Il 26 novembre l'ILVA ha annunciato la chiusura immediata del siderurgico di Taranto e quindi, a breve, anche quella degli stabilimenti che ne dipendono: Novi Ligure, Racconigi, Marghera e Patrica. Stiamo parlando di 12mila posti di lavoro a rischio, che salgono a 20mila considerando anche l'indotto.
La situazione precipita
La decisione della chiusura, che non è certo inaspettata e che fin dall'inizio di questa vicenda avevamo segnalato come esito più probabile del conflitto in corso a Taranto, è venuta dopo il sequestro del materiale illegalmente prodotto all'ILVA in questi mesi nonostante il sequestro dell'area a caldo. In questi mesi infatti, sotto lo sguardo compiacente del governo Monti, i Riva padroni dell'ILVA hanno sfacciatamente eluso le prescrizioni della magistratura, continuando a utilizzare a scopo di lucro gli impianti inquinanti invece di intraprendere le misure necessarie ad “ambientalizzare” l'area a caldo che da decenni avvelena Taranto.
Nel frattempo, il governo aveva cercato di neutralizzare l'ordinanza del GIP Todisco producendo in fretta e furia una Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA) che in qualche modo mettesse a norma l'ILVA a fronte di qualche intervento cosmetico. Il presidente dell'ILVA Bruno Ferrante aveva dichiarato che l'AIA sarebbe stata rispettata purché si procedesse al dissequestro dell'area a caldo: insomma, era già pronta la tipica soluzione “gattopardesca” all'italiana. La stizza del ministro Clini di fronte al sequestro del 26 novembre, con l'accusa alla magistratura di voler bloccare l'AIA, rivela, come ribaltato in uno specchio, il vero obiettivo dell'AIA: bloccare la magistratura e ridare semaforo verde agli inquinatori.
Insieme al nuovo sequestro, il 26 novembre è arrivata anche una nuova infornata di 7 arresti. Emilio Riva, già ai domiciliari, è stato raggiunto da un nuovo provvedimento così come suo figlio Fabio, che però è scomparso non si sa dove. Ferrante e un altro manager sono stati raggiunti da avvisi di garanzia. Tra gli arrestati anche Michele Conserva, assessore provinciale PD all'Ambiente, accusato di essersi accordato per anni con la proprietà dell'ILVA per coprirne le malefatte; un'accusa simile a quella che emerge dalle carte (anche se non ha ancora portato a un'incriminazione specifica) nei confronti di Nichi Vendola, che in alcune occasioni avrebbe apertamente rassicurato i padroni del suo “interessamento” per difenderne gli interessi. In questa faccenda il centrosinistra è stato il principale complice politico del disastro ambientale, si parla anche di uno scambio epistolare inequivoco tra i Riva e Pierluigi Bersani. A quanto pare almeno due dei “Fantastici 5” non sono proprio dei supereroi.
Ciò detto, l’intervento della magistratura (dopo anni di silenzio) ha avuto il merito di scoperchiare il vaso di Pandora, ma non poteva e non può indicare una soluzione. Questa può arrivare solo dall’intervento diretto della classe, ed è quello che sta avvenendo.
Gli operai rispondono
5mila badge aziendali sono stati disattivati immediatamente, impedendo il normale accesso al lavoro degli operai e mettendoli dunque in ferie forzate. La FIOM ha immediatamente lanciato un appello a chi era di turno a non abbandonare il posto di lavoro, e agli altri a recarsi normalmente ai cancelli nonostante il blocco dei badge. Gli operai hanno raccolto l'invito, formando dei presidi esterni e interni e determinando di fatto l'occupazione della fabbrica.
Il segretario provinciale della FIOM di Taranto, incalzato telefonicamente da Gad Lerner in televisione, ha voluto specificare che non si tratta di un'occupazione ma di una assemblea permanente “perché noi rispettiamo la proprietà privata”. Questo fa capire come ancora una volta la dirigenza della FIOM di Taranto non sia all'altezza della situazione: mentre Fabio Riva si rende irreperibile e gli stessi iscritti FIOM occupano lo stabilimento, ancora ci si preoccupa della sacralità della proprietà privata? Ma i fatti hanno la testa più dura delle parole e piaccia o meno questa è proprio un'occupazione.
Il Comitato Cittadini e Lavoratori Liberi e Pensanti ha appoggiato la mobilitazione degli operai, convocando un presidio permanente alla portineria D e insistendo come sempre sulla necessità di ritirare le deleghe ai sindacati. Come abbiamo già osservato, la rabbia verso le complicità sindacali con i padroni è ben fondata, ma, se assolutizzata, rischia di creare divisioni controproducenti ostacolando la necessaria riconquista della FIOM da parte dei lavoratori. Ogni separatezza tra i lavoratori iscritti al sindacato e quelli vicini al Comitato in questo momento convulso diventa estremamente pericolosa e può essere strumentalizzata proprio dalle forze più moderate e titubanti che nonostante tutto hanno ancora una certa presa tra gli operai.
Anche il MOF, il reparto Movimentazione Ferroviaria (dove è radicato il sindacato di base USB), che in seguito a un incidente mortale sul lavoro ha sviluppato una lotta magnifica con uno sciopero di due settimane, si è unito ai colleghi del resto dello stabilimento e con la sua esperienza di lotta può rappresentare un esempio capace di contagiare positivamente il clima nella fabbrica. Avevamo definito la lotta del MOF “un focolaio da estendere” e, nonostante il parziale isolamento che questi eroici lavoratori avevano subito durante la loro mobilitazione, questo è esattamente quello che potrebbe succedere nelle prossime ore.
La mattina del 27 novembre, lo sciopero convocato da FIM, FIOM e UILM ha immediatamente assunto caratteristiche molto radicali. I tornelli sono stati forzati, costringendo l'azienda a spalancare i cancelli. Certo, non è da escludersi che ancora una volta i padroni vogliano strumentalizzare in qualche modo la mobilitazione operaia, come già hanno fatto per tutta l'estate, arrivando a convocare “scioperi crumiri” con Fim e Uilm sostanzialmente organizzati e sovvenzionati dall'azienda.
Ma oggi questo non ci pare l’ambiente prevalente. Questa volta però la proprietà ha perso qualsiasi credibilità, anche gli operai più timorosi si rendono conto che i Riva sono pronti a battersela a gambe levate lasciando i loro dipendenti col cerino in mano. Infatti i 3mila lavoratori che hanno forzato l'ingresso si sono subito recati presso la sede della direzione aziendale, esigendo spiegazioni con toni piuttosto accesi. Il direttore non ha saputo dire molto sul futuro della fabbrica, ha negato che l'intenzione sia una chiusura definitiva, limitandosi però a garantire il pagamento dello stipendio alla fine di questo mese.
Occupare, espropriare, riconvertire
La nostra posizione sull'ILVA e sull'intero gruppo Riva è netta: questo gruppo industriale va espropriato senza indennizzo e posto sotto il controllo di comitati democraticamente eletti di lavoratori e cittadini, per guidarne la trasformazione in senso ecologico, garantendo occupazione, reddito e salute. Per questo abbiamo anche noi appoggiato l'appello #OccupyILVA che ha raccolto centinaia di firme a Taranto e fuori. Ora quello che era solo uno slogan comincia a diventare possibile.
Proprio per questo la proposta del segretario della Fiom Landini non è affatto all’altezza della situazione. In un intervista a Pubblico di oggi spiega come “per un periodo bisognerebbe valutare la possibilità di trovare una forma di partecipazione dello Stato nell’Ilva, temporanea, intesa come soluzione di passaggio che ci porti fuori dall’emergenza.” I lavoratori e i cittadini di Taranto non hanno bisogno di una soluzione “temporanea” e nemmeno che lo stato per l’ennesima volta ci metta i soldi “nell’emergenza” e poi ritornino i privati a realizzare profitti.
Serve una proposta che risponda al protagonismo operaio che si sta sviluppando in queste ore!
Il ciclo dell'acciaio può essere reso compatibile con la vita umana e con la protezione dell'ambiente solo con una trasformazione profonda dei meccanismi industriali non solo siderurgici ma anche dei settori che utilizzano l'acciaio, in primis quello automobilistico. Abbiamo avanzato una proposta tecnicamente realizzabile per una crescita ecoefficace nel ciclo acciaio-rottame-acciaio collegandolo alla possibilità di una sinergia ILVA-FIAT-ILVA: Il caso ILVA e le scelte che il capitalismo non vuole fare
Perciò colleghiamo l'idea della nazionalizzazione dell'ILVA alla nazionalizzazione della FIAT e degli altri grandi gruppi industriali e siderurgici in crisi. Questo ci permette anche di pensare a come creare le condizioni politiche perché si arrivi a questa soluzione. Evidentemente il compito di riprendersi le fabbriche non può che essere dei lavoratori stessi, gli unici che hanno le competenze tecniche, la forza organizzata e l'interesse diretto a farlo. La sinistra e i comunisti dovrebbero impegnarsi a estendere e generalizzare rivendicazioni di questo tipo in un programma generale di trasformazione della società verso il socialismo.
Nel caso dell'ILVA, il primo passo è sicuramente l'occupazione degli stabilimenti, col coinvolgimento di tutti i reparti e anche dei cittadini di Taranto solidali con questa lotta. Per ottenere questo, chi nel Comitato dei Liberi e Pensanti, nella FIOM-CGIL, nell'USB e in altre organizzazioni condivide l'obiettivo fondamentale di salvare il lavoro e la salute, deve unire le forze per imporre dal basso un fronte unico nell'azione. L'ILVA jonica è quasi una città a sé stante, trasformarla in una fortezza operaia significherebbe far fare un balzo avanti gigantesco alla coscienza di classe di milioni di lavoratori. I primi a rispondere con un'azione identica sarebbero i lavoratori dell'ILVA in Liguria. Già a Genova 1500 operai ILVA e dell'indotto sono scesi in piazza bloccando il traffico.
Tutta la situazione politica e sociale in Italia potrebbe uscirne completamente rivoluzionata.
Source: Falce Martello (Italy)