Diciotto anni dopo la fine dell’Apartheid e la nascita della “libertà e della democrazia”, l’omicidio brutale da parte della polizia di 34 minatori nelle miniere di platino di Marikana, di proprietà della Lonmin, ha svelato la cruda realtà fatta di sofferenza e tormento del proletariato sudafricano. Questo massacro ricorda quello di Sharpeville, dove nel 1960 sessanta manifestanti di colore vennero uccisi dal regime razzista dell’apartheid.
Lo scontro è stato scatenato dal rifiuto dei dirigenti della Lonmin di concedere un aumento salariale che avrebbe portato il salario mensile dai 4000 rand attuali (400 euro circa) a 12500 rand. Al contrario, ai lavoratori è stato posto un ultimatum e sono stati minacciati di licenziamento. Tremila addetti al trivellamento sono allora scesi in sciopero. Il 10 agosto c’è stato uno scontro in cui otto lavoratori sono stati uccisi dalla polizia, come ritorsione due poliziotti sono stati uccisi dai lavoratori a colpi di mazza e machete, nell’atto di difendersi. Ne avevano abbastanza, la pazienza era finita e la combattività cresceva. Lo stile di vita lussuoso e le retribuzioni oscene dei dirigenti d’azienda, sia bianchi che neri, da una parte, e i miseri salari con i prezzi alle stelle dall’altra, avevano fatto esplodere la rivolta contro il sistema che ribolliva sottotraccia.
Lonmin è una multinazionale con sede a Londra ed è il terzo estrattore di platino al mondo. È stata fondata nel 1909 e sfrutta le risorse minerarie sudafricane da più di un secolo. Nel 2011 ha prodotto un fatturato di 1992 milioni di dollari, eppure questi capitalisti, veri e propri avvoltoi, non hanno intenzione di concedere un aumento salariale irrisorio a lavoratori che per generazioni, alienati, hanno contribuito all’accumulazione delle ricchezze di questi parassiti.
Il regime sudafricano, mostrando una totale insensibilità, ha deciso di dare una lezione a questi lavoratori per compiacere i propri “investitori”. La mattina di martedì 16 agosto numerosi reparti di polizia su veicoli blindati e a cavallo sono stati mandati a Marikana per schiacciare lo sciopero. Il fuoco indiscriminato ha ucciso 34 lavoratori e molti altri sono stati feriti. Il capo della polizia ha descritto senza alcuna vergogna questo atroce massacro come un atto di “autodifesa”. Ma queste uccisioni hanno suscitato l’indignazione non solo del Sudafrica ma di tutto il mondo.
La situazione attuale è il prodotto di una lotta coraggiosa delle masse sudafricane contro un terribile regime, sostenitore della supremazia razziale, imposto dall’imperialismo e che trattava i nativi peggio delle bestie da soma. Questa lotta è stata guidata dall’African National Congress (Anc), poi coadiuvato dal Partito comunista sudafricano (Sacp). Tuttavia, gli obiettivi di quella lotta andarono molto più in là dell’eliminazione dell’apartheid e la lotta di classe socialista fu posta all’ordine del giorno, almeno fino alla fine degli anni ottanta. Ma dopo il crollo dell’Urss, e in opposizione alla volontà delle masse, l’Anc e il Sacp arretrarono su posizioni nazionaliste e democratico borghesi. Dopo la capitolazione dei leader dell’Anc alla dittatura del capitale si raggiunse un accordo con il regime di Botha, su dettatura dell’imperialismo, per il quale l’apartheid veniva abolito formalmente e veniva eletto un governo dell’Anc con Mandela come nuovo presidente. Il tutto all’insegna del presunto trionfo della democrazia e della libertà. Bill Clinton, allora presidente Usa, visitò perfino la prigione di Robben Island dove fu incarcerato Mandela.
La direzione dell’Anc ha tratto da questo cambiamento di regime enormi benefici e privilegi, adottando uno stile di vita sfarzoso e accumulando enormi ricchezze, mentre le difficoltà delle masse aumentavano rapidamente. Tale è la profondità della crisi che l’attuale leader dell’Anc, Jacob Zuma, ha dovuto ammettere pubblicamente lo scorso giugno che “la struttura economica dell’epoca dell’apartheid è rimasta largamente intatta”. La Banca mondiale descrive il Sudafrica come una delle società più diseguali al mondo. La disuguaglianza è addirittura cresciuta dalla fine del regime di segregazione avvenuta nel 1994.
Più di dodici milioni di sudafricani vivono in baracche senza acqua potabile e servizi igienici. La rete di distribuzione dell’energia elettrica largamente insufficiente, la raccolta dei rifiuti inesistente, il crimine e la violenza xenofoba aggravano la situazione di miseria. Il tasso di disoccupazione ufficiale è del 36% e il 50% della popolazione vive sotto il livello di povertà. Secondo l’Unicef sette bambini su dieci vivono in famiglie in condizioni di estrema povertà. La violenza dello Stato contro chi protesta contro questo sistema di cose è normale routine. Così, quando l’ex leader della Lega giovanile dell’Anc, Julius Malema, ora espulso, ha descritto la situazione alla miniera di Marikana come una lotta tra i capitalisti e i lavoratori ha raccolto applausi entusiasti fra i minatori. Nonostante la Lonmin sia stata costretta a sospendere per ora i licenziamenti di migliaia di lavoratori, la tragedia di Marikana rimarrà a lungo impressa nella coscienza delle masse.
Sebbene l’Anc sia screditato dopo 18 anni di malgoverno, non si vede alcuna alternativa all’orizzonte politico. Allo stesso tempo sta montando un’enorme pressione dal basso che sta mettendo in un angolo la direzione dell’Anc. L’espulsione di Malema è l’espressione di questo fermento, anche se il suo populismo radicaleggiante non è sufficiente. Un programma scientifico di trasformazione sociale ed economica è una impellente necessità per il movimento nella sua ricerca di una via d’uscita. La crisi nell’Anc riflette anche il grande subbuglio nella società, dove le correnti di sinistra, comprese quelle marxiste, sono in crescita. È molto probabile che il prossimo congresso dell’Anc a dicembre sia testimone di una opposizione crescente che sfiderà apertamente i vertici.
Il gruppo dirigente del Cosatu, la Confederazione sindacale sudafricana, ha giocato un ruolo non meno pernicioso di quello dell’Anc. Gli avvenimenti di Marikana potrebbero diventare la scintilla che può far partire un movimento di massa dei lavoratori e della gioventù, settori in cui cova la rivolta. Dopo la fine formale dell’apartheid la vecchia élite bianca in collaborazione con la nuova cricca dominante nera ha intensificato lo sfruttamento e la richiesta di sacrifici. Il cambiamento di colore della pelle della classe dominante non cambia infatti il suo carattere parassitario.
Ci attendono avvenimenti tempestosi, e già c’è chi sta facendo paragoni tra il massacro di Marikana e gli avvenimenti che fecero da detonatore alla rivoluzione araba. Il Sudafrica è un paese chiave in Africa. Il suo proletariato e la sua gioventù hanno meravigliose tradizioni rivoluzionarie e le fiamme di questa torcia rivoluzionaria illumineranno inevitabilmente il continente nero.