In occasione del summit della NATO in Galles è montata la retorica intorno alla crisi ucraina. Gli stessi personaggi che ci hanno speso fiumi di parole rispetto alle “armi di distruzione di massa” di Saddam, adesso denunciano a gran voce che migliaia, probabilmente decine di migliaia, di soldati russi hanno invaso l’Ucraina e chiedono un intervento immediato per contrastarli.
L’ipocrisia dell’imperialismo occidentale davvero non conosce limiti. Parlando a Tallin, in Estonia, il presidente americano ha accusato la Russia di “un’aggressione bella e buona” nei confronti dell’Ucraina e ha aggiunto che ciò “è un affronto al più basilare dei principi del nostro sistema internazionale: che i confini non possono essere ridisegnati con la forza delle armi, che le nazioni hanno il diritto di autodeterminazione sul proprio futuro”.
Ironico, detto da un Paese che non ha mai esitato nel ricorrere ad invasioni, golpe militari, azioni di destabilizzazione più o meno aperte in tutto il mondo, spezzettando nazioni e ridisegnandone i confini ogni qualvolta facesse comodo agli interessi del capitalismo americano. E non ci riferiamo solo al 19° e 20° secolo. Ci sono esempi più recenti: il golpe in Honduras, il golpe in Venezuela, l’invasione dell’Iraq e dell’Afghanistan, il bombardamento della Libia, il sostegno agli insorti reazionari fondamentalisti in Siria, il sostegno alla dittatura reazionaria in Arabia Saudita e negli Stati del Golfo e una lunga lista ancora. Quando l’imperialismo americano parla del “diritto dei popoli all’autodeterminazione” quello che intende veramente è “il nostro diritto a determinare il futuro di qualunque nazione in base agli interessi dei nostri banchieri e capitalisti”.
Alzare un gran polverone riguardo al presunto intervento della Russia in Ucraina è un conto, ma gli Stati Uniti stanno trovando sempre più difficoltà nel fare gli sceriffi del mondo in un periodo di crisi mondiale dell’economia capitalistica e di conseguenti scossoni e instabilità. Perciò Obama è stato molto duro nel denunciare la Russia, ma molto vago nel prendere un impegno concreto riguardo all’unica reazione che potrebbe davvero significare qualcosa, vale a dire l’intervento militare. In pratica il conflitto ucraino ha smascherato i limiti del potere dell’imperialismo americano, le divisioni tra gli USA e i loro alleati europei e le divisioni ancora più profonde di questi ultimi tra di loro.
L’imperialismo statunitense è già stato costretto ad abbandonare Iraq e Afghanistan lasciandosi dietro una situazione ancora più instabile della precedente anche dal punto di vista dei loro stessi interessi. A questo adesso vanno aggiunti l’ascesa dell’ISIS (risultato diretto delle intromissioni statunitensi nella regione), il bombardamento criminale di Gaza da parte di Israele e la crisi in Ucraina. Questa pressione crescente sugli Stati Uniti come poliziotto del mondo arriva in un momento in cui i rapporti con l’alleato chiave in Europa, la Germania, sono ad un minimo storico e l’opinione pubblica americana è estremamente diffidente verso qualunque altra costosa operazione militare all’estero.
In un editoriale del New York Times David Sanger lo spiega in poche parole: “Nel viaggio in Europa questa settimana e nel lungo tour in Asia in programma in autunno, il presidente deve affrontare una doppia sfida: convincere gli alleati degli USA che non ha alcuna intenzione di lasciare agli avversari vuoti di potere da riempire in giro per il mondo e contemporaneamente convincere gli Americani che è in grado di affrontare tutti questi conflitti senza trascinarli di nuovo in un altro decennio di enormi spese militari, sia in termini di soldi che di vite umane”.
Lo stesso articolo cita Richard. N. Haas, il presidente del consiglio USA delle Relazioni Internazionali, che spiega i problemi che Obama si trova ad affrontare: “Se vuoi mettere insieme le forze necessarie a sfruttare la leva asiatica, tornare ad intervenire in Medio Oriente e rafforzare la presenza in Europa, non puoi farlo senza un ulteriore investimento. Il mondo ha dimostrato di essere un posto ben più impegnativo di quanto non credesse la Casa Bianca fino a pochi anni fa”.
È quello che i marxisti dicono da tempo. L’idea per cui il crollo dell’Unione Sovietica avrebbe inaugurato un mondo di pace e prosperità era falsa fin dal principio. Un editoriale del Guardian lo riassume così: “La Guerra Fredda era pericolosa ma relativamente facile da affrontare. Il nuovo mondo, sfortunatamente, diventa ogni giorno più difficile”.
Per tornare all’Ucraina, sono state le azioni provocatorie dell’imperialismo occidentale a scatenare la crisi attuale. Gli USA hanno appoggiato il rovesciamento di Yanukovych e l’instaurazione di un governo completamente indirizzato a portare l’Ucraina ad un’alleanza con l’Unione Europea e possibilmente all’ingresso nella NATO. Questo è stato come sventolare un drappo rosso davanti al toro per il Cremlino, e gli strateghi americani lo sapevano perfettamente. Dal punto di vista della Russia l’annessione della Crimea era l’unica cosa logica da fare per continuare a mantenere il controllo su una base navale russa di enorme importanza strategica. Nonostante tutti i discorsi degli USA su “linee rosse che non devono essere oltrepassate” e “conseguenze” che avrebbero dovuto esserci, la verità è che non hanno potuto farci niente. Il “confine inviolabile di uno stato sovrano” è stato “ridisegnato con la forza delle armi” e gli Stati Uniti si sono dimostrati completamente impotenti.
La Crimea non era l’unico obiettivo russo in questo conflitto. Il Cremlino non poteva permettere che l’Ucraina cadesse completamente nella sfera d’influenza occidentale e ha sfruttato l’insurrezione nell’Est del Paese, così come il proprio controllo sulle forniture di gas, per continuare ad avere l’ultima parola nella politica Ucraina. Nonostante questo, i funzionari americani hanno sostenuto il governo reazionario Turchynov-Yatseniuk-Poroshenko a Kiev e lo hanno spinto a dichiarare guerra al proprio stesso popolo nel Donbass. Ciascuna principale offensiva della cosiddetta “operazione anti-terrorismo” è stata preceduta dalla visita di un alto funzionario americano a Kiev. E ciascuna è fallita.
A metà agosto sembrava che l’esercito ucraino e i Battaglioni “patriottici”di estrema destra organizzati da Kiev alla fine stessero avendo la meglio nella guerra contro i ribelli del Donbass. Erano riusciti ad espugnare le roccaforti di Slavyansk e Kramatorsk grazie ad assedi sanguinosi. Infine erano riusciti a circondare Luhansk e Donetsk, preparandosi ad isolarle dai confini con la Russia.
Le forze ucraine erano impegnate nel bombardamento indiscriminato di centri abitati, scuole, ospedali, mercati, condomini, acquedotti nelle città più importanti, come Donetsk e Luhansk, così come in quelle più piccole e nei paesi. Nella guerra contro il Donbass Kiev considerava legittimo qualsiasi obiettivo. Sono state uccise più di 2000 persone, ne sono state ferite decine di migliaia e quasi un milione di persone sono state costrette ad abbandonare la regione. Ciononostante non ci sono state proteste, nessun segnale di indignazione proveniente dalla “comunità internazionale”. Questi crimini sono stati avvolti dal silenzio assordante di Washington, Londra e Berlino.
Per garantirsi il sostegno dell’opinione pubblica riguardo a questa guerra, il governo di Kiev ha dovuto fare ricorso ad una campagna sempre più estrema di patriottismo isterico e sfacciato, che ha portato alla soppressione di qualunque voce d’opposizione. Le organizzazioni di sinistra sono state costrette alla clandestinità, è stato intrapreso l’iter per mettere fuori legge il Partito Comunista, sono stati attaccati i giornali in lingua russa, alcuni membri del parlamento sono stati aggrediti fisicamente durante le sedute, i social media sono stati messi sotto controllo, i canali televisivi russi sono stati oscurati, attivisti di sinistra e pacifisti sono stati arrestati senza mandato, ecc. Ancora una volta non una parola di condanna dall’Occidente.
Ma nemmeno in quel momento la situazione militare era pienamente sotto il controllo delle forze di Kiev. Centinaia di soldati ucraini erano intrappolati tra i ribelli e il confine russo, senza possibilità di accedere ai rifornimenti. Kiev non è stata in grado, o non ha voluto, far arrivare loro cibo e munizioni, ma si è limitata ad ordinare loro di resistere e non arrendersi. Alla fine in centinaia hanno oltrepassato il confine e si sono consegnati all’esercito russo. Alcuni sono stati messi sotto processo per diserzione.
Per le autorità di Kiev i soldati ucraini non sono molto più che carne da macello. Non c’è perciò da meravigliarsi del fatto che scoppino continuamente in tutto il paese proteste dei familiari dei soldati. Nell’ultima ondata di proteste sono stati coinvolti anche centinaia di lavoratori comuni. Questi poveretti sono stati mandati nel Donbass con pochissimo addestramento, pochissimo equipaggiamento e pochissimo cibo. Invece i figli dei ricchi e dei funzionari di stato si comprano la sicurezza di non essere mandati al fronte. Uno degli slogan lanciati dal movimento delle madri e delle mogli era: “mandate prima al fronte i figli dei magistrati e dei politici!”. In altri si dice che la guerra è stata provocata dal movimento Euromaidan e dunque chi ha messo in piedi tutto questo dovrebbe essere mandato anche a combattere. Il movimento contro la chiamata alle armi è particolarmente forte nelle regioni dove ci sono minoranze nazionali, ma non solo.
Invasione russa?
L’offensiva portata avanti dalle truppe di Kiev sembrava inarrestabile. Ma, verso la fine di agosto, l’aria ha cominciato a cambiare. I ribelli hanno reagito, hanno rotto l’accerchiamento di Donetsk e Luhansk, prendendo il controllo degli aeroporti di entrambe le città, hanno aperto un nuovo fronte a Novoazovsk e ora stanno avanzando verso il porto strategico di Mariupol. I Battaglioni paramilitari fascisti (Azov, Donbass, Dniepr) hanno subito una sconfitta particolarmente pesante nella battaglia cruciale di Ilovaisk, in cui sono rimasti feriti alcuni dei loro leader principali.
Ora, allarmatissimo, il governo di Kiev ha cominciato a gridare ai “migliaia di soldati russi” su territorio ucraino e all’intero battaglione di carri armati che avrebbe attraversato il confine. È a questo punto che l’occidente capitalista ha cominciato ad agitarsi, non per l’utilizzo dell’artiglieria e dei bombardamenti aerei da parte delle forze di Kiev contro bersagli civili, ma per la cosiddetta “invasione russa”. Per avallare questa affermazione, la NATO ha prodotto qualche sgranata immagine satellitare. Si tratta degli stessi che ci avevano assicurato che Saddam Hussein non solo possedeva armi di distruzione di massa, ma aveva anche il modo di usarle e l’intenzione di farlo. Qualsiasi “prova” venga portata da questi personaggi dovrebbe essere quantomeno accolta con grande scetticismo.
Kiev ha inoltre un interesse nel pompare la potenziale minaccia russa nel tentativo di ottenere un aiuto militare concreto da parte dell’Occidente per una guerra che in questo momento sta chiaramente perdendo. Perciò le sue dichiarazioni riguardo ad una “invasione russa” sono piuttosto sospette. Naturalmente il Cremlino non può permettere che i ribelli del Donbass vengano sconfitti. Prima di tutto se così fosse perderebbe una carta molto importante al tavolo delle trattative per assicurarsi i propri interessi in Ucraina. In secondo luogo, dimostrare di abbandonare gli insorti al loro destino darebbe un duro colpo alla popolarità di Putin in Russia. Per evitarlo la Russia ha senza dubbio aiutato i ribelli mediante i servizi segreti, un regolare rifornimento di armi e “volontari” e un piccolo numero di truppe speciali.
Non c’è motivo di dubitare della presenza di qualche truppa russa in Ucraina dell’Est. Le dichiarazioni russe per cui le truppe stanziate sul confine lo avrebbero attraversato “per errore” non sono credibili. Ma parlare di un’invasione da parte della Russia è un’invenzione del regime di Kiev volta a nascondere le vere ragioni della propria battuta d’arresto sul piano militare. Il ribaltamento delle sorti delle truppe ucraine nell’Est si spiega con altri fattori: l’incompetenza dell’alto comando dell’ “operazione anti-terrorismo”, la frammentazione delle forze che combattono dalla parte di Kiev (che comprendono le truppe del Ministero degli Interni, l’esercito, Battaglioni di volontari neo-nazisti, altre forze volontarie ascrivibili a diverse organizzazioni politiche o a singoli oligarchi), la corruzione dilagante e il tradimento completo.
Anche prima dell’attuale disfatta, il comandante auto-nominato del Battaglione volontario Donbass, Simon Semenchenko, si lamentava: “c’è un distacco sempre maggiore tra i comandanti delle unità sul campo e la direzione della ATO (dicono “perchè siamo stati mandati al macello e nessuno è stato punito”); una confusione totale per quanto riguarda le armi, mancanza di coordinamento e comunicazione; corruzione e caos nel sostenere, nutrire e vestire i volontari”.
L’umiliante ritirata delle forze di Kiev ha allargato ulteriormente le divisioni nel loro campo. I “patrioti volontari” dei Battaglioni accusano il Ministero della Difesa di non dare loro supporto e a fine agosto in circa un migliaio hanno protestato a Kiev chiedendo più armi, più uomini e più finanziamenti per la guerra. Un’altra protesta unitaria di tutti i volontari dei battaglioni è in programma per il 4 settembre e circolano voci di un possibile tentativo da parte di questi squadristi fascisti di rovesciare l’attuale governo in una “nuova Maidan”.
Questo dimostra che l’esercito ucraino è lo specchio di tutte le contraddizioni della società ucraina e del marciume e della corruzione del capitalismo ucraino. Ma soprattutto, la sconfitta delle forze ucraine è frutto della mancanza di morale dei soldati coscritti e dei riservisti che non vedono alcun motivo per questa guerra e non hanno alcuna voglia di combatterla. Dall’altra parte invece i ribelli combattono per difendere le proprie case e le proprie famiglie. Combattono senza via di scampo e quindi combattono con un coraggio e una determinazione che nascono dalla disperazione.
Il fatto che le forze di Kiev si trovano a tutti gli effetti a combattere in territorio nemico, non contro “bande di mercenari stranieri” ma contro una popolazione locale ostile che si è organizzata in milizia, ha minato ulteriormente il morale dei soldati semplici ucraini. Il clima che c’è tra la popolazione civile di Donetsk è stato fedelmente descritto in un servizio della CNN, che non può certo essere accusata di essere un portavoce della propaganda russa (guardare qui il servizio).
L’atteggiamento della popolazione è andato cambiando nelle ultime settimane man mano che si faceva sempre più chiaro alla popolazione comune il carattere violento delle forze d’occupazione. Prima, la maggior parte delle persone comuni guardavano alla guerra come a qualcosa di temporaneo, un’indesiderata parentesi nella loro normalità che alla fine si sarebbe chiusa permettendo loro di tornare alla vita di tutti i giorni. Sebbene guardassero al regime di Kiev con profonda diffidenza, restavano spettatori passivi, non volevano essere coinvolti direttamente nella battaglia. Ma ora l’atteggiamento si è indurito.
Lo si vede molto bene in un articolo del giornalista Tim Judah per la rivista NY Review of Books, intitolato “Una sconfitta catastrofica”: “La roccaforte ribelle di Luhansk è stata messa sotto un assedio virtuale ed è stata pesantemente bombardata dall’aviazione ucraina, ciononostante paradossalmente era ancora possibile raggiungere il centro della città con un treno locale. Anche vaste aree di Donetsk sono finite sotto i bombardamenti delle forze ucraine. Alcune zone sono state completamente devastate e il bersagliamento è stato talmente indiscriminato che centinaia di civili sono rimasti uccisi. Di conseguenza, per la fine di agosto, moltissima gente comune che fino ad allora non si era granchè interessata a chi li governasse, odiava il governo di Kiev e l’Ucraina in generale”.
Un articolo di Roland Oliphant sul Telegraph descrive l’atteggiamento della popolazione di Komsomolskoye verso i battaglioni paramilitari fascisti della Guardia Nazionale che hanno occupato il loro territorio per qualche giorno all’inizio di settembre: “Non ci hanno difesi, ci hanno solo derubati. Sono arrivati, hanno detto di essere pronti a prendersi la città e hanno stabilito i loro quartieri generali nelle stazioni di polizia. Quando ci siamo lamentati del fatto che saremmo stati bombardati per questo, hanno risposto che non era un problema loro. Questa risposta ha cancellato ogni mio dubbio. Stiamo solo aspettando che arrivi la DNR”.
Un dispaccio dell’AFP proveniente dallo stesso paese cita le parole di un minatore che fa parte della milizia ribelle: “La nostra controffensiva è confermata,” ha detto Durnya, un minatore di Luhansk che ha imparato a guidare un carro armato nell’esercito 28 anni fa.
Se si mette a confronto lo stato d’animo delle due parti in guerra non è difficile capire che non è necessario ricorrere all’ipotesi dell’”invasione russa” per spiegare l’ultima disfatta delle forze di Kiev.
Il bluff e la spacconeria della NATO
La guerra è un’equazione complessa e dinamica. Il tentativo da parte di Kiev di schiacciare i ribelli (che faceva conto anche sul fatto che Putin non avesse alcuna intenzione di farsi ulteriormente coinvolgere nel sostegno ai ribelli) gli si è completamente rovesciato contro ed ora è proprio Kiev ad essere stata costretta ad un’umiliante ritirata. Poroshenko è alla disperata ricerca di un aiuto da parte della NATO ed è stato invitato al summit dell’organizzazione in Galles.
Rincuorato dalle dichiarazioni forti del Segretario Generale Rasmussen, il Primo Ministro Ucraino Yatseniuk insiste nell’affermare che il proprio Paese vuole uno status di “alleato di serie A” e chiederà formalmente di entrare a far parte della NATO dopo le prossime elezioni parlamentari. Che parole coraggiose! Ma la realtà è che i tentativi di Poroshenko di convincere la NATO ad intervenire militarmente per fermare l’”invasione russa” sono falliti miseramente e la richiesta di ingresso nella NATO da parte di Kiev è stata accolta in modo educato ma vago e poco entusiasta.
Gli USA hanno blaterato tanto riguardo alla necessità di sostenere l’Ucraina e la sua integrità nazionale, ma nei fatti i suoi alleati europei sono estremamente riluttanti ad impegnarsi concretamente e adesso il caos in Iraq è ben più in alto nella lista delle loro priorità. Durante la riunione della NATO in Galles hanno fatto tuonare condanne, alzato le mani al cielo e invocato la collera divina contro Putin- nient’altro.
Ancora una volta si è parlato di “dure sanzioni economiche”. Ma lo abbiamo già sentito. La verità è che, sebbene effettivamente nel caso di sanzioni serie l’economia russa potrebbe esserne duramente colpita, le altre economie europee, che già si trovano in una situazione delicata, ne soffrirebbero almeno altrettanto. Molti Paesi europei, inclusa la Germania, sono sull’orlo di una nuova recessione. Mettere in pratica sanzioni più severe potrebbe essere il colpo di grazia. La Russia potrebbe reagire bloccando le forniture di gas da cui dipendono pesantemente la Germania e altri Paesi.
La prospettiva delle famiglie tedesche che congelano al buio e delle fabbriche tedesche che si fermano al sopraggiungere dell’inverno non è molto allettante per Angela Merkel. Per questo la Germania vuole arrivare ad una soluzione negoziata, il che significa raggiungere un accordo che vada bene anche alla Russia. Non abbiamo il benchè minimo dubbio sul fatto che sebbene ufficialmente continuino le denunce a gran voce, sotto banco si stia lavorando per arrivare ad un simile accordo.
Ci sono grandi pressioni che spingono in questa direzione. Mentre ufficialmente dichiarano il proprio sostegno all’Ucraina, dietro le quinte i Paesi capitalisti occidentali vanno ripetendo che non possono fare nulla e che Kiev dovrebbe firmare un accordo il più presto possibile. Un articolo sul quotidiano tedesco Der Spiegel sotto al titolo “La NATO considera già sconfitta l’Ucraina” cita a questo proposito un’anonima fonte della NATO: “Militarmente parlando Kiev ha già perso la guerra,” dichiara un generale anziano della NATO. “La sola possibilità” per Poroshenko, stando a quanto detto, è “raggiungere un accordo per tirare fuori vivi i propri uomini dalle grinfie dei russi”.
Un editoriale del Guardian esprime la stessa opinione: “Non possiamo nè vogliamo usare il nostro potere in modo drastico. Dispiegare a turno le modeste forze della NATO in Europa orientale forse rassicurerebbe qualche alleato spaventato, ma non cambierebbe la situazione in Ucraina. Dare sostegno militare agli ucraini è possibile e forse dovrebbe essere fatto, ma non farebbe altro che rinfocolare il conflitto. Anche il presidente Vladimir Putin potrebbe rafforzare il proprio investimento militare. Ha dichiarato di volere la pace entro venerdì. Abbiamo già sentito affermazioni del genere, ma la speranza è che Putin si renda conto anche del rischio non solo di una guerra su più ampia scala ma anche di un lungo periodo di isolamento della Russia”.
I tentativi da parte della NATO e dell’Occidente di spaventare la Russia con la minaccia di ulteriori sanzioni economiche hanno avuto l’effetto opposto a quello desiderato. Ben lungi dall’essere intimidito, Putin ha immediatamente alzato la posta in gioco e ora pretende che qualsiasi accordo preveda il riconoscimento del Donbass come Stato. I Russi sanno che le cose si stanno muovendo a loro favore in Ucraina orientale e non vedono perciò alcun motivo per cui accettare dei compromessi. Invece dall’altra parte il governo di Kiev è in totale confusione, sull’orlo del panico.
All’improvviso tutti vogliono sedersi al tavolo delle trattative il prima possibile per trovare un accordo che vada bene a tutti. Tutti gli occhi sono puntati sulle discussioni in corso a Minsk, ma in realtà i fatti vengono stabiliti sul campo di battaglia, e lì i ribelli in questo momento sono all’attacco. Nel momento in cui scriviamo stanno attaccando i posti di blocco alle porte della città portuale chiave di Mariupol. Finchè non si raggiungerà un accordo continueranno ad approfittare dei propri successi sul campo per consolidare ed ampliare le proprie conquiste.
La guerra e la crisi economica
Intanto a Kiev tra l’elite dominante regna un clima di panico e divisione. Quando, il 3 settembre, il presidente Poroshenko ha pubblicato sul proprio sito web una dichiarazione ufficiale in cui annunciava di aver concordato in una conversazione telefonica con Putin un piano per un “cessate il fuoco definitivo” (la parola “definitivo” è stata poi cancellata), il primo ministro Yatseniuk lo ha immediatamente contraddetto dichiarando che “la pace deve essere ottenuta attraverso la guerra”.
Un portavoce russo ha successivamente confermato la veridicità della telefonata ma ha specificato che non è stato raggiunto nessun accordo, dal momento che “la Russia non è parte in causa nel conflitto” e che qualsiasi cessate il fuoco deve essere concordato con Le Repubbliche di Donetsk e di Luhansk. Rappresentanti di entrambe le Repubbliche hanno dichiarato che non è previsto alcun cessate il fuoco, di non essere stati consultati da nessuno e che in ogni caso la pre-condizione per qualunque tipo di accordo sarebbe stata il ritiro completo delle truppe di Kiev. Hanno inoltre aggiunto, a ragione, di dubitare del fatto che Poroshenko sarebbe in grado di imporre un qualunque cessate il fuoco ai Battaglioni punitivi. Alcuni membri del Battaglione neo-nazista Azov hanno confermato ai giornalisti che non avrebbero rispettato alcun accordo coi ribelli e che avrebbero continuato a combattere in ogni caso.
Qualsiasi accordo coi ribelli firmato da Poroshenko scatenerebbe la rabbia dei volontari di estrema destra che compongono i battaglioni e che probabilmente si organizzerebbero per rovesciarlo. Tutte queste sono incognite che possono impedire il raggiungimento di un accordo o addirittura possono esacerbare ulteriormente il conflitto.
Inoltre la crisi economica che già l’Ucraina stava affrontando è stata pesantemente aggravata dalla guerra civile. Il PIL del Paese, per cui già si prevedeva un crollo del 5%, potrebbe ora concludere l’anno con una caduta terrificante dell’8%. Il FMI sta già discutendo della necessità di ulteriori aiuti. Gli investitori privati stanno già preparandosi ad un qualche default del debito ucraino.
La guerra imperversa in due delle regioni più industrializzate del Paese, in luglio la produzione industriale è crollata del 29% a Donetsk e del 56% a Luhansk. Alcune aziende di alto profilo, come la fabbrica di auto ZAZ, hanno già annunciato la chiusura o il blocco dell’attività. L’inflazione sta schizzando alle stelle e si stima che raggiungerà il 20% entro la fine dell’anno. Questo impatterà soprattutto sul prezzo dei servizi. Al contempo il braccio di ferro con la Russia sulle forniture di gas porterà al blocco dell’erogazione dell’acqua calda in molte città, compresa Kiev. Questo è già un problema in estate, ma al sopraggiungere del gelido inverno ucraino la situazione diventerà assolutamente insostenibile.
Ad un certo punto le rivendicazioni economiche e sociali verranno a galla e dissiperanno la nebbia velenosa dell’isteria nazionalista. Ci sono già state alcune proteste locali contro l’aumento delle bollette,che in alcuni casi si sono unite alle proteste contro l’invio dei soldati al fronte. Il 3 settembre, una vertenza riguardante il licenziamento di un design manager della fabbrica di aerei Antonov, di proprietà dello Stato, ha portato ad uno scontro tra i lavoratori e i soldati agli ordini del Ministero degli Interni che avevano circondato l’impianto. I lavoratori si stanno opponendo al tentativo di privatizzare e ristrutturare questa compagnia di bandiera. Si tratta di piccoli segnali, ma lasciano intravedere ciò che si prepara.
La storia ci insegna che le sconfitte in guerra tendono a trasformarsi in rivoluzioni. Oggi l’Ucraina si trova nella morsa della controrivoluzione, del Terrore Bianco e di una guerra civile sanguinosa. Ma il susseguirsi degli eventi può portare a cambiamenti drastici e repentini di ogni sorta. Una cosa è chiara: 25 anni di capitalismo in Ucraina non hanno prodotto nient’altro che un arretramento economico, sociale e culturale, sconvolgimenti politici, corruzione, criminalità, caos, guerre, povertà, morte e sofferenza. Su queste basi non c’è futuro per il popolo ucraino. Prima o poi la lezione verrà imparata.