terrorismo wahabita. Eppure May, come Donald Trump, ha mostrato il più umiliante servilismo nei confronti di questi mostri che continuano a sostenere, armare e finanziare le bande terroristiche in Siria, in Iraq e in Libia, inclusa la banda legata all’atrocità di Manchester. Ora è stato reso pubblico che il governo conservatore del primo ministro Theresa May sia intenzionato a occultare una relazione sui finanziamenti esteri dei gruppi estremisti, la quale si pensa che dimostri i legami tra i sauditi e i fondamentalisti islamici.
L’Arabia Saudita e il Qatar
L’Arabia Saudita e i suoi satelliti del Golfo (gli Emirati Arabi e il Bahrain) hanno interrotto i rapporti con il Qatar. I sauditi hanno annunciato di aver non solo interrotto le relazioni diplomatiche, ma di aver anche chiuso i loro collegamenti aerei, marittimi e terrestri, il che significa che l’unico confine terrestre di Qatar è chiuso. I qatarioti dovranno lasciare l’Arabia Saudita e di conseguenza sarà negato loro l’ingresso. I sauditi hanno anche espulso la forza militare del Qatar dalla coalizione contro lo Yemen.
I giornali sauditi dicono che le misure sono rappresaglie per il “sostegno al terrorismo” del Qatar, tra cui l’al-Qaeda. È il caso del bue che da del cornuto all’asino. È vero che i qatarioti, che hanno grandi ambizioni, hanno sostenuto gruppi terroristici in Siria e altrove, talvolta gli stessi terroristi e talvolta diversi da quelli sostenuti dall’Arabia Saudita. Il Qatar sponsorizza e offre rifugio alla Fratellanza Musulmana, che gli Emirati definiscono un gruppo terroristico. Inoltre finanzia e ospita l’Al Jazeera, una rete televisiva che offre una piattaforma ai dissidenti arabi – ovunque eccetto che in Qatar.
Il problema principale è che i qatarioti non sono disponibili ad accettare il dominio saudita nella regione e rappresentano un ostacolo. Un punto particolarmente doloroso per Riyad è che il Qatar mantiene ancora relazioni relativamente cordiali con l’Iran (così come fanno Kuwait e Oman). Il suo emiro, Tamim bin Hamad Al Thani, ha espresso riserve circa la posizione sempre più bellicosa dell’Arabia Saudita contro l’Iran.
Negli anni Venti del secolo scorso nell’ambito della strategia del “divide et impera”, gli inglesi difendevano il Qatar dai Sauditi, impedendo a questi ultimi di estendere il dominio sui propri protettorati costieri. Oggigiorno il Qatar ha corteggiato Israele, l’Iran, la Turchia e l’America per ottenere sostegno. Ultimamente, però, le sue alleanze sono sotto minaccia. Il Qatar ospita la più grande base americana in Medio Oriente, al-Udeid, ubicata sulla strada per il confine saudita, che i qatarioti da tempo considerano la loro migliore difesa contro l’invasione via terra. Ma la scelta di Donald Trump di Riyad come prima destinazione straniera della sua presidenza e il benvenuto regale offertogli dai Sauditi, seguito da importanti contratti sugli armamenti, han fatto venire all’emiro qatariota. Questo è un altro fattore che crea instabilità in una parte già instabile del mondo.
Terrorismo – vecchio e nuovo
Il terrorismo è sempre esistito in una forma o nell’altra. È in realtà un sintomo dell’esistenza di contraddizioni insostenibili all’interno della società. Ma il carattere del terrorismo moderno ha subito un cambiamento che riflette la malattia del capitalismo nella sua fase di decadimento senile. La follia del terrorismo è l’immagine speculare di un mondo che è impazzito. Per citare le parole di Hegel: “La ragione diventa non ragione.”
Il marxismo russo, in particolare, è nato da una lotta implacabile contro il terrorismo individuale. Il marchio del terrorismo moderno è molto diverso dal terrorismo vecchio stile dell’organizzazione russa Narodnaya Volya (la volontà del popolo). I terroristi russi erano giovani eroici idealisti, impegnati in un corpo a corpo con il mostruoso regime zarista. A quel tempo la classe operaia russa era ancora in una fase embrionale di sviluppo. Le masse contadine erano in uno stato di torpore. Gli studenti rivoluzionari hanno tentato di risvegliarli attraverso la “propaganda dell’azione”, vale a dire assassinando figure prominenti del regime.Rispetto alla specie moderna di terroristi, i terroristi russi erano come santi, guidati da alti principi e da rigorose norme morali. Non hanno mai piazzato bombe per uccidere la gente comune. I loro obiettivi erano i capi della polizia, i torturatori noti e i ministri reazionari. Spesso e volentieri, dopo aver commesso un assassinio, erano soliti consegnarsi alla polizia per essere rinviati a giudizio e condannati ad un lungo periodo di reclusione o all’esilio nelle lande deserte e ghiacciate della Siberia.
Nonostante l’indubbio eroismo e l’impegno rivoluzionario, i metodi terroristici della Volontà del popolo erano sbagliati e controproducenti. Alla fine riuscirono anche ad uccidere lo zar. Ma lo stesso successo ottenuto dai terroristi dall’eliminare la figura all’apice della odiata autocrazia ha contemporaneamente dato il colpo di grazia al partito che l’aveva organizzato.L’idealismo della Volontà del popolo si pone in netto contrasto con i terroristi moderni che deliberatamente si prefiggono di macellare e mutilare donne e bambini innocenti. Non sono guidati da alti principi, ma dal fanatismo cieco e da un’ideologia reazionaria. La mentalità di queste persone non ha niente in comune con l’ingenuo socialismo utopico della Narodnaya Volya.
Ci sono stati tentativi di paragonare l’ultima atrocità con gli attentati dell’IRA nel 1996. La variante moderna del terrorismo jihadista è di tipo diverso rispetto a quella praticata dall’IRA. I marxisti si oppongono alla cosiddetta lotta armata dell’IRA, responsabile di molte morti inutili e che non ha portato da nessuna parte. Ma almeno l’IRA aveva un programma chiaro che tutti comprendevano: l’unificazione dell’Irlanda. Si poteva essere d’accordo o meno, ma era qualcosa di tangibile. Il tipo di terrorismo praticato dai fanatici jihadisti ha obiettivi di tipo diverso, e di conseguenza metodi diversi.
Questo è ciò che l’Economist – un giornale conservatore – ha da dire su questo argomento:“Molti hanno confrontato questo bombardamento con un altro attacco avvenuto a Manchester, nel 1996, quando l’esercito repubblicano irlandese (IRA) ha fatto esplodere la più grande quantità di esplosivo mai utilizzati in un attacco terroristico in Gran Bretagna su Corporation Street , vicino al centro commerciale di Arndale. Era stato dato in anticipo un avvertimento, e sebbene centinaia siano rimasti feriti, nessuno è rimasto ucciso. In quella occasione la città si riprese rapidamente. Infatti, i soldi statali che erano stati spesi per la ricostruzione del centro contribuirono a favorire la rinascita di tutta la città. Ma l’attacco dell’IRA era un assalto all’economia della città. L’attacco di questa settimana è stato progettato per uccidere e mutilare più persone possibili – la maggior parte delle quali ragazze. Si è trattato di un attacco che ha lasciato tracce emotive profonde, destinato a dividere le comunità, a lacerare il senso di inclusione di Manchester, che è il filo conduttore degli attacchi del cosiddetto Stato islamico che ha rivendicato la responsabilità”. (The Economist, 24 maggio).Il marxismo si è sempre opposto al terrorismo individuale, che è un metodo di lotta tipico della piccola borghesia, dei contadini e del sottoproletariato – dell’intellettuale di ceto medio declassato, degli elementi criminali che sono stati “radicalizzati” in prigione attraverso il contatto con i jihadisti e gli elementi disperati della gioventù.
La società in un impasse
Durante la storia la religione è stata il nemico del progresso e della civiltà. Il fiorire di così tante sette religiose, che germogliano come funghi velenosi dopo una tempesta, è un indicatore chiaro del fatto che, nel capitalismo, il progresso umano ha raggiunto un impasse.
Per un serio studente di storia questo non costituisce un fenomeno nuovo. Al contrario, lo vediamo ripetersi in ogni società in cui una data forma socio-economica abbia superato la sua utilità e sia divenuta un ostacolo allo sviluppo sociale. Durante tali periodi la gente perde la fiducia nell’ordine sociale esistente, nei suoi valori, nella sua morale e nella sua religione. Il declino dell’Impero romano è stato accompagnato da una diffusione di tutti i tipi di idee e di superstizioni mistiche dall’Oriente, mentre i vecchi dèi e i templi rimanevano vuoti perché la gente non credeva più in essi. Abbiamo assistito ad un simile scenario durante l’ultimo periodo del feudalesimo, quando le persone credevano che stesse arrivando la fine del mondo. Infatti, ciò che si stava avvicinando non era la fine del mondo, ma solo la fine di un determinato sistema sociale.
Oggi è comune riferirsi al fondamentalismo come se esso si limiti all’Islam. Ma esiste anche il fondamentalismo cristiano (Donald Trump e la rinata banda repubblicana che lo circonda rappresentano un ottimo esempio di questo fenomeno), il fondamentalismo ebraico, e il fondamentalismo indù. Queste sono tutte espressioni di tendenze irrazionali nella società, che a loro volta riflettono la natura irrazionale della società in cui viviamo.
Il programma jihadista è semplice: la conquista del mondo intero dalla variante più estrema dell’Islam. I mezzi per raggiungere questo obiettivo sono altrettanto semplici: uccidere quanti più kafiri (infedeli) possibili, e nel processo guadagnarsi un passaporto verso il cielo.
Non è del tutto chiaro come questo progetto possa essere soddisfatto. L’esperienza dimostra che non si può trattare con un fanatico religioso. Il fanatismo religioso nega ogni argomentazione logica e la sostituisce con una “fede” cieca che ha la precedenza su tutto il resto. Negli individui si tratta di una forma di follia che può essere catalogata come forma di innocua eccentricità. Ma si tratta di un tipo di follia che in determinate condizioni può esercitare una forte attrattiva su classi e settori sociali definiti. Quando assume la forma di un movimento di massa, è molto lontano dall’essere innocuo.
L’impotenza del terrorismo
Sulla base degli eventi recenti l’opinione pubblica può facilmente giungere alla conclusione che i terroristi siano ovunque, pronti a colpire senza preavviso. Contro questo nemico invisibile e misterioso le forze dello Stato sembrano impotenti. L’impressione così creata è di una forza potente e onnipresente. In realtà, il terrorismo non è un’espressione di forza, ma del contrario. Il terrorismo è sempre un’arma dei deboli contro i forti.
L’ultima ondata di atrocità terroristiche in Europa non è un’espressione della marcia trionfale dell’Islamismo, ma solo gli echi della sua morte in Iraq e Siria. L’intervento russo e quello iraniano in Siria hanno trasformato rapidamente la situazione militare. Fino a quel momento l’Occidente non aveva fatto praticamente nulla per combattere la minaccia della Jihad. Concentrando tutti i loro sforzi per rovesciare Assad, infatti, stavano di fatto incoraggiando i terroristi che sono stati armati e finanziati dall’Arabia Saudita, dal Qatar e dalla Turchia.
La caduta di Aleppo è stata la svolta decisiva. Non si pensava più a rimuovere Assad, almeno per il prossimo futuro. Gli jihadisti dovettero abbandonare Aleppo e continuare la guerra altrove. Gli americani e i loro alleati sono stati costretti a partecipare all’assalto di Mosul, che è ora sul punto di crollare. La fine è in vista per l’autoproclamato “califfato” di ISIS.
Tuttavia, questo non significa la fine del terrorismo islamista, che si è diffuso in altre nazioni: in Libia, in Somalia, in Nigeria, in Indonesia, persino nelle Filippine. E l’ISIS sta ottenendo la sua vendetta per le sconfitte che ha sofferto in Siria e in Iraq, incoraggiando i suoi simpatizzanti in Europa a proseguire l’offensiva e a vendicarsi sui “crociati”, intendendo con questa parola i popoli europei: uomini, donne e bambini senza distinzione.
Impossibilitati a sconfiggere le forze armate dello Stato, i terroristi ricorrono a attacchi isolati, di solito su bersagli “facili” che non richiedono grande spiegamento di forze, ma che causano un notevole impatto sull’opinione pubblica. Ma a parte creare un’atmosfera di paura, i reali effetti sullo Stato sono minimi. L’effetto principale è, infatti, l’opposto di quello previsto. Il terrorismo è sempre servito a rafforzare lo Stato e i suoi organi di repressione. Dopo ogni attacco si assiste ad appelli assordanti per aumentare i poteri dello Stato e per limitare i diritti democratici. Il più famoso atto terroristico – il bombardamento delle Torri Gemelle – ha portato all’approvazione dell’Homeland Act e di altre leggi reazionarie e repressive.
Lungi dal combattere l’imperialismo e lo Stato, il terrorismo serve a rafforzare le forze delle reazione, che alimentano avidamente il terrorismo, proprio come il terrorismo riceve un’inestimabile aiuto dalle misure repressive dello Stato che spingono nuovi settori di giovani musulmani frustrati nella direzione dell’estremismo. I due mostri, apparentemente legati in una lotta mortale, in realtà dipendono l’uno dall’altro per la loro stessa esistenza.
Dopo l’atrocità di Manchester ci sono stati comprensibili timori di ripercussioni. Molti musulmani vivono nel timore di rappresaglie, e che la loro comunità divenga un capro espiatorio per il crimine sanguinario di Abedi. Finora ci sono stati pochi segnali di ciò. La English defence league (Lega di difesa dell’Inghilterra), un organizzazione di estrema destra, ha cercato di mettere in scena una piccola manifestazione nel centro commerciale Arndale, vicino all’arena di Manchester dove si erano verificati gli attentati. Ma sono stati zittiti dagli clienti arrabbiati e dispersi dalla polizia. Alla vigilia (della manifestazione), le persone brandivano cartelli fatti a mano. Si leggeva: “L’odio non è una soluzione per l’odio”. Questa è la posizione della stragrande maggioranza della gente.
Le persone comuni della classe operaia di Manchester e di Londra hanno risposto magnificamente a questa brutale provocazione. Tante persone si sono offerte volontarie per donare il sangue alle vittime, per venire respinte solo poche ore dopo perchè le scorte erano piene. A Manchester molti erano accorsi sui social media per offrire un letto a coloro che erano fuggiti dalla sala del concerto dopo i bombardamenti, poichè si era fatto troppo tardi per tornare a casa propria a Liverpool, Stockport e altrove.
Infermieri, medici e paramedici sono spontaneamente rientrati al lavoro dopo la fine del turno. I Sikh si sono messi a distribuire bevande gratuite e acqua. I tassisti Sikh si sono distinti per aver spento i tassametri e per aver trasportato per tutta la notte le persone in difficoltà in luoghi sicuri. I Rappresentanti della Muslims Aid, come la comunità Ahmadiyya, erano pronti a fornire il proprio aiuto. C’era inoltre un gruppo di donne provenienti da una moschea locale.
L’unica forza che può sconfiggere il terrorismo e condurre una lotta seria contro l’imperialismo e il capitalismo è la classe operaia. Sia la classe dirigente che i terroristi cercano di dividere la classe operaia, ma la maggioranza dei lavoratori capisce che la loro sola forza consiste nella loro unità.
Socialismo o barbarie
Se si osserva la condizione del mondo in cui viviamo in molte persone sono portate a trarre conclusioni pessimistiche. Tutto ciò non sorprende. Il mondo del XXI secolo porta con sè un’immagine di oscurità che è difficile alleviare: ovunque c’è dolore, morte, distruzione, guerre infinite e terrorismo che hanno l’aspetto di un’epidemia incontrollabile.
Le forze produttive ristagnano o sono in declino. Il tenore di vita precipita costantemente per la maggioranza della popolazione, mentre una piccola manciata di persone ha a disposizione una ricchezza oscena. L’egoismo, l’avidità e l’estremo disprezzo per la sofferenza umana vengono elevati tra i più alti principi morali. La società è malata e nessuno sembra offrire rimedi per la malattia. Questa valutazione è accurata ma unilaterale. I dolori che vediamo sono i dolori di un sistema socioeconomico che da tempo ha superato il suo ruolo storico, ma si rifiuta di abbandonare la scena. Il capitalismo è in fin di vita, ma si rifiuta di morire. Nella sua agonia mortale, minaccia di trascinare tutta la società con sè. Secoli di progresso umano, arte, scienza, cultura e civiltà vengono minacciati da un sistema socioeconomico decadente e condannato. Tuttavia, questo è solo un lato della medaglia. All’interno del grembo della vecchia società, un nuovo mondo sta lottando per venire alla luce. Oggettivamente parlando, esistono tutte le condizioni per risolvere tutti i problemi che abbiamo di fronte. La razza umana detiene tutti i mezzi tecnologici e scientifici necessari per eliminare la povertà, le malattie, la disoccupazione, la fame, il problema dei senzatetto e tutti gli altri mali che causano infinite miserie, guerre e conflitti.
Se questo non viene fatto, non è perché non si può fare, ma perché ci scontriamo con i limiti di un sistema economico basato esclusivamente sul profitto. I bisogni dell’umanità non rientrano nei calcoli importanti dei banchieri e dei capitalisti che governano il pianeta. Questa è la questione centrale, la cui risposta determinerà il futuro della razza umana.
Se prendiamo il Medio Oriente e il Nord Africa, che costituiscono una gran parte di ciò che è conosciuto come il mondo islamico, possiamo affermare con certezza che nella vasta distesa che si estende dall’Eufrate alle rive dell’Oceano Atlantico, esistono tutte le condizioni per creare un bellissimo giardino, molto più radioso dei giardini pensili di Babilonia nel mondo antico. Ma decenni di dominio capitalista e di sfruttamento imperialista hanno trasformato quello che avrebbe dovuto essere un bellissimo giardino in un inferno a cielo aperto per milioni di persone.
Oggettivamente, le enormi quantità di ricchezza minerale sotto il suolo, le vaste aree di terra agricola potenzialmente ricca, i fiumi, il clima e i milioni di uomini e donne in grado di lavorare che abitano in quei luoghi sono un potenziale produttivo colossale che potrebbe trasformare le vite della gente. Ma questo potenziale colossale è sprecato.
Milioni di giovani, molti dei quali studenti con la qualifica di medici, insegnanti, ingegneri e agronomi, sono costretti a esercitare un’esistenza miserabile, privati del lavoro, del futuro e di ogni speranza di miglioramento. Per peggiorare ulteriormente le cose, la continua interferenza e gli interventi militari da parte delle forze imperialiste hanno devastato l’Iraq, la Siria e la Libia e hanno ridotto le loro popolazioni in una condizione che rasenta la barbarie. Chiunque sia alla ricerca delle cause oggettive del terrorismo non ha bisogno di guardare oltre.
La barbarie terroristica è solo un riflesso delle condizioni estreme in cui sono state ridotte milioni di persone. E questa barbarie ora bussa alle porte dell’Europa, minacciando la vita e la sicurezza della popolazione. Rappresenta un problema serio e richiede una soluzione seria. L’idea che si possa “combattere il terrore” con le armi del terrore stesso è un’illusione. È come un medico che cerca di curare una malattia tagliando i sintomi superficiali con un coltello. Questo metodo non è solo doloroso ma inutile. Non curerà mai la malattia ma provoca una deformità permanente al paziente.
Il socialista spagnolo Largo Caballero disse molto tempo fa: “non è possibile curare il cancro con un aspirina”. I problemi drastici richiedono soluzioni drastiche. Ciò che si richiede è una soluzione radicale. Il problema è il capitalismo stesso. si deve porre fine al dominio delle banche e dei grandi monopoli. Il controllo della società deve essere posto fermamente nelle mani dell’unica classe che crea tutta la sua ricchezza e dell’unica classe a cui interessa veramente il futuro dell’umanità: la classe operaia.
Un’economia pianificata socialista, finalizzata alla soddisfazione dei bisogni del genere umano, non ai profitti di pochi, mobiliterà le vaste risorse del nostro pianeta a beneficio dell’umanità. Possiamo creare un paradiso in questo mondo che renderà inutili tutti i sogni di un paradiso oltre la tomba. Questa è l’unica speranza per l’umanità e l’unica causa per la quale valga la pena combattere.
8 giugno 2017