Dieci anni fa, a New York moriva di cancro il grande paleontologo e biologo evoluzionista Stephen Jay Gould. Era la seconda volta che Gould affrontava questa terribile malattia e fu quella fatale. Il nome di Gould sarà legato per sempre alla sua “teoria degli equilibri punteggiati”, pubblicata nel 1977 con il suo collega Niles Eldredge.
Molti salti nei registri fossili sono reali - Gould
La pubblicazione di questa teoria ha radicalmente cambiato la biologia evoluzionistica: l’impostazione generale della “sintesi moderna”, il nome dato al paradigma tradizionale della biologia evolutiva dagli anni '30, è stato completamente rivoluzionato. La teoria degli equilibri punteggiati non rompe con il nucleo di base dell’evoluzione darwiniana – variazione casuale e selezione naturale - ma ha del tutto capovolto il quadro attraverso il quale comprendere la storia naturale, dal ritmo dell’evoluzione al ruolo svolto dalla selezione naturale.
Il materialismo dialettico parte dall’idea che la materia, fondamento ultimo della nostra comprensione, è sempre in movimento, in uno stato di perenne cambiamento. Tuttavia, i cambiamenti non avvengono gradualmente ma con una lenta accumulazione quantitativa tale, a un certo punto, da produrre un salto qualitativo.
Si può vedere questo processo chiaramente all’opera nel mondo fisico e biologico, ma anche nelle società umane. Le rivoluzioni sono eventi rari che sembrano venire dal nulla, ma si tratta in realtà di balzi improvvisi preparati da un lungo accumulo di eventi apparentemente marginali. Il modo con cui si sviluppano la natura e la società fa sì che, al fine di analizzare in modo efficace la storia naturale e umana, non si possa contare su un metodo di studio statico dei fatti separati tra loro. Al contrario occorre basarsi sul metodo dialettico, che analizza ogni evento come parte di un processo dinamico di trasformazione.
Gould non si considerava un marxista, anche se conosceva e usava il marxismo e i suoi nemici lo hanno sempre accusato di esserlo. Questo perché la sua teoria ha rotto con la visione tradizionale di una evoluzione lenta, graduale, molto adatta all’ideologia dominante che difende il capitalismo come sistema in grado di assicurare un costante miglioramento del tenore di vita.
Collegamenti tra le principali teorie e l’ideologia della classe dominante sono inevitabili, così come è inevitabile che gli scienziati siano coinvolti, anche solo indirettamente, nella lotta di classe in corso nella società. La lotta delle idee è sempre un riflesso, diretto o indiretto, di interessi e prospettive sociali in conflitto tra loro. Non è quindi un caso che per raggiungere una più profonda comprensione di come la natura si evolva, Gould e Eldredge siano stati costretti a rompere con il paradigma tradizionale che era implicitamente anche una dichiarazione politica di conservazione sociale. La teoria degli equilibri punteggiati ha preso idee dal materialismo dialettico ma, soprattutto, lo ha enormemente arricchito, confermando la sua importanza per comprendere non solo la vita di Homo sapiens, ma di ogni forma di vita sulla Terra.
All’origine de L’origine
C’è del grandioso in questa visione della vita - Darwin
Quando, nel 1859, Charles Darwin pubblicò il suo capolavoro, L’origine delle specie per mezzo della selezione naturale, vi erano già stati molti tentativi di introdurre una visione evoluzionista della vita (Diderot, Maupertuis, Buffon e altri), ma erano basati tutti su speculazioni filosofiche astratte. Nessuno di questi studiosi di scienze naturali aveva messo assieme osservazioni e prove sperimentali sufficienti a sostenere l’idea di evoluzione. Solo il grande zoologo Jean-Baptiste de Lamarck aveva sviluppato un modello adeguato di evoluzione naturale, basato sull’utilizzo e il non utilizzo degli organi e su una metafisica forza “vitalista” che sospingeva in avanti le forme di vita.
Ad ogni modo, l’idea di un mondo in cui le specie fossero state create da Dio all’inizio del tempo era ancora dominante. La scala naturae, l’idea che Dio avesse posto tutti gli animali e le piante su una scala fissa dal basso verso le forme superiori, era accettata come spiegazione della diversità della vita.
Nel 1836, dopo il suo ritorno dal viaggio di cinque anni intorno al mondo con il Beagle, Darwin era diventato famoso per le collezioni di animali e vegetali inviate a Londra ma, cosa ancora più importante, aveva raccolto i dati principali che avrebbe usato per sviluppare la teoria della selezione naturale. Anche una lettura superficiale dei suoi famosi taccuini dimostra come Darwin non sia arrivato subito all’idea della selezione naturale, ma per approssimazioni successive.
Nel 1838 Darwin lesse il famoso Saggio sul principio della popolazione, in cui Malthus spiegava che la popolazione, se non controllata, aumenta in proporzione geometrica mentre la sussistenza aumenta solo in un rapporto aritmetico, una legge ferrea che costringe animali e uomini a combattere per la sopravvivenza. Questa idea si sposava bene con l’ideologia che considerava innaturale l’aspirazione di operai e contadini a una vita migliore. A che serviva elevare il tenore di vita di queste persone quando poi sarebbero state inevitabilmente decimate dalla fame? Secondo questa scuola di pensiero è la natura che destina la maggior parte delle persone alla morte o alla fame, non la società. Qualsiasi tentativo di cambiare questo semplice fatto è da considerarsi del tutto inutile.
Sebbene l’idea di Malthus fosse molto utile alla classe dominante britannica, aiutò anche a formulare la teoria della selezione naturale. Infatti, Darwin sviluppò una stretta analogia tra la dimensione della prole generata dalle diverse generazioni e il ridotto numero di adulti che raggiungono l’età della riproduzione. La teoria venne poi completata da una analogia tra la capacità della natura di selezionare gli individui e la capacità dell’uomo di selezionare gli animali nel processo di addomesticamento.
L’origine delle specie per mezzo della selezione naturale è l’opera più importante nella storia della biologia. Come ha scritto Dobzhansky: “nulla in biologia ha senso se non alla luce dell’evoluzione”. Il nucleo della teoria darwiniana è molto semplice: c’è una variazione naturale in termini di caratteristiche morfologiche, fisiologiche o comportamentali tra gli individui di una popolazione, queste caratteristiche possono essere ereditabili; gli individui con caratteristiche che promuovono la riproduzione sono conservati nel corso delle generazioni. Il risultato è la progressiva evoluzione della popolazione. Nelle parole di Darwin:
“Ne consegue che qualsiasi vivente, che sia variato sia pure di poco, ma in un senso a lui più favorevole nell'ambito delle condizioni di vita, che a loro volta sono complesse e alquanto variabili, avrà maggiori possibilità di sopravvivere e, quindi, sarà selezionato naturalmente.”[1]
Queste conclusioni non derivavano da speculazioni filosofiche, ma da osservazioni attente e innumerevoli prove derivanti da fossili, dalla botanica, dalla zoologia e da altri campi. Le idee di base di Darwin sono state confermate da migliaia e migliaia di osservazioni. Che le forme di vita si evolvono è di gran lunga la caratteristica più importante e consolidata della natura.
Il nucleo della teoria darwiniana era semplice, ma le conseguenze della teoria rivoluzionarie. Se Copernico e Galileo avevano rimosso l’uomo dal centro del mondo fisico, la teoria di Darwin distrusse l’idea che il genere umano sia il vertice del mondo biologico. Inoltre, liberò la biologia da qualsiasi visione finalista e teleologica della natura. Non c’è un “disegno intelligente”, né un progetto divino alla base dell’evoluzione. Semplicemente succede. È l’ambiente che plasma silenziosamente gli individui sulla base delle variazioni casuali che essi incorporano. Si producono adattamenti come conseguenza della vita, ossia della lotta di piante e animali per sopravvivere. Come ha scritto Darwin:
“Sono profondamente convinto che le specie non sono immutabili, ma che le specie, che fanno parte di un cosiddetto genere, discendono da qualche altra specie, per lo più estinta, così come le varietà di una specie discendono da quest'ultima”[2]
Così la stessa teoria spiega due processi apparentemente contraddittori: da un lato, la conservazione dei tratti più vantaggiosi generazione dopo generazione; dall’altro un’esplosione di diversità da un antenato comune come conseguenza della selezione naturale e della “sopravvivenza del più adatto” (ad esempio gli individui con le caratteristiche più utili per la riproduzione). Dallo squilibrio tra il numero di figli e le risorse limitate, emerge la lotta per l’esistenza, fonte della selezione naturale. In questa visione, speciazione ed estinzione hanno un rapporto dialettico: specie con caratteristiche meno vantaggiose sono progressivamente destinate a scomparire, lasciando dei vuoti in un costante processo di cambiamento. Questo spazio sarà riempito dalle nuove specie che emergono dall’estinzione delle prime. Nella visione di Darwin, l’estinzione è la condizione di esistenza per l’emergere di nuove specie. Secondo Darwin, si tratta di un processo lento e graduale: tutta una specie diventa gradualmente una nuova specie. Gould definì in seguito questa visione dell’evoluzione come processo lento e graduale “gradualismo filetico”.
Nonostante la sua grandezza, vi erano due punti di debolezza principali nell’Origine delle specie. Innanzitutto, Darwin manteneva una spiegazione ambigua di come sorgano le specie. In effetti, Darwin sosteneva che una popolazione di individui scelti dalla selezione naturale diventava una nuova specie con cambiamenti lenti, costanti, impercettibili. Darwin ammetteva che la separazione geografica di piccoli gruppi dalla popolazione di una specie poteva avere un ruolo nella creazione di nuove specie, ma solo marginalmente.
Questa visione gradualista dell’evoluzione è stata influenzata dall’ideologia generale del gradualismo dominante in tutte le sfere concettuali: natura non facit saltus (la natura non fa salti) è al centro di ogni pensiero politico, sociale, culturale e scientifico in tutte le epoche, in quanto è un modo per cercare di negare la possibilità di cambiare la società. Nella teoria dell’evoluzione naturale, la gradualità implica l’esistenza di stadi intermedi ininterrotti nei reperti fossili, cosa che non si è mai verificata. Darwin stesso attribuiva la mancanza di fossili intermedi alle difficoltà del processo di fossilizzazione, ma i fossili che effettivamente abbiamo sulle specie estinte mostrano che queste rimangono invariate per milioni di anni. Inoltre, quali sono le differenze tra le variazioni e come fanno da queste a emergere nuove specie? Le nuove specie sembravano svanire in un mare di variazioni: una ben marcata variazione è una specie incipiente.
In poche parole, è chiaro che il paradigma darwiniano dell’evoluzione ha avuto caratteristiche rivoluzionarie, ma è stato anche ostacolato dall’imposizione ideologica di una visione gradualista della storia naturale. Darwin modificò la sua opera nell’edizione successiva per rispondere a queste critiche. Ad esempio si possono leggere queste parole per spiegare lo sviluppo dell’occhio come risultato di un’evoluzione lenta e graduale per selezione naturale:
“Tuttavia la ragione mi dice che, se è possibile dimostrare che esistono numerose gradazioni da un occhio perfetto e complesso ad un altro molto imperfetto e semplice (ogni gradazione essendo utile al suo possessore); che, inoltre, l'occhio varia molto leggermente e che le variazioni sono ereditarie (e questo è certamente vero); e che una qualsiasi variazione o modificazione dell'organo può essere ad animale le cui condizioni di vita stanno mutando; allora la difficoltà di credere che, grazie alla selezione naturale, si possa formare un occhio perfetto e complesso, anche se insormontabile dalla nostra immaginazione, cessa di essere consistente.”[3]
E ancora:
“siccome si sa che alcuni organismi inferiori, nei quali non si possono evidenziare i nervi, sono capaci di percepire la luce, non appare impossibile che taluni elementi sensibili del loro sarcodio si riuniscano insieme formando dei nervi, dotati di particolare sensibilità all'azione della luce stessa.”[4]
Il secondo problema era che Darwin, nello sviluppare la teoria, non sapeva esattamente come le caratteristiche si trasmettessero alle generazioni successive. Si trattava di un aspetto fondamentale per una teoria basata sulla selezione naturale, perché uno degli elementi principali della teoria era la presenza di variazioni tra gli individui e la possibilità di trasmettere le variazioni alla generazione successiva. Senza questi due punti non è possibile che si dia evoluzione.
Ne L’origine delle specie, Darwin ha lasciato aperta la questione e, qualche anno più tardi, pubblicò un saggio dal titolo La variazione degli animali e delle piante allo stato domestico in cui parlava di una “teoria provvisoria della pangenesi”. Secondo questa teoria, le caratteristiche provengono da ogni singolo punto del corpo e si accumulano nelle gonadi: i figli sono semplicemente il prodotto di una miscelazione delle caratteristiche dei genitori e non, come oggi sappiamo, il prodotto casuale della rielaborazione genetica prima della fusione delle cellule germinali (cellula uovo e spermatozoo, Ndt). È chiaro che, secondo la teoria provvisoria della pangenesi, la comparsa casuale di variazioni vantaggiose non può essere ereditata integralmente dalla progenie ma viene diluita mediante miscelazione. La selezione naturale non avrebbe nulla da conservare.
La nostra comprensione del meccanismo dell’ereditarietà dipende crucialmente dal lavoro di Gregor Mendel. Oggi sappiamo che ci sono precisi meccanismi attraverso i quali vengono ereditate le caratteristiche di piante e animali. Il lavoro di Mendel, pubblicato nel 1865, restò praticamente sconosciuto. Darwin lo ricevette ma non lo lesse mai. Tuttavia, dalle pubblicazioni del lavoro di Mendel in poi, in particolare con la scoperta della struttura del DNA nel 1959, i problemi sollevati da L’origine delle specie sono stati sostanzialmente risolti. Oggi ci sono ancora molte domande a cui rispondere nel programma di ricerca sull’evoluzione, ma tutte partono dal nucleo darwiniano dell’evoluzione guidata dalla selezione naturale. A partire da questa base, vi sono state innumerevoli ricerche sui metodi scientificamente più appropriati con cui definire una specie, una relazione filogenetica, per comprendere i reperti fossili, per interpretare i tempi e i modi della storia naturale della Terra e, soprattutto, della storia naturale dell’umanità. Si tratta di importanti passi avanti scientifici, che nel loro complesso permettono di confermare che l’evoluzione è un dato di fatto incontrovertibile.
Senza il grande passo in avanti rappresentato dalla teoria dell’evoluzione, non sarebbe possibile comprendere le relazioni tra i phyla del pianeta e la nostra storia. A meno che, naturalmente, non si creda che un essere superiore abbia creato tutti gli animali esattamente come sono oggi, e che lo stesso essere supremo abbia sepolto tonnellate di fossili di dinosauri per prendersi gioco di noi!
Dalla pubblicazione de L’origine delle specie, la biologia, e la scienza in generale, non sono state più le stesse. La teoria dell’evoluzione per selezione naturale ha un profondo significato dialettico: la conservazione attraverso la diversità è una splendida dimostrazione del carattere dialettico con cui procede la natura. Marx ed Engels riconobbero immediatamente le implicazioni rivoluzionarie di questa teoria sottolineando, allo stesso tempo, i limiti rappresentati dalla ideologia implicita che serviva a sostenere.
Ogni classe dominante ha un’ideologia che sostiene il suo dominio. Prima del capitalismo, le forze produttive crescevano così lentamente che la stessa idea di cambiamento sembrava irrilevante. La giustificazione ideologica del potere di classe si basava sull’idea di una vita immobile, un universo sempre identico a se stesso che Dio aveva creato così e aveva da governare dato agli uomini (cioè alla classe dominante). Tutto era rimasto identico dai tempi della Creazione. L’evoluzione non aveva senso, in natura come nella società. Al contrario regnavano la tradizione, l’ipse dixit, e le antiche abitudini.
L’evoluzione come ideologia
Darwin è stupendo - Engels
La classe capitalista che cominciava a prevalere nella sua lotta contro le vecchie classi dominanti usava le armi ideologiche dell’individualismo, dell’ambizione personale e del merito: i borghesi meritavano di governare perché erano migliori, più intelligenti degli altri, così come gli animali migliori meritavano di sopravvivere. Secondo la concezione borghese, perseguendo i propri interessi, un individuo diventa migliore e migliora la società nel suo complesso. La concorrenza è un bene per tutti.
Durante il Medioevo, gli scontri tra i nobili, anche se avevano spesso una base economica, erano sempre combattuti in base a imperativi morali come il codice della cavalleria. Nella società borghese che andava costruendosi, la concorrenza era semplicemente il mezzo con cui gli esseri umani potevano fare di meglio, ossia diventare ricchi e potenti. La vecchia filosofia pessimistica dell’homo homini lupus assumeva un nuovo significato: ogni capitalista ha il diritto morale di schiacciare i suoi concorrenti. Nel fare questo, aiuta a migliorare l’umanità. L’idea della “lotta per l’esistenza”, come abbiamo notato, non è giunta agli ideologi borghesi dai naturalisti ma viceversa. La visione ideologica della borghesia s’imponeva ai naturalisti. In questo contesto, l’evoluzione era accettabile, anzi era uno specchio della società, come nota Gould:
“La teoria della selezione naturale è una trasposizione creativa dei principi di Adam Smith dal campo dell’economia a quello della biologia: l’equilibrio e l’ordine naturale non sono determinati né da un controllo superiore ed esterno (divino) né da leggi che operano direttamente sull’intero sistema; esso scaturisce dalla lotta tra gli individui per il proprio beneficio”[5]
Così, la concorrenza produce un progressivo miglioramento graduale della società. Quale meraviglioso strumento di propaganda per l’ascesa della classe capitalista! La legge del più forte valida nella giungla come nella società.
La critica alle ideologie e alle teorie delle classi dominanti è stato un compito fondamentale del marxismo fin dagli inizi, un aspetto assolutamente essenziale per contribuire a dare chiarezza al nascente movimento operaio. I fondatori del socialismo scientifico hanno dedicato tutta la vita allo studio delle principali scoperte delle scienze naturali e sociali, valutando il significato scientifico e politico di nuove idee, tra cui quelle di Darwin.
In effetti, è notevole vedere quanto velocemente Marx ed Engels abbiano colto sia l’importanza di Darwin sia i suoi limiti. Questo perché, in realtà, davano per scontata l’evoluzione già prima di conoscere Darwin. Per esempio, Marx scriveva nel 1844:
“la generatio aequivoca [generazione spontanea] è l’unica confutazione pratica della teoria della creazione. “Ormai è certamente facile dire all’individuo singolo quello che già disse Aristotele: tu sei generato da tuo padre e tua madre, e quindi la congiunzione di due esseri umani, cioè un atto proprio della specie umana ha prodotto in te l’uomo. Tu vedi dunque che l’uomo è debitore anche fisicamente all’uomo. Devi quindi tener presente e conservare soltanto non un unico lato soltanto, cioè il progresso all’infinito per cui vieni a chiedere chi ha generato mio padre, chi suo nonno e via di seguito.”[6]
Certo, al tempo Marx non era altro che un filosofo radicale, con una conoscenza rudimentale del dibattito sull’evoluzione. Ma ciò che emerge qui è che i fondatori del socialismo scientifico sono sempre stati interessati a questo argomento. Quando nel 1859 uscirono alcune centinaia di copie de L’origine delle specie, una venne acquistata da Engels, che nel giro di pochi giorni comprese che la scienza era cambiata per sempre. La cosa ancora più degna di nota, tuttavia, è che Engels fu anche in grado di rilevare immediatamente le debolezze del darwinismo. Scrisse:
“Del resto il Darwin, che sto appunto leggendo, è proprio stupendo. Per un certo aspetto, la teleologia non era stata ancora sgominata, e lo si è fatto ora. E poi non è stato ancora mai fatto un tentativo così grandioso per dimostrare uno sviluppo storico nella natura, o almeno non così felicemente. Naturalmente, bisogna passar sopra al goffo metodo inglese.”[7]
Marx ed Engels evidenziarono anche che, per molti aspetti, Darwin utilizzava un approccio simile al materialismo storico. Nella Prefazione alla seconda edizione del Capitale, citando un suo recensore, Marx spiega che dal proprio punto di vista: “considera il movimento sociale come un processo di storia naturale”[8]. Engels, sintetizzando durante la cerimonia funebre per Marx, i risultati scientifici del suo amico e compagno di una vita disse: “così come Darwin ha scoperto la legge dello sviluppo della natura organica, Marx ha scoperto la legge dello sviluppo della storia umana”[9]. Darwin, da parte sua, era spaventato dall’interesse che Marx aveva per le sue teorie come emerse dalla sua risposta a Marx in cui lo ringrazia per l’invio di una copia del Capitale[10].
Negli anni successivi, Marx ed Engels hanno sempre difeso Darwin contro i suoi critici, pur sapendo che i punti deboli nel darwinismo erano utilizzati per sostenere il capitalismo, finendo per diventare parte della ideologia dominante. Marx, per esempio, scrisse a Engels:
“È notevole il fatto che, nelle bestie e nelle piante, Darwin riconosce la sua società borghese con la divisione del lavoro, la concorrenza, l'apertura di nuovi mercati, le “invenzioni” e la malthusiana “lotta per l'esistenza”. È il ‘bellum omnium contra omnes’ di Hobbes e fa ricordare Hegel nella Fenomenologia, dove raffigura la società borghese quale “regno animale ideale”, mentre in Darwin, il regno animale è raffigurato quale società borghese.”[11]
Il fatto che Darwin non fosse un radicale, a dir poco, ha danneggiato le sue teorie. L’ideologia capitalista ha costituito un ostacolo allo sviluppo della teoria dell’evoluzione. Ciò era particolarmente evidente con il gradualismo. Per Marx ed Engels era ovvio che il gradualismo non avesse nulla a che fare con l’evoluzione. In una lettera a Engels, Marx cita uno scienziato minore del suo tempo proprio perché aveva rifiutato il gradualismo:
“Un’opera importantissima che ti manderò (...) è: P. Trémaux, Origine et transformations de l’homme et des autres êtres, Parigi 1865. Nonostante tutti i difetti di cui mi accorgo, costituisce un notevolissimo progresso su Darwin (...) Il progresso che per Darwin è puramente casuale, è qui necessario sulla base dei periodi di sviluppo del corpo terrestre, la degenerazione, che Darwin non può spiegare, qui è semplice; lo stesso sia detto per il così rapido estinguersi di forme di puro trapasso, comparato con la lentezza dello sviluppo del tipo delle espèce, sinché le lacune della paleontologia, che turbano Darwin, qui sono necessarie.”[12]
Gli “specialisti”, ossia i biologi evoluzionisti di professione ci avrebbero messo un altro secolo prima di cogliere questa idea, come vedremo parlando di Gould. Non è un caso. Il ruolo del gradualismo non era di poco conto. L’evoluzione può essere accolta dalla classe dominante solo nella misura in cui si presenta in una versione gradualista. Darwin era istintivamente consapevole di questo, i suoi epigoni lo erano anche politicamente.
Il ruolo del gradualismo
La teoria di Darwin ha prodotto una completa rottura con le idee precedenti sulla vita naturale. Toccheremo qui due punti che sono particolarmente importanti per la formazione dell’ideologia borghese. Il primo è la fine della teleologia nella scienza. Come ha scritto Marx: “è qui che, per la prima volta, la ‘teleologia’ nella scienza della natura non solo riceve un colpo mortale ma ne viene spiegato empiricamente il suo significato razionale”[13]. Strutture e comportamenti, per quanto incredibilmente complessi, non sono il risultato di sforzi coscienti. Dio non è più necessario per comprendere il miracolo della vita. Da un lato, ciò significa che gli esseri umani non sono una razza speciale creata da Dio, ma animali tra gli animali, come Huxley, tra gli altri, ha osservato ne Il posto dell’uomo nella natura, sottolineando che l’embrione umano è molto simile a quello delle scimmie, ecc. Questo significa che la religione ha perso per sempre ogni funzione esplicativa. Per questo i preti di ogni credo odiano Darwin. D’altra parte, questa caratteristica del darwinismo è usata per sostenere il capitalismo: la mano invisibile funziona per la natura e per la società. Qualsiasi intervento umano è inutile. Tuttavia, questa trasposizione è priva di fondamento. Ogni animale cerca di sopravvivere con le armi che l’evoluzione gli ha fornito. Ai nostri antenati è accaduto che per sopravvivere hanno dovuto sviluppare il linguaggio, la coscienza, la cooperazione, in una parola, la pianificazione sociale. I primi uomini cominciarono a differenziarsi dalle altre scimmie bipedi proprio perché pianificavano: programmavano la battuta di caccia, progettavano come costruire le loro abitazioni, pianificavano in anticipo. Dovevano farlo per sopravvivere. Agire con un fine in vista è proprio ciò che è specificamente umano. Come ha osservato Marx:
“Noi supponiamo il lavoro in una forma nella quale esso appartenga esclusivamente all'uomo. Il ragno compie operazioni che assomigliano a quelle del tessitore, l'ape fa vergognare molti architetti con la costruzione delle sue cellette di cera. Ma ciò che fin da principio distingue il peggior architetto dall'ape migliore è il fatto che egli ha costruito la celletta nella sua testa prima di costruirla in cera. Alla fine del processo lavorativo emerge un risultato che era già presente al suo inizio nell'idea del lavoratore, che quindi era già presente idealmente. Non che egli effettui soltanto un cambiamento di forma dell'elemento naturale; egli realizza nell'elemento naturale, allo stesso tempo, il proprio scopo, da lui conosciuto, che determina come legge il modo del suo operare, e al quale deve subordinare la sua volontà."[14]
Così, l’immenso progresso determinato dal rifiuto di Darwin di una mano visibile come causa di cambiamenti nel mondo naturale non vuol dire che l’umanità è destinata a una società preda dell’anarchia del mercato, ossia al capitalismo. Noi conosciamo le leggi di movimento dell’economia. È una bella differenza con gli altri animali.Il secondo punto è che le cose cambiano. Gli animali mutano, le specie nascono e muoiono. Anche questo aspetto è stato importato nelle discipline sociali, perché utile a rappresentare il capitalismo come un sistema progressivo. Il problema è che se la società si evolve e nulla è per sempre, anche il capitalismo è condannato. L’ideologia borghese ha quindi un rapporto contraddittorio con l’evoluzione. È per questo che ha sviluppato un’ideologia della storia in cui l’evoluzione (e anche la rivoluzione) è positiva solo fino a quando sorge il capitalismo, ma non più dopo. Come notò Marx: "[le leggi del capitalismo] sono leggi eterne che devono sempre governare la società. Così, c'è stata storia, ma ormai non ce n’è più”[15].
Il capitalismo è la fine della storia, dell’evoluzione umana. Il problema è che l’evoluzione non finisce mai. Quindi, per accettare l’idea dell’evoluzione della vita umana, anche nel capitalismo, quest’ultimo è stato rappresentato come un’impercettibile modificazione graduale di punti marginali della realtà, perché i pilastri fondamentali della società, ossia la proprietà borghese dei mezzi di produzione, con ciò che ne deriva, sono da considerarsi come eterni. Il gradualismo non è un aspetto secondario dell’evoluzione che alcuni scienziati accettano e altri no. È l’unico modo per riconciliare evoluzione e capitalismo. È per questo che il ruolo della teoria Gould è fondamentale, come vedremo.
Gli ideologi borghesi non sono gli unici ad avere consapevolmente frainteso il darwinismo. Per quanto riguarda la “lotta per l’esistenza”, il filosofo ultra-sinistro Pannekoek ha scritto che “il darwinismo è la prova scientifica della disuguaglianza”, quindi intrinsecamente anti-socialista. Pannekoek dimostrò un livello molto ridotto di comprensione della teoria affermando: “il socialismo vuole abolire la concorrenza e la lotta per l’esistenza. Ma il darwinismo ci insegna che questa lotta è inevitabile ed è una legge naturale per tutto il mondo organico. Non solo questa lotta è naturale, ma anche utile e vantaggiosa”[16]. Questo però è Malthus, è darwinismo sociale, non la teoria darwiniana dell’evoluzione. Tra l’altro, le giustificazioni ideologiche della disuguaglianza di classe non sono nulla di nuovo, si possono far risalire al famoso apologo di Menenio Agrippa o anche a testi mesopotamici scritti 60 secoli fa. Non una parola di Pannekoek, invece, sul tema decisivo che lotta significa anche lotta di classe e che l’evoluzione potrebbe comportare il superamento delle attuali strutture naturali e sociali. Ecco perché Darwin, Huxley, ecc, erano odiati da parte delle cricche reazionarie del loro tempo.
Per quanto riguarda il gradualismo, il teorico più famoso dell’Internazionale Socialista, Karl Kautsky, fece suo il gradualismo perché ben si accordava con il suo punto di vista riformista dell’evoluzione sociale. Non è un caso. Proprio come l’ideologia capitalista può accettare l’evoluzione solo nella camicia di forza del gradualismo, lo stesso vale per il riformismo, che è il riflesso ideologico del potere borghese all’interno del movimento operaio. Lentamente, il capitalismo diventa socialismo, proprio come una specie diventa un’altra. In realtà questo non avviene con le specie né con le società. Ancora una volta, vediamo come la brillante confutazione scientifica del gradualismo operata da Gould sia fondamentale per la lotta ideologica contro questo sistema.
Il sorgere del paradigma
Il programma di ricerca darwiniano che ha dominato la scienza naturale nel XX secolo è stato definito Sintesi Moderna, suggerendo nel nome la fusione del nucleo centrale della teoria darwiniana – variazioni casuali e selezione naturale – con le conoscenze di genetica delle popolazioni sviluppate negli anni ‘30. Per la prima volta, l’evoluzione venne arricchita da una piena comprensione dei meccanismi attraverso i quali emergono variazione ed ereditarietà. Nel tempo che separa la pubblicazione dell’Origine delle specie dalla nascita della Sintesi Moderna, la biologia arrivò finalmente a comprendere che sono i tratti di entrambi i genitori a essere trasmessi secondo le precise leggi matematiche mendeliane. Ne derivarono conseguenze teoriche rilevantissime: la trasmissione delle caratteristiche dei genitori e l’evoluzione di animali e piante non è la semplice conseguenza dell’adattamento alle esigenze dell’ambiente, in base all’uso o meno di organi. Al contrario, si confermò che il meccanismo funziona nel modo opposto: l’ambiente seleziona le modifiche prodotte casualmente.
Su questa base, la teoria di Darwin divenne un paradigma con un’aura di quasi onnipotenza della selezione naturale: i tratti, gli adattamenti, i comportamenti sono direttamente plasmati dalla selezione naturale. Questo paradigma divenne la Sintesi Moderna. Ronald Fisher, Sewall Wright, Theodosius Dobzhansky, Ernst Mayr e George Gaylord Simpson furono gli attori principali di questo fecondo programma di ricerca che, nel corso di quarant’anni, ha trasformato la teoria dell’evoluzione da ipotesi praticabile a fatto scientifico incontestabile. Tutti questi scienziati hanno dato un notevole contributo a diversi campi dell’evoluzione.
Nella sua famosa opera La teoria genetica della selezione naturale, Fisher ha dimostrato che le basi genetiche dell’evoluzione possono essere estese a caratteristiche, come l’altezza, che non sembrano essere trasmesse in maniera mendeliana. In realtà fino ad allora gli scienziati pensavano che tratti come l’altezza non potessero dipendere da geni specifici come invece accadeva per il colore dei capelli. Fisher dimostrò che non era così: i geni che codificano per l’altezza funzionano come gli altri, seguendo le stesse leggi. Si possono prevedere le frequenze di trasmissione dei geni. Questo fu il primo successo della Sintesi Moderna.
Sewall Wright sviluppò la teoria di Fisher con la scoperta della “deriva genetica”, un meccanismo che ha arricchito la selezione naturale, mostrando le potenzialità di emersioni e scomparse casuali di una determinata caratteristica, con il passare delle generazioni. Secondo Wright, una popolazione può essere suddivisa in sottopopolazioni che a poco a poco, attraverso la deriva genetica, sono in grado di colonizzare nuove aree e diffondersi per i loro tratti “positivi”. In altre parole, la teoria di Wright era un modello matematico predittivo del cambiamento lento e graduale, incarnato nella visione della Sintesi Moderna.Il grande genetista Dobzhansky fece un importante passo avanti per la comprensione di cosa sia una specie. Nella sua opera più famosa Genetics and the origin of species, scritto nel 1937, alla biologia evolutiva veniva data per la prima volta una descrizione unificante di specie, la “definizione biologica”, che si basa sui meccanismi della riproduzione: una specie è un gruppo di individui inter-fertili e riproduttivamente isolato da altri. Nelle parole di Dobzhansky:
“Le specie sono i più piccoli gruppi discreti di organismi il cui libero incrocio con altri gruppi è impedito da meccanismi fisiologici di isolamento.”[17]
Gli individui di specie diverse sono separati da specifici meccanismi di isolamento come l’incompatibilità dei genitali, dei gameti, diversi periodi di fertilità, la sterilità della prole, ecc. Infatti, sempre secondo Dobzhansky:“La produzione di prole ibrida tra due gruppi distinti può essere impedita da mancanza di attrazione sessuale tra individui diversi, da incompatibilità fisica degli organi riproduttivi (genitali o struttura del fiore), da differenze nella struttura o fisiologia delle cellule sessuali, da differenze nelle stagioni di allevamento e nell’ecologia dei genitori. Se alla fine viene prodotto, l’ibrido potrebbe essere troppo debole per raggiungere la maturità sessuale, o essere sterile a causa della mancata produzione di gameti funzionali” (Ibidem).
Questa teoria ha notevolmente rafforzato il nucleo della Sintesi Moderna: l’evoluzione come processo lento e graduale in base alla lezione di Darwin. Geni e genetica forniscono la base matematica della teoria e le specie sono formate nello stesso modo:
“È solo attraverso lo sviluppo di meccanismi di isolamento che organismi diversi possono coesistere nella stessa area, possono produrre nuove forme su cui si possa basare l’evoluzione progressiva, o differenziarsi e specializzarsi per sfruttare le diverse nicchie nell’economia della natura” (Ibidem).
Da queste righe si può capire che il nucleo della Sintesi Moderna è la derivazione dei meccanismi macroevolutivi da quelli della microevoluzione. In altre parole, il cambiamento graduale delle frequenze geniche con il passare delle generazioni, alla base della formazione di un nuove specie, è anche la base della formazione dei taxa superiori, come i pesci, anfibi, rettili, uccelli e mammiferi. Per la Sintesi Moderna, vi è un solo meccanismo in essere e il processo si evolve in modo graduale. Tutto quello che non troviamo nei fossili è causato solo dalle difficoltà nel processo di fossilizzazione. Il libro di George Gaylord Simpson Tempo and mode in evolution, pubblicato nel 1944, è stato il principale lavoro sull’interpretazione gradualista dell’evoluzione. In questa opera, Simpson riassunse l’estrapolazione dalla microevoluzione alla macroevoluzione e sottolineò che la maggior parte dell’evoluzione procede attraverso la costante e graduale trasformazione filetica di tutta la linea genetica. Questa interpretazione è chiamata “anagenesi” o “gradualismo filetico”.
La Sintesi Moderna ha costituito un grande passo in avanti per la teoria darwiniana. La definizione biologica di specie è tuttora valida, anche se gli scienziati suggeriscono e analizzano nuovi modi di formazione delle specie. Le prime crepe nella teoria non provennero direttamente dall’analisi dei meccanismi genetici e biologici di formazione della specie, ma dai dati paleontologici e dal meccanismo di distribuzione geografica della specie.
Le prime crepe nel paradigma
Dopo essere stata accettata da larga parte della comunità scientifica, una teoria passa attraverso un periodo di consolidamento, in cui le nuove scoperte la rafforzano e la estendono. A un certo punto, queste nuove scoperte portano a un’interpretazione più avanzata e accurata dei dati stessi. Nata come sviluppo di quella stessa teoria in forma nuova, a un certo punto, diventa una nuova teoria. Così si evolve il pensiero scientifico, attraverso uno sviluppo dialettico: un’approssimazione quantitativa della realtà che, a un certo punto, produce un salto qualitativo che include le scoperte principali delle teorie precedenti, ma ne rigetta anche aspetti importanti.
Questo successe anche con la Sintesi Moderna e la teoria degli equilibri punteggiati. Dagli anni ’30, per diversi decenni, il paradigma dominante è stato rafforzato dalle scoperte della genetica: l’idea dell’evoluzione basata su frequenze geniche che cambiano gradualmente venne rafforzata dalle opere e dall’analisi di Fisher e Dobzhansky.
Tuttavia, con i trionfi vennero anche i problemi e cominciò a emergere una nuova interpretazione. Il libro citato sopra di Simpson Tempo and mode in evolution, seppure fosse un brillante e ortodosso lavoro di paleontologia della “sintesi”, proponeva anche l’idea che il tempo e il modo in cui l’evoluzione procede non sono la stessa cosa. Ancor più decisivo, Simpson ammetteva che i fossili mostrano diversi ritmi di evoluzione. Questa idea fu ignorata per molti anni dall’establishment scientifico.
In ogni caso, la prima incrinatura reale nel paradigma fu prodotta dal lavoro dell’ornitologo Ernst Mayr l’Evoluzione delle specie animali, la cui pubblicazione originale è del 1963. Mayr fu uno dei più importanti biologi evolutivi di tutti i tempi. Fu zoologo, ornitologo tropicale e, soprattutto, lo scopritore della “teoria della speciazione allopatrica” che derivò dai dati raccolti per molti anni come ornitologo. Si trattò di una rivoluzione nel modo di considerare come nasce una specie. Mayr era consapevole dei limiti della “Sintesi”:
“Di conseguenza, i genetisti hanno descritto l’evoluzione semplicemente come un cambiamento di frequenze geniche nelle popolazioni, ignorando completamente il fatto che l’evoluzione è costituita dai due fenomeni simultanei ma nettamente distinti di adattamento e di diversificazione.”[18]
Nella visione di Mayr, una nuova specie si forma per separazione geografica di una piccola parte della popolazione figlia dalla popolazione madre. Questa ridotta popolazione fondatrice colonizza un nuovo ambiente e può evolvere più rapidamente. Dopo un tempo sufficiente, la popolazione madre e quella fondatrice non sono più interfertili se si incontrano di nuovo. Nelle parole di Mayr:
“La novità principale della mia teoria è l’asserzione che il più rapido cambiamento evolutivo non si verifica in specie diffuse e popolose, come sostengono la maggior parte dei genetisti, ma in piccole popolazioni fondatrici” (Ibidem).
E ancora:
“La mia conclusione fu che una drastica riorganizzazione del pool genetico è molto più facilmente realizzabile in una piccola popolazione fondatrice piuttosto che in altri tipi di popolazione” (Ibidem).
Si trattava di una negazione implicita del gradualismo filetico elaborato da Simpson. La speciazione allopatrica non negava il concetto biologico di specie di Dobzhansky basato su meccanismi d’isolamento e su popolazioni unite da fecondità reciproca, piuttosto veniva incluso in una nuova e superiore visione, aprendo così un dibattito: nuove specie nascono da una popolazione che cambia o da piccole popolazioni fondatrici?
Gli equilibri punteggiati: una rivoluzione in biologia
Quando Gould ed Eldredge pubblicarono Punctuated equilibria: an alternative to phyletic gradualism nel 1972, posero una nuova domanda alla scienza: se la speciazione geografica di Mayr è vera, quali conseguenze si hanno per la velocità dell’evoluzione? Il dibattito scientifico ne fu investito come da un’esplosione. I due scienziati rovesciarono la prospettiva della “Sintesi” applicando la speciazione geografica di Ernst Mayr all’interpretazione dei reperti fossili:
“La teoria della speciazione allopatrica (o geografica) suggerisce una diversa interpretazione dei dati paleontologici. Se le nuove specie nascono molto rapidamente da piccole popolazioni, periferiche e isolate localmente, allora la grande attesa di sequenze fossili che cambiano impercettibilmente è una chimera. Una nuova specie non si evolve nella zona dove vivevano i suoi antenati.”[19]
Questa visione dell’evoluzione non richiede anelli mancanti. Le interruzioni nella documentazione fossile sono reali, essendo causate dalla speciazione geografica nel corso delle generazioni. I reperti fossili mostrano anche la stasi in cui le popolazioni fondatrici si trovano dopo essersi adattate al nuovo ambiente. Come sottolineano Gould ed Eldredge:
“Il concetto centrale della speciazione allopatrica è che nuove specie possono sorgere solo quando una piccola popolazione locale si isola ai margini della distribuzione geografica delle specie parentali. Tali popolazioni locali sono definite ‘isolati periferici’. Un isolato periferico si sviluppa in nuove specie se i meccanismi di isolamento che evolvono impediscono la ripresa del flusso genico, se la nuova forma re-incontra i suoi antenati in un tempo futuro. Come conseguenza della teoria allopatrica, nuove specie fossili non hanno origine nel posto dove vivevano i loro antenati “(Ibidem).
In questa teoria, l’evoluzione procede da un’accumulazione quantitativa a salti qualitativi e i fossili lo registrano con chiarezza. Si tratta di un nuovo modo di leggere la storia naturale del nostro pianeta: in altre parole, un nuovo tempo e un nuovo modo dell’evoluzione. Sotto il profilo della comprensione generale dello sviluppo delle specie, la teoria degli equilibri punteggiati non rifiutava del tutto la teoria dominante sulle specie biologiche e geografiche, ma vi applicava una visione dialettica. Piccole popolazioni fondatrici e ritmi differenti si riflettono nei reperti fossili: questi sono gli ingredienti di questa rivoluzionaria teoria.
Nelle parole dei due scienziati:
“In sintesi, noi contrapponiamo i principi e le previsioni della speciazione allopatrica con le proposizioni corrispondenti del gradualismo filetico da noi citate in precedenza: 1) le nuove specie derivano dalla suddivisione di linee geniche, 2) le nuove specie si sviluppano rapidamente, 3) una piccola sub-popolazione della forma ancestrale dà origine a nuove specie; 4) la nuova specie ha origine in una parte molto piccola dell’estensione geografica della specie ancestrale - in una zona isolata alla periferia dell’area. Queste quattro affermazioni a loro volta comportano due importanti conseguenze: 1) in ogni area locale contenente la specie ancestrale, i reperti fossili legati all’origine della specie discendente devono essere composti da una netta rottura morfologica tra le due forme. La rottura segna la migrazione della gamma ancestrale. (...) 2) molte mancanze nei reperti fossili sono reali: esprimono il modo in cui avviene l’evoluzione, non frammenti di una registrazione imperfetta “(Ibidem).
Dopo la pubblicazione del loro primo lavoro, Gould e Eldredge sono stati spesso accusati di rifiutare il nucleo centrale del darwinismo. Al contrario, gli hanno dato un solido fondamento. Gli equilibri punteggiati sono basati sulla selezione naturale, perché la speciazione geografica e la teoria biologica della specie si basano sulla selezione naturale. Le nuove condizioni (ad esempio la mancanza di predatori potenziali nel nuovo ambiente) in cui si troverà la ridotta popolazione fondatrice daranno una spinta al ritmo del cambiamento.
Essi spiegano che i reperti fossili riflettono realmente episodi di accelerazione della selezione naturale così come di stabilità di lungo periodo delle specie. Molti anni dopo, sulla base di nuove scoperte nei meccanismi evolutivi, Gould e Eldredge estenderanno il nucleo darwiniano della selezione naturale dalle popolazioni alle specie. Di fatto, gli equilibri punteggiati sono incompatibili con l’estrapolazione dalla microevoluzione alla macroevoluzione fatta dalla Sintesi Moderna: la formazione di taxa, dalle piante ai mammiferi, richiede meccanismi diversi che non sono riducibili alla microevoluzione che opera sulle popolazioni. Questi meccanismi comprendono la selezione naturale, ma non sono riducibili ad essa. Si tratta di una visione pluralistica dell’evoluzione basata sul principio delle proprietà emergenti.
Dialettica e scienza
Può anche non essere irrilevante per le nostre preferenze personali, che uno di noi abbia imparato il marxismo letteralmente sulle ginocchia del padre – Gould
In pochi anni, la teoria degli equilibri punteggiati aprì una serie di dibattiti nell’ambito della paleontologia e della biologia evolutiva e si rivelò una valida interpretazione dei reperti fossili. Ad esempio l’interpretazione tradizionale della Sintesi Moderna richiedeva troppo tempo per lo sviluppo dei diversi phyla. Gould ha sottolineato con ironia:
“Così, Durham ha cercato di stimare l’età della comune discendenza per i Deuterostomi (il gruppo di animali che comprende gli Echinodermi e tutti i vertebrati superiori dai pesci all'uomo - Ndt) ordinando le specie una dietro l'altra secondo l'impostazione del gradualismo filetico. Indica 6 milioni di anni come ‘durata media della specie’ e stima dalle 100 alle 600 di tali durate impilate tutte su una linea per indicare gli antenati comuni degli echinodermi del Cambriano Antico e Medio. Lungo questa linea retta, si è costretti a posizionare l'antenato comune dei Deuterostomi oltre un miliardo di anni prima dell’inizio del Cambriano - un’età molto antecedente rispetto alla stima più generosa ora offerta per l’origine della cellula eucariota.”[20]
Abbiamo osservato prima che tutti gli scienziati hanno una ideologia che guida il loro lavoro. Il problema è che raramente ne sono a conoscenza. Gould ed Eldredge erano consapevoli del fatto che non avrebbero mai potuto elaborare la loro teoria senza una specifica concezione della società. È vero che, nel corso degli anni, Gould ha ridotto le conseguenze politiche della sua teoria, riflettendo la fase di riflusso generale che ha colpito gli intellettuali di sinistra. Tuttavia, la teoria di questi due scienziati ha rovesciato la tradizionale visione dell’evoluzione presentando un punto di vista dialettico. Gould ed Eldredge hanno sempre discusso i legami diretti e indiretti tra l’ideologia dominante e la scienza. Nel 1981, Gould pubblicò uno dei suoi libri migliori interamente dedicato a questo tema (Intelligenza e pregiudizio), in cui analizza splendidamente come l’ideologia dominante può distorcere la mente dello scienziato. Già nel 1977, i due avevano sottolineato che:
“La famosa dichiarazione attribuita a Linneo - natura non facit saltus - può riflettere un po’ di conoscenza biologica, ma rappresenta anche la traduzione in biologia dell’ordine, dell’armonia e della continuità che i governanti europei speravano di mantenere in una società già assalita da richieste di cambiamenti profondi.” (Ibidem).Nel 1977 resero un tributo diretto a Marx ed Engels, che merita di essere citata per intero:
“Karl Marx, che ammirava molto Darwin e una volta spiegò che L’origine delle specie conteneva ‘la base nella storia naturale per tutta la nostra visione’, sviluppò la stessa riflessione in una famosa lettera a Engels (1862):
“È notevole il fatto che, nelle bestie e nelle piante, Darwin riconosce la sua società borghese con la divisione del lavoro, la concorrenza, l'apertura di nuovi mercati, le “invenzioni” e la malthusiana “lotta per l'esistenza”. È il ‘bellum omnium contra omnes’ di Hobbes e fa ricordare Hegel nella Fenomenologia, dove raffigura la società borghese quale “regno animale ideale”, mentre in Darwin, il regno animale è raffigurato quale società borghese”.
Diciamo questo non per screditare Darwin in alcun modo, ma solo per sottolineare che anche le più grandi conquiste scientifiche sono radicate nei loro contesti culturali - e per sostenere che il gradualismo faceva parte del contesto culturale, non della natura.
Concezioni alternative del cambiamento hanno pedigree rispettabili in filosofia. Le leggi dialettiche di Hegel, tradotto in un contesto materialista, sono diventate ‘filosofia di stato’ ufficiale di molte nazioni socialiste. Queste leggi del cambiamento sono esplicitamente puntuazionali, come si addice a una teoria della trasformazione rivoluzionaria della società umana. Una legge, particolarmente sottolineata da Engels, sostiene che una nuova qualità emerge, con un salto, come lento accumulo di cambiamenti quantitativi, contro la lunga resistenza di un sistema stabile, e conduce infine rapidamente da uno stato all’altro (legge di trasformazione della quantità in qualità). Scaldando lentamente l’acqua la si trasforma alla fine in vapore; opprimere il proletariato sempre di più, garantisce la rivoluzione “(Ibidem).
Il ruolo di Stephen Jay Gould
Tutta la vita di scienziato di Stephen Jay Gould è stata volta a sviluppare le teorie di Darwin sull’evoluzione e ad arricchirle con il metodo dialettico. Non è possibile in un unico articolo toccare i suoi molteplici contributi alla scienza, ma vogliamo sottolineare che Gould è riuscito a esporre il carattere dialettico della natura non ideologicamente, ma trovando tale caratteristica nel modo in cui la natura evolve concretamente. Criticando gli scarsi risultati di Lassalle come teorico, Marx scrisse: “imparerà a sue spese che ben altra cosa è arrivare a portare per mezzo della critica una scienza fino al punto da poterla esporre dialetticamente, e un'altra applicare un sistema di logica astratta e bell’e pronto a presentimenti di un tale sistema”[21]. La teoria degli equilibri punteggiati è appunto una conquista del genere, una teoria che non impone la dialettica alla natura, ma giunge onestamente alla conclusione che è impossibile capire l’evoluzione senza dialettica.
Gli scienziati non possono isolarsi dalla società. Anche se molti di loro sembrano sopravvivere utilizzando un sano realismo, a dire il vero spesso approssimativo, sono vulnerabili all’ideologia dominante. È ovvio: in una società di classe, il controllo della scienza è nelle mani della classe dominante. Ciò comporta il controllo del finanziamento delle ricerche, dei programmi di formazione, del reclutamento e della carriera degli studiosi, così come delle informazioni e dei media. Non a caso la recente scoperta del bosone di Higgs è stata usata per parlare di religione (“la scoperta della particella di Dio”), come se le due cose fossero lontanamente legate. Allo stesso modo, la visione dell’evoluzione basata su un graduale cambiamento nelle frequenze geniche è stata usata per sostenere l’idea che tutto è determinato dai geni: le differenze sociali, la povertà, la disoccupazione, l’analfabetismo e così via. I ricchi sono migliori perché sono i più adatti a governare come le specie dominanti in natura. Del resto il leone non è “il re della foresta”?
Mentre la maggior parte degli scienziati pensa di poter fare a meno di analizzare le ideologie e le diverse opzioni politiche, e molti per convenienza abbracciano lo status quo, ci sono pensatori che abbracciano il marxismo come risultato delle loro ricerche. Come Engels ha rilevato molti anni fa, la scienza procede in modo dialettico. La classe dirigente non può accettarlo perché dialettica significa rivoluzione in natura come nella società. La teoria degli equilibri punteggiati, dando un’importanza fondamentale al cambiamento repentino, ossia alle rivoluzioni, in natura, è un attacco diretto all’ideologia dominante. Ciò è assolutamente chiaro agli ideologi borghesi che cercano di minimizzare la sua importanza e diffamare Gould e Eldredge per le loro idee.
Le rivoluzioni sono eventi rari in natura come nella società, ma segnano intere epoche. Ecco perché l’analisi delle rivoluzioni è il compito più importante della scienza, che si parli della Terra, degli animali o dell’uomo. Stephen Jay Gould ha avuto il merito di accettarlo e di non essere spaventato dalle rivoluzioni.
Grazie a lui, la nostra conoscenza dell’evoluzione animale ha fatto enormi passi avanti. Come marxisti, siamo orgogliosi dei risultati che ha raggiunto grazie all’influenza del marxismo. Il coraggio degli intellettuali è fondamentale per interpretare il mondo in cui viviamo, la classe operaia armata di idee rivoluzionarie è necessaria per cambiarlo.
Bibliografia
Darwin C., L’origine delle specie per selezione naturale, 1973, 1859
Dobzhansky T., What is a species?, “Scientia”, 1937
Eldredge N., Gould S. J., Punctuated equilibria: an alternative to phyletic gradualism, Models in Paleobiology, 1972
Eldredge N., Gould S. J., Punctuated equilibria: the tempo and mode of evolution reconsidered, Paleobiology, 1977
Gould S. J., Il pollice del panda, 1984
Grant E., Woods A., La rivolta della ragione, 1995
Mayr E., Speciational evolution or Punctuated equilibria, in The dynamics of evolution, 1992
Marx K., Miseria della filosofia, 1846
Marx K., Il capitale, 1867
Somit A., Peterson S. A., The Dynamics of Evolution: The Punctuated Equilibrium Debate in the Natural and Social Sciences, 1992
[1] C. Darwin, L’origine delle specie per selezione naturale, ediz. it., 1973, p. 43.
[2] Ibid., p. 44.
[3] Ibid., p. 177.
[4] Ibid., p.177.
[5] S. J. Gould, Il pollice del panda, Editori Riuniti, 1984, pag. 81.
[6] K. Marx, Manoscritti economico-filosofici del 1844, Einaudi, 1968, p. 124.
[7] Engels a Marx, 12 dicembre 1859, in K. Marx, F. Engels, Carteggio, Editori Riuniti, 1972, vol. III, p. 372.
[8] K. Marx, Il capitale, vol. I, p. 43.
[9] http://www.marxists.org/archive/marx/works/1883/death/burial.htm.
[10] Darwin a Marx, ottobre 1873 (http://www.darwinproject.ac.uk/entry-9080).
[11] Marx a Engels, 18 giugno 1862, in K. Marx, F. Engels, cit., vol. IV, p. 103.
[12] Marx a Engels, 7 agosto 1866, in K. Marx, F. Engels, cit., vol. IV, p. 440.
[13] Marx a Lassalle, 16 gennaio 1861.
[14] K. Marx, Il capitale, vol. I, cit., p. 212.
[15] K. Marx, Miseria della filosofia, Editori Riuniti, 1986, p. 78.
[16] A. Pannekoek, Marxism and Darwinism.
[17] T. Dobzhansky, What is a species?, 1937.
[18] E. Mayr, Speciational Evolution or Punctuated Equilibria, in Somit and Peterson, The dynamics of evolution, 1992.
[19] S. J. Gould e N. Eldredge, Punctuated Equilibria: an alternative to phyletic gradualism, 1972.
[20] S. J. Gould e N. Eldredge, Punctuated equilibria: the tempo and mode reconsidered, 1977.
[21] Marx a Engels, 1 febbraio 1858, in K. Marx, F. Engels, cit., vol. III, p. 166.
Source: Falce Martello (Italy)