Il risultato delle amministrative del 5-6 maggio è buon testimone dei rapidi cambiamenti in atto in tutta Europa (e quindi anche in Italia), se si guarda alla profondità dello scossone che ha determinato una consultazione elettorale che, in definitiva, interessava ventitre comuni capoluogo di provincia più alcune decine di altre città.
Tutti i partiti che hanno sostenuto negli ultimi mesi il governo Monti, perdono voti.
Il PDL esce demolito dalle urne.
Facendo un confronto con le regionali del 2010, quello che può essere più credibile, il PDL crolla dal 28,8% al 12,8% materializzatosi alla chiusura dello spoglio lunedì sera, venendo letteralmente polverizzato in due roccaforti tradizionali della destra come Como e Rieti.
Annichilita anche la Lega Nord, che perde oltre due terzi del suo consenso (dal 16,5% al 5,0), colpita nel suo centro direzionale dalle inchieste di più procure che hanno sbriciolato la spassosa immagine del partito che non si faceva contaminare dalla corruzione.
In Lombardia la Lega perde i suoi bastioni di Monza e Como e passa da 23 sindaci a 10. Si sposta chiaramente il ponte di comando verso il Veneto, dopo il successo di Tosi a Verona (57% al candidato sindaco, il 37 alla sua lista e solo il 10 a quella della Lega), in aperta contrapposizione con Bossi.
La Lega di Tosi in Veneto, con il record di fascisti imbarcati negli ultimi anni e l’asse con Maroni che, alla faccia del repulisti, come primo atto da nuovo leader conferma il suo appoggio a Formigoni, delinea una Lega diversa ma non nuova, sempre impegnata nel tentativo di far convivere l’anima reazionaria e xenofoba delle ronde con la presenza nelle istituzioni.
Al confronto del vecchio asse del Nord, appare più contenuto il calo del PD (che passa dal 27,8% al 19,2) mentre si conferma la caduta dell’Italia dei Valori, già visibile alle regionali del 2010, che ora si ferma poco sopra al 3%. Perse le tracce del Terzo Polo che doveva diventare il primo, fa registrare invece un vero exploit il movimento di Grillo (dal 4,8% al 10,1).
Il movimento Cinque Stelle ottiene alte percentuali particolarmente in Liguria, Veneto (a Serego in provincia di Vicenza il primo sindaco grillino) ed Emilia Romagna (dove va al ballottaggio a Parma), mentre più contenuto è il successo al Sud. Questo movimento, che prima raccoglieva soprattutto tra elettori di centrosinistra delusi, ora prende la maggior parte dei nuovi voti soprattutto dalla Lega.
A queste elezioni è risultato evidente il corteggiamento del voto leghista con le dichiarazioni di Grillo, all’uscita delle inchieste su Belsito, che assecondavano spudoratamente la tesi complottista. I flussi elettorali dell’Istituo Cattaneo pubblicati sul Corriere della Sera dimostrano chiaramente che la maggior parte dei voti al movimento Cinque Stelle, soprattutto in Emilia Romagna (dove prima questo movimento sottraeva in maggior parte al centrosinistra), vengono dalla Lega Nord.
A Palermo è clamoroso il successo di Orlando, che prende tre volte i voti delle liste che lo sostengono. Sinistra e Libertà, che qui come a Napoli ha appoggiato il candidato del PD (Ferrandelli), si ferma al 2,2%, mentre la Federazione della Sinistra, nonostante la collocazione di SEL, non guadagna voti (il 4,7% della lista FDS-Verdi rispecchia più o meno fedelmente il voto di queste due formazioni alle precedenti amministrative) e rimane fuori dal consiglio comunale.
A Genova il successo del candidato che alle primarie si era presentato in alternativa a quello del PD (Doria) trascina anche SEL, che passa dai 7493 voti del 2010 agli attuali 11606. Lo stesso non si può dire per la FDS, che cala dal 3,95% al 2,28 (da 10569 a 5274 voti). Rifondazione a Genova si è rifiutata di partecipare alle primarie e, un secondo dopo l’uscita dei risultati, ha dato il suo sostegno al vincitore; senza riuscire, in entrambi i casi, a motivare in maniera convincente perchè si è stati fuori dalle primarie e quali cambiamenti nel programma di Doria fossero intervenuti per motivare, in un momento successivo, il nostro sostegno.
Sinistra e Libertà, nei dieci comuni capoluogo dove si può paragonare il voto a quello delle regionali del 2010, passa da 14815 voti a 24339. Un aumento, determinato in molti casi da alleanze con liste civiche, che rimane inferiore alle aspettative e che, tenendo in questi comuni la percentuale di SEL ferma al 3,28%, non consente a Vendola di esercitare con qualche esito una pressione sul PD, il che spiega anche le titubanze sul governo Monti così come sull’ipotesi di allargare il centrosinistra all’UDC, dove Di Pietro invece si permette sparate più rumorose.
Nei nove comuni capoluogo dove si può tracciare un confronto tra il voto dell’ultimo fine settimana e quello alle regionali del 2010 (sono nove), la Federazione della Sinistra passa da 18902 voti a 12878, in percentuale dal 2,62% al 2,40. Una dinamica del voto ferma, come paralizzata sembra essere l’iniziativa politica.
Il risultato della FDS, oltre al dato di Parma (1,85%), si conferma particolarmente negativo al sud (segnatamente in Calabria e in Puglia): 0,52% a Frosinone, 0,70% a Catanzaro, 1,17 a BAT, 0,94 a Brindisi.
Nonostante un voto in forte mobilità, la Federazione della Sinistra non capitalizza affatto: non emerge alcun guadagno dall’essere il partito che più coerentemente si è collocato all’opposizione dei provvedimenti del governo tecnico di unità nazionale. Forse perchè questa opposizione non si è vista e la manifestazione nazionale del 12 maggio (una convocazione arrivata dagli organismi nazionali della FDS con un percorso che definire travagliato è un eufemismo) per dirgliene quattro a Monti e Fornero è troppo poco. E troppo tardi.
All’uscita dei risultati il commento di D’Alema è stato la foto di Vasto ormai è realtà, chiamarla ancora foto è riduttivo. È una dichiarazione che fa emergere chiaramente un ritrovato ottimismo rispetto al fatto che il centrosinistra possa vincere alle politiche del 2013.
Bersani dice che ora il governo dovrà ascoltarci di più e rilancia l’alleanza dei progressisti coi moderati di centro (una alleanza che il PD proverà ancora a realizzare ma ovviamente, vista la debacle di Casini e compagnia cantante, senza la perentorietà di prima). Esce quindi temporaneamente indebolita la suggestione di replicare nel 2013 l’unità nazionale che ora sostiene Monti, il Partito della Nazione che ne doveva costituire un perno viene frettolosamente accantonato e lo stesso Alfano dice che vertici a tre non se ne faranno più.
In Italia, per ora, non c’è il livello di mobilitazione di altri paesi europei e nemmeno il conseguente effetto elettorale. Con uno scenario politico che, sebbene più per il cedimento di PDL e Lega che per un’avanzata del PD che nei fatti non c’è, vira verso la possibilità di un governo di centrosinistra nel 2013, nel PRC ci si appella di nuovo alla linea del tutti insieme si vince e conseguentemente occorre fare di tutto per rimanere agganciati al centrosinistra (meglio se in una versione un po’ più di sinistra). Così, invece di dedicarsi alla costruzione di qualcosa di fecondo fuori dall’unità nazionale costruita attorno al PD, che è ciò di cui si sente realmente la necessità in questo momento, si continua a voler unire soggetti con traiettorie politiche diverse.
Rimane questa l’ossessione dentro la maggioranza di Rifondazione e, neanche a dirlo, in tutta la Federazione della Sinistra. Come spiegare altrimenti l’affanno quale finora il partito ha occupato l’autostrada vuota lasciata a sinistra dal sostegno del PD al governo Monti (e dalla timidezza di Sinistra e Libertà).
Il contesto europeo può aiutare a cambiare rotta.
L’esperienza della Grecia, del Portogallo e della Spagna è troppo eclatante per nascondere agli occhi di chi vuol vedere che il prossimo partito ad essere travolto dall’impopolarità è il PD che si candida a gestire l’austerità nel dopo-Monti, sia pure cercando di smussarne i tratti, coprendosi dietro i tentativi del neo-presidente socialista Hollande di portare a casa qualche modifica del Fiscal Compact (il provvedimento della UE che detta le linee delle politiche di lacrime e sangue che vengono portate avanti in tutta Europa).
Anche in Italia c’è sicuramente una indignazione crescente contro la politica esistente e il voto in Sardegna che abolisce le quattro neo-province, così come la crescita di 7 punti percentuali dell’astensione alle ultime amministrative, sono due aspetti. Se però si guarda oltre il termine giornalistico di anti-politica, anche il voto di queste amministrative, nel suo piccolo, dimostra una rabbia crescente contro la politica dei sacrifici imposta dalla crisi dell’euro in tutta Europa.
Per questo motivo, l’avanzata della sinistra in Portogallo, in Spagna, il successo di Melenchon in Francia al primo turno e, soprattutto, il successo in Grecia alle ultime elezioni traccia la via da seguire anche per Rifondazione Comunista: il rifiuto assoluto delle politiche di austerità dell’Europa dei banchieri e la rottura coi partiti che, dentro quelle compatibilità, confinano la loro azione e confezionano il loro tracollo.
Source: Falce Martello (Italy)