L’annuncio di radicali misure di nazionalizzazione deve essere salutato con entusiasmo dai lavoratori di tutti i paesi. Rappresenta un grosso passo avanti per la rivoluzione venezuelana e infliggono un colpo serio al capitalismo e all’imperialismo.
Martedì 15 maggio, James Ingham, corrispondente della Bbc a Caracas ha pubblicato un articolo dal titolo “La nazionalizzazione si estende in Venezuela” che comincia così: “Gli investitori privati e l’opposizione politica lo odiano, i seguaci del presidente Hugo Chàvez lo adorano. Un'ondata di nazionalizzazioni e di minacce alle imprese private stanno cambiando il clima economico del Venezuela e minaccia di ampliare le tensioni e divisioni sociali. Chàvez sta intensificando la sua campagna per convertire il Venezuela in uno Stato socialista. Sta acquisendo maggiore controllo sui beni del paese e avvertendo che ne prenderà ancora di più sulle imprese che non sono d’accordo con la sua visione”.
Immediatamente dopo la sua rielezione il presidente ha annunciato un programma di nazionalizzazioni di largo respiro: “Tutto quello che è stato privatizzato sarà nazionalizzato”, ha affermato. E per ora sta tenendo fede alla parola.
Nazionalizzazione del petrolio
Il primo maggio, giornata dei lavoratori, è stato rilevato il controllo delle ultime imprese private petrolifere che rimanevano nel paese. Il presidente Chàvez, in mezzo alle ovazioni dei lavoratori durante la cerimonia all’impianto di lavorazione Josè Oil, ha detto: “Questa è la vera nazionalizzazione delle nostre risorse naturali… Oggi stiamo ponendo fine ad un ciclo perverso”. Il progetto della fascia dell’Orinoco, che si pone l’obiettivo di sviluppare una delle riserve petrolifere più grandi al mondo, era in precedenza controllato da sei imprese straniere: le statunitensi CoconoPhilips, Chevron e Exxon Mobil, insieme alla britannica Bp, la norvegese Statoil e la francese Total. Questi giganteschi monopoli stranieri si stavano preparando a raccogliere grandi profitti da questo affare. Ora l’impresa petrolifera statale Pdvsa controllerà almeno il 60% dei progetti i cui profitti rimarranno in Venezuela. Continuano le trattative con gli azionisti e la possibilità di indennizzo per le aziende estrattive.
E’accettabile da un punto di vista socialista arrivare ad accordi con i capitalisti stranieri o pagare indennizzi per le nazionalizzazioni? Questo dipende da vari fattori. All’inizio degli anni venti, Lenin era disposto a offrire concessioni ai capitalisti stranieri per sviluppare la Siberia visto che la giovane repubblica sovietica non era in grado di farlo. Ci furono anche trattative con capitalisti nord americani, fondamentalmente riuniti attorno all’imprenditore americano Arnold Hammer. Ma non se ne fece nulla visto che l’obiettivo degli imperialisti era distruggere lo stato sovietico e non commerciarci.
Allo stesso modo la questione degli indennizzi non è una questione di principio. Marx prese in considerazione la possibilità di comprare le proprietà dei capitalisti inglesi. Trotsky stesso valutò l’ipotesi che negli Stati Uniti sarebbe stato possibile pagare compensi ai capitalisti in cambio della rinuncia pacifica da parte di questi ultimi alle proprie aziende, limitando così al minimo l’eventualità di una reazione violenta. Quello che sicuramente non è tollerabile è l’idea riformista di comprare le industrie al valore di mercato, questo renderebbe impossibile tutto il principio delle nazionalizzazioni. Una rivendicazione plausibile sarebbe: nazionalizzazione con indennizzi minimi sulla base di comprovata necessità. Questo equivarrebbe a pagare una cifra base ai piccoli azionisti senza dare nulla ai “pesci grossi”.
Il Venezuela ha preso in considerazione accordi basati sul valore contabile dei progetti e non sul loro valore di mercato che sarebbe molto maggiore. In una prima fase questo potrebbe essere accettabile, perché il Venezuela ha in questo momento risorse considerevoli e grande liquidità, a condizione che le aziende siano consegnate allo stato senza indugio e senza alcun sabotaggio. Ma è da dubitare che queste condizioni siano accettabili per gli imperialisti e per le grandi imprese straniere. In ogni caso, fonti del governo hanno detto che in alcuni casi è possibile anche che non ci sia alcun indennizzo.
Il corrispondente della Bbc ha commentato in maniera acida: “Mentre Chavez proclamava nella cerimonia di trasferimento che aveva ridato il petrolio al popolo e liberato il Venezuela dall’imperialismo nord americano, gli scettici osservavano con preoccupazione. Gli analisti prevedono che Pdvsa avrà problemi a gestire questi difficili campi petroliferi. Dicono che senza l’esperienza e la conoscenza delle imprese private, la produzione crollerà”.
E’ la solita vecchia filastrocca che abbiamo ascoltato già tante volte! La borghesia non riesce mai ad accettare che sia possibile dirigere l’economia senza l’aiuto amorevole delle banche e dei capitalisti privati. Ma la storia dimostra qualcosa di diverso. L’esperienza dei primi piani quinquennali in Urss dimostra che non solo è possibile dirigere un enorme paese senza capitalisti, ma addirittura che l’economia nazionalizzata e pianificata, anche quando gestita su basi burocratiche, può dare risultati eccellenti. Per anni i propagandisti del capitale hanno diffuso tenacemente il mito che il capitalismo funzioni meglio dell’economia pianificata, e la favola che le meraviglie del mercato a lungo andare risolveranno i problemi, al che Keynes aggiungeva la sua famosa frase: “A lungo termine saremo tutti morti”.
Un semplice esempio storico è in grado di smantellare le tesi centrali degli apologeti del mercato. Nella seconda guerra mondiale quando gli eserciti di Hitler invadevano l’Europa e la Gran Bretagna si trovava sola con le spalle al muro, che cosa fece la borghesia britannica? Per caso disse che andava affidato tutto alle imprese private o alla “mano invisibile del mercato”? No! Centralizzò l’economia, introdusse elementi di pianificazione, razionalizzazione, di direzione del lavoro e oltre a questo furono nazionalizzati settori chiave dell’industria per la produzione bellica. Perché si comportò così? Perché si ottenevano risultati migliori.
L’applicazione dell’economia di mercato in America Latina si è dimostrata essere un vero disastro per le masse, le quali non hanno tratto beneficio dalla crescita economica dei decenni passati che invece ha fatto realizzare profitti enormi alle banche, ai capitalisti e soprattutto ai giganteschi monopoli stranieri come Exxon. La preoccupazione di lor signori non è che i venezuelani manchino di esperienza per sfruttare i campi petroliferi più difficili, ma che i proprietari di Exxon si vedano privati di questi grossi profitti.
Anche il corrispondente della Bbc si è visto obbligato ad ammettere che queste misure aiuteranno i settori più poveri della popolazione, la gente che ha votato Chàvez e che desidera un cambiamento radicale della società: “I poveri potranno trarne beneficio dato che i profitti saranno reinvestiti in progetti sociali”, ma aggiunge subito: “però c’è la preoccupazione che questo avvenga a spese degli investimenti a lungo termine. Le multinazionali possono rimanere soci minoritari ma se non ottengono un buon accordo nelle trattative sugli indennizzi se ne andranno”.
Tutto ciò è vergognoso. Queste multinazionali hanno saccheggiato per decenni la ricchezza petrolifera del Venezuela. Hanno estratto una quantità enorme di ricchezza a danno del popolo venezuelano. Per molto tempo non hanno nemmeno pagato alcuna forma di tassa. Ora, quando il popolo venezuelano sta prendendo ciò che è già suo, questi avvoltoi famelici pretendono di essere risarciti. Chi dovrebbe esigere un indennizzo è semmai il popolo venezuelano per tutta la ricchezza che hanno sottratto per decenni.
Le grandi imprese straniere stanno usando la questione dei risarcimenti per ricattare il Venezuela. Dicono fondamentalmente: “non possono impedirci di saccheggiarli. E’ un nostro diritto basilare e insistiamo per continuare così. Ce ne andremo dal Venezuela, cancelleremo tutti i contratti e taglieremo tutti gli investimenti stranieri. Organizzeremo un boicottaggio internazionale contro il Venezuela. Vi rovineremo. Vi priveremo del cibo a forza”.
La successiva impresa da nazionalizzare nella lista è la principale impresa di telecomunicazioni del Venezuela, Cantv, che è stata privatizzata nel 1991. Da allora i suoi proprietari hanno realizzato grandiosi profitti, ma la sua copertura non è mai arrivata nei luoghi più poveri del paese. La maggior parte dei venezuelani per telefonare dipende da phone center o da banchetti posti per strada con un cellulare attaccato a un tavolino dove i clienti pagano l’affitto del telefono.
A partire da giugno lo Stato prenderà il controllo dell’impresa, convertendola nelle stesse parole di Chàvez: “da un’impresa capitalista privata ad una impresa statale socialista”. Le lunghe code di persone che aspettano l’allacciamento del telefono a casa diventeranno un ricordo del passato. Si pianifica di installare più di un milione di nuove linee e ridurre il costo delle chiamate. Chàvez ha poi aggiunto: “Entro il 2011 ogni zona con più di 500 residenti avrà accesso alla linea di terra”.
Un’altra impresa che verrà nazionalizzata è la principale azienda fornitrice d’elettricità del paese, “Electricidad de Caracas”. Le fabbriche di cemento e acciaio che esportano buona parte della produzione sono anch’esse sulla lista di quelle da espropriare se non iniziano a vendere di più ai venezuelani. Ma la cosa più importante di tutte è che le banche, che finora si credevano al riparo, si trovano anch’esse davanti alla minaccia di nazionalizzazione.
Chavez ha detto recentemente: “i gruppi bancari privati devono dare priorità al finanziamento dei settori industriali del Venezuela a prezzi agevolati (…) Se i banchieri non sono d’accordo sarà meglio che se ne vadano, che mi consegnino le banche, che le nazionalizzeremo e otterremo che tutte le banche lavorino per lo sviluppo del paese, non per speculare e produrre enormi profitti”.
Le banche venezuelane hanno ottenuto nell’ultimo periodo profitti enormi. L’Economist (8/5/07) commentava: “Le banche avranno difficoltà per protestare o opporre resistenza, specialmente perché hanno registrato una importante crescita dei propri profitti, più del 33% nel 2006, grazie al boom di domanda di credito interno nel pieno di una rapida espansione economica (una media di crescita superiore al 12% negli ultimi tre anni). Anche senza nazionalizzazione, il governo potrà progettare altre riforme del settore che includano una restrizione dei profitti bancari (l’eccedenza che se ne trarrà andrà a sviluppare progetti sociali) e un controllo diretto sufficiente sugli interessi e l’assegnazione del credito”.
Anche se Chàvez ritira la nazionalizzazione delle banche e si limita ad effettuare questi controlli, questo renderà impossibile la gestione delle banche su basi capitaliste e per tanto alla fine porterà alla nazionalizzazione. La nazionalizzazione delle banche è assolutamente essenziale se il Venezuela vuole alla fine rompere con il capitalismo. Le banche sono uno strumento essenziale della politica economica e una leva poderosa. Il controllo del credito è un elemento essenziale di un’economia socialista pianificata e deve essere nelle mani dello Stato. Questo permetterà allo Stato di distribuire le risorse e investire in accordo con i bisogni generali della società, non per il profitto di un pugno di parassiti facoltosi.
Una questione di classe
Ingham riassume la reazione agli annunci di nazionalizzazione: “E’ un momento di nervosismo per gli investitori e le imprese private. All’opposto i milioni di persone su cui si basa il presidente e sull’aiuto economico fornito dal governo saranno contente che il denaro si trasferisca dai ricchi ai poveri”. Queste parole dette da un nemico della rivoluzione bolivariana e del socialismo esprimono in maniera adeguata la realtà del conflitto di classe che si è andato sviluppando in Venezuela per più di un decennio e che ora sta raggiungendo il punto critico. La questione della nazionalizzazione è il punto centrale in questo tappa critica e dalla sua soluzione dipende il futuro della rivoluzione.
I lavoratori, i contadini poveri del Venezuela, hanno accolto la notizia con giubilo, si rivolgono a Chàvez perché egli compia la propria promessa di rendere irreversibile la rivoluzione venezuelana. Questo può essere fatto solo mettendo in discussione il sacro diritto delle proprietà privata. Finchè il potere economico non viene strappato dalle mani dell’oligarchia controrivoluzionaria, la rivoluzione bolivariana non potrà mai trionfare e le conquiste della rivoluzione non saranno mai al sicuro. Ugualmente prevedibile è stata la risposta degli imperialisti di tutti i paesi. Si è prodotta un’ondata di proteste da tutte le parti. I mezzi di comunicazione sono pieni di storie stravaganti riguardo la minaccia di una “dittatura comunista” in Venezuela. Omettono il piccolo dettaglio che il presidente Hugo Chàvez nell’ultimo decennio ha vinto più elezioni, referendum e altre consultazioni elettorali che qualsiasi altro leader politico del mondo. Nelle elezioni presidenziali tenutesi lo scorso dicembre ha ottenuto la maggiore vittoria elettorale della storia venezuelana.
“Democratici” come George W. Bush e Tony Blair sono favorevoli alla democrazia solo quando non minaccia gli interessi dei banchieri, dei latifondisti e dei capitalisti. Ma quando il popolo sceglie un governo che cerca di cambiare la società e mette in discussione la ricchezza e i privilegi delle classi dominanti, il loro comportamento cambia immediatamente. Nell’aprile del 2002 la Cia organizzò un colpo di Stato in Venezuela che avrebbe portato al potere una dittatura sanguinaria come quella di Pinochet in Cile. Il giorno dopo il golpe il governo di Washington aveva riconosciuto il nuovo governo diretto dall’imprenditore Carmona, che non era mai stato eletto da nessuno. Queste sono le credenziali “democratiche” dell’imperialismo nord americano.
Quello che realmente li preoccupa è che per portare avanti la rivoluzione bolivariana, Hugo Chàvez stia cominciando ad adottare misure audaci contro la proprietà privata, nazionalizzando imprese e terreni che appartengono alla oligarchia venezuelana e alle grandi transnazionali straniere. Sono terrorizzati di fronte alla possibilità che questo esempio sia seguito da altri paesi (e questo sta già succedendo) e che i lavoratori europei e degli Usa inizino a esigere misure simili contro le grandi imprese che sfruttano i lavoratori per ricavare enormi profitti, danneggiando l’ambiente con fughe di petrolio e altre forme di inquinamento, con chiusure di fabbriche come se si trattasse di scatole di cerini per ottenere il massimo dei guadagni saccheggiando i paesi poveri.
Il clamore sulla “libertà di stampa”
La reazione dei mezzi di comunicazione occidentali è particolarmente ripugnante. Nel momento in cui scrivo sono a Città del Messico, dove i canali televisivi stanno trasmettendo ogni mezz’ora le rumorose proteste contro il mancato rinnovo della licenza di trasmissione a Rctv, presentandola come un attacco alla “libertà di espressione”. Il canale televisivo in questione ha portato avanti per anni una propaganda durissima e piena di falsità contro il Governo, includendo attacchi personali contro il presidente, calunniandolo in continuazione, descrivendolo come un pazzo e anche peggio. Ha rivolto appelli ripetuti al rovesciamento in maniera violenta del governo e all’assassinio di Hugo Chàvez.
Non abbiamo a che fare con un gruppo innocente di giornalisti televisivi che difendono la libertà. Tutto al contrario, questo canale radiotelevisivo per molto tempo è stata al centro di un complotto controrivoluzionario con il fine di destabilizzare e abbattere un governo scelto liberamente dal popolo. Nell’aprile del 2002 è stata il vero centro organizzativo del colpo di stato, facendo appello ai venezuelani perché appoggiassero il golpe, pubblicando notizie false rispetto ad un presunto massacro organizzato dal governo. Si rifiutavano categoricamente di dare la parola ai ministri per difendere le proprie argomentazioni in televisione.
In altre parole, è stata uno dei punti nevralgici della preparazione del golpe che aveva come obiettivo la creazione di una dittatura in Venezuela la quale sarebbe costata innumerevoli vite umane. E’ stata uno dei principali strumenti dell’oligarchia e della Cia. In qualsiasi altro paese quest’emittente sarebbe stata chiusa da tempo e i suoi direttori portati davanti ad un tribunale. In Venezuela non è stato arrestato nessuno, cosa che sarebbe dovuta avvenire, e si è permesso al canale di continuare le trasmissioni fino alla scadenza naturale della licenza. Le autorità hanno correttamente negato il rinnovo di tale licenza, e dal punto di vista legale hanno tutto il diritto di farlo. Questo è tutto. Pertanto tutto il rumore e la rabbia sollevata dalla stampa padronale sul presunto attacco alla libertà di stampa in Venezuela dovrebbero essere respinte con disprezzo per tanta falsità e ipocrisia.
Con questa campagna insistente dei mezzi di informazione non riusciranno ad ingannare i lavoratori del mondo. Quest’ultimi comprenderanno che cosa è in gioco, una lotta per la vita o la morte tra classi antagoniste, che si sta sviluppando su scala mondiale. Comprenderanno subito il fatto che la stessa stampa padronale, che mente e calunnia sistematicamente i lavoratori quando entrano in sciopero per la difesa dei propri interessi contro i padroni, ha le proprie ragioni ed interessi per attaccare Chàvez e il Venezuela e che queste ragioni ed interessi non hanno niente a che vedere con quello che viene scritto sui giornali.
Rivoluzione latinoamericana
Le masse si stanno risvegliando in tutta l’America Latina. In Ecuador c’è stata l’elezione di Rafael Correa, che afferma di seguire il modello di Chàvez. E’impegnato in una battaglia contro il Congresso e ha l’appoggio dell’80% della popolazione. In Bolivia Evo Morales, incoraggiato dalle nazionalizzazioni in Venezuela, sta ponendo la questione della nazionalizzazione delle risorse del paese:
“I governi neoliberisti svendono colline, fiumi e concessioni minerarie. Dobbiamo cominciare a recuperare queste concessioni” è quello che ha detto Morales prima di cominciare il processo di nazionalizzazione dell’industria del gas. Come in Venezuela il governo boliviano si è scontrato con la feroce resistenza dell’oligarchia, con Washington e le grandi imprese transnazionali che vi stanno dietro. Il corrispondente della Bbc a Caracas esprime le paure degli imperialisti:
“I cambiamenti in Venezuela si stanno riflettendo su tutta l’America Latina. Gli alleati di Chàvez in Bolivia e Ecuador stanno facendo mosse simili”.
In Bolivia l’impresa statale d’energia Ypfb ha detto che prenderà il controllo della produzione e della distribuzione del petrolio e del gas del paese. Il primo maggio di quest’anno Morales nel suo discorso ha promesso di realizzare un controllo maggiore sull’economia e sulle imprese straniere:
“Se vogliamo veramente vivere in una Bolivia che conservi la propria dignità dobbiamo percorrere il sentiero dell’antiimperialismo, dell’antiliberismo e dell’anticolonialismo”.
Il governo sperava di terminare la nazionalizzazione delle telecomunicazioni entro il primo maggio, ma le trattative con Telecom Italia che possiede la metà della principale impresa di telecomunicazioni sono attualmente impantanate. Telecom ha detto la scorsa settimana che sta considerando di rivolgersi ad un arbitrato internazionale per la vendita di Entel, dopo che la Bolivia avrà approvato due decreti finalizzati a rinazionalizzare l’impresa. Gli imperialisti ricorrono a qualsiasi trucco e manovra per frustrare la volontà del popolo e sabotare i suoi tentativi di recuperare il controllo delle risorse naturali. Ma il movimento di nazionalizzazione continuerà la propria ascesa, sotto l’esempio del Venezuela. Agli occhi di Washington si tratta di un tentativo di Chàvez di esportare la rivoluzione.
Il lancio di Telesur, un canale televisivo per tutta l’America Latina che trasmette da Caracas a milioni di persone di tutto il continente e oltre, è stata una risposta diretta al controllo dell’etere che l’imperialismo statunitense esercita attraverso la Cnn. Chavez ha detto anche che vuol far uscire il Venezuela dall’Fmi e dalla Banca Mondiale. Ha detto che ha ordinato al ministro dell’Economia, Rodrigo Cabezas, di cominciare a intraprendere i passi formali per il ritiro da questi due organismi internazionali. Il presidente Chàvez ha poi parlato del suo desiderio di creare quello che chiama la Banca del Sud, appoggiata dalle riserve del petrolio venezuelano, che finanzierà progetti nell’America del Sud. Anche questo passo sarà visto come una minaccia per il dominio completo che l’imperialismo ha oggi sopra il continente attraverso gli istituti finanziari. L’esempio è contagioso. In Nicaragua Ortega ha detto che sta negoziando con l’Fmi per “abbandonare il Fondo” e che sperava di “uscire dalla prigione” del debito dell’Fmi.
Gli strateghi dell’imperialismo sono arrivati alla stessa conclusione di noi marxisti: le condizioni sono mature per un movimento rivoluzionario generalizzato in America Latina che avrà enormi conseguenze negli Stati Uniti e su scala mondiale. L’occhio del ciclone si trova in Venezuela dove, dopo un decennio di lotta, la rivoluzione sta raggiungendo un punto di non ritorno.
Qua in Messico le misure annunciate da Chàvez hanno reso nervosa la classe dominante, che ha già dovuto fronteggiare una ribellione di massa che non è ancora cessata dalla frode elettorale dello scorso anno. Un amico messicano mi ha detto: “Non c’è da stupirsi. Stanno attaccando il governo Chavez ogni mezz’ora su tutte le reti e difendendo i giornalisti venezuelani come se stessero parlando di avvenimenti che hanno luogo qua in Messico”. Queste parole vanno al nocciolo della questione. C’è una ragione chiara per la ferocia di questi attacchi contro il Venezuela da parte degli imperialisti e delle loro marionette in America Latina. Temono giustamente che la rivoluzione venezuelana non si arresti alla frontiera ma si estenda a tutti i paesi. Le ultime nazionalizzazioni rappresentano un esempio che altri vorrebbero seguire. Questo ha fatto squillare i campanelli d’allarme nei palazzi del potere da Washington a Città del Messico e ancora più in là.
In Messico Calderòn è arrivato al potere l’anno scorso grazie a brogli elettorali, dopo una protesta massiccia a cui hanno partecipato milioni di lavoratori e contadini. Il 31 luglio tre milioni di persone sono scese in piazza perché fosse riconosciuta la vittoria elettorale del candidato del Prd, Lopez Obrador. A Oaxaca c’è stata un’insurrezione che è durata mesi, con la creazione di un Soviet (la Appo), una milizia popolare e l’occupazione della televisione.
L’insurrezione di Oaxaca è stata schiacciata con la forza bruta, con centinaia di arresti ed un numero ancora non precisato di persone assassinate dalle forze dell’ordine. Naturalmente non è apparsa una sola parola di tutto questo sulla nostra “stampa libera”, che inizia a parlare di dittatura solo quando gli interessi dei ricchi sono minacciati. Tutti sanno che in Messico Lopez Obrador ha vinto le elezioni e che Calderon non è stato eletto democraticamente. Ma Washington e Londra riconoscono Calderòn e cercano di tenerlo al potere con tutti i mezzi, e nonostante questo non vi riusciranno.
Il movimento in Messico non è terminato. È solo cominciato. Il 2 maggio c’è stato uno sciopero generale che ha raggiunto dimensioni enormi. Si è creato un comitato nazionale di sciopero per organizzarne un altro. C’è fermento nei sindacati dove i dirigenti filopadronali dell’ala destra sono continuamente sconfessati dalla base. Tutta la situazione è esplosiva. È poi così strano che la classe dominante messicana e i suoi compari a Washington siano così terrorizzati da quello che sta succedendo in Venezuela?
Senza dubbio le opzioni di cui dispone l’imperialismo sono ad oggi molto limitate. L’imperialismo statunitense con tutta la sua ricchezza ed il suo potere miliare si trova paralizzato. In passato sarebbe intervenuto direttamente inviando i propri marines. Ma attualmente questo non è possibile. Gli Usa sono impantanati in una guerra impopolare e che non possono vincere in Iraq. Bush è al momento attuale il presidente più impopolare della storia degli Usa. L’opposizione alla guerra cresce a tutti i livelli. E’ impensabile che anche uno stupido come Bush possa lanciarsi in un’altra avventura militare in America Latina.
C’è ancora la possibilità di assassinare Chàvez, scelta che da qualche tempo è studiata e preparata dalla Via. Ma anche questa opzione contiene dei pericoli. Provocherebbe un’ondata di rabbia in America Latina e in tutto il mondo, a partire dal Venezuela, dove la prima contromisura sarebbe sospendere qualsiasi invio di petrolio agli Usa. La rabbia popolare sarebbe tale che in tutto il continente non rimarrebbe in piedi nemmeno un’ambasciata statunitense. Il rancore contro gli Usa durerebbe per decenni portando con sé altre insurrezioni e esplosioni.
“L’appetito vien mangiando”
C’è un vecchio motto che dice: “l’appetito vien mangiando”. Un numero crescente di lavoratori venezuelani sta facendo pressioni per il controllo operaio e la nazionalizzazione. E’ il caso di Inveval dove i lavoratori hanno già occupato la fabbrica e la dirigono con successo sotto il controllo operaio. Lo stesso accade con Sanitarios Maracay, come già abbiamo spiegato in articoli precedenti. Questa e altre fabbriche hanno organizzato il Freteco, il fronte delle fabbriche occupate, che sta estendendo la propria influenza e accelerando la campagna per la nazionalizzazione. Le dichiarazioni del presidente daranno un nuovo impulso a questo movimento.
Sidor è la maggiore acciaieria della regione andina con una capacità produttiva di 4,2 milioni di tonnellate all’anno. Sidor produce cavi e tubi, tubi del tipo necessario all’economia venezuelana, e secondo lo stesso rapporto aziendale il 63% della produzione è diretto al mercato venezuelano e il 37% all’export. La compagnia era statale dalla sua nascita nel 1962 finchè nel 1998 non è stata privatizzata. Il 60% delle azioni fu acquisito da un consorzio chiamato Amazonia, formato dall’argentina Techint come partner maggioritario, dalla messicana Hylsamex, la brasiliana Uniminas e l’impresa venezuelana Sivensa come partner minoritario. Il Governo venezuelano deteneva il 20% delle azioni ed il resto era dato ai lavoratori.
Chris Carlson ha riportato in Venezuelanalysis.com che il 9 di maggio a Mèrida si sono tenute proteste fuori dallo stabilimento della Sidor di Puerto Ordaz, sulla base della richiesta che il governo nazionalizzasse l’azienda. I lavoratori della Sidor si sono radunati fuori dallo stabilimento, bloccando il traffico e impedendo l’accesso allo stabilimento sin dal primo mattino.
Chavez ha chiarito che avrebbe nazionalizzato la compagnia se questa non avesse soddisfatto la domanda interna invece che esportare, anche se sembra che al momento l’azienda rimarrà in mani private.
“Noi lavoratori stiamo chiedendo una risposta definitiva alla situazione”, ha detto Ulmaro Ramos, segretario del sindacato su una radio locale. Un portavoce del sindacato ha affermato che i lavoratori sono favorevoli alle dichiarazioni del presidente rispetto alla nazionalizzazione dell’azienda.
“Appoggiamo le dichiarazioni del presidente riguardo alla possibilità di liberare l’azienda che è stata sotto il giogo della schiavitù del capitalismo neoliberale nel corso degli ultimi 8 anni” ha dichiarato Josè Melèndez, membro dell’organizzazione sindacale “Alianza Sindacal” della Sidor. Melèndez ha spiegato come al momento della privatizzazione la compagnia avesse 11.600 lavoratori mentre ora ne sono rimasti solo 5.700 che vengono “sfruttati senza nessun beneficio”.
“Non siamo divisi e siamo totalmente favorevoli al fatto che il presidente decreti il controllo dell’azienda in modo tale che possa essere data in controllo ai lavoratori” ha ribadito Melèndez.
E ora?
Chavez ha mostrato come sia possibile utilizzare le istituzioni della formale democrazia borghese per mobilitare le masse per la trasformazione. Ha portato avanti una politica intelligente che gli ha permesso di vincere un’elezione dopo l’altra basandosi su un programma di rivendicazioni democratico borghesi e riforme che non andavano contro il capitalismo ma che hanno avuto un ruolo nell’aggregare e organizzare milioni di lavoratori e contadini per cambiare la società.
Queste vittorie hanno demoralizzato e smobilitato le forze della controrivoluzione. L’opposizione che ha fatto ogni possibile tentativo per mobilitare le proprie forze per contrastare Chàvez a dicembre è ora divisa senza speranze e disorientata. L’ambiente tra le forze di destra è di depressione e disfattismo. L’opposizione ora non ha rappresentanza nell’Assemblea Nazionale in conseguenza della loro decisione di boicottare le elezioni del 2005. La vittoria schiacciante di Chàvez (che neanche gli osservatori internazionali hanno messo in dubbio) gli dà una mano importante per spingersi più in là adottando un programma socialista. Lo sta facendo e gliene andrebbe dato atto.
Comunque la rivoluzione non ha ancora raggiunto il punto critico, quello in cui la quantità si trasforma in qualità. Forze potenti sono al lavoro per fermare la rivoluzione e indebolirla e sabotarla dall’interno. Le forze controrivoluzionarie della borghesia sono attualmente troppo deboli per portare avanti questo compito. Un simile lavoro può essere svolto solo dalla burocrazia bolivariana – la destra che rappresenta una quinta colonna dei controrivoluzionari dentro il Movimento e che lavora costantemente per isolare il presidente e sabotarne i decreti.
Il Venezuela non ha ancora rotto con il capitalismo ed il paese è come se si trovasse in mezzo al guado. Ci sono grossi pericoli in una situazione del genere. Non è possibile fare la rivoluzione a metà. Il rischio consiste nel fatto che introducendo alcune misure di nazionalizzazione e di carattere progressista Chavez renda impossibile il normale funzionamento del capitalismo senza aver dato vita ai necessari meccanismi di pianificazione e controllo che sono condizione prioritaria per un’economia socialista pianificata.
Ci sono segnali preoccupanti di come non tutto sta andando bene sul terreno economico. L’inflazione sta crescendo, cosa che va a colpire i settori più poveri della popolazione, mentre c’è scarsità di beni di prima necessità a diversi livelli. I capitalisti stanno rispondendo con lo sciopero dei capitali e ci sono ampi segni di sabotaggio, fenomeni di corruzione e di burocratismo.
L’Economist scrive: “Con un inaspettato aumento dell’esportazione di petrolio – il petrolio ha raggiunto quasi i 59 dollari al barile nel 2006 – e l’aumento delle riserve straniere, l’amministrazione Chavèz ha goduto di un afflusso continuo di fondi. Pur tuttavia, quando tutto questo viene a combinarsi con i suoi impegni di spesa, specialmente con i costosi programmi sociali ed i sussidi, questo metterà sotto crescente pressione un deficit di bilancio che si sta già allargando. Il deficit era dell’1,8% del Pil nel 2006 e la commissione di bilancio ritiene che crescerà al 4,9% quest’anno (ma la vera situazione fiscale è ancora peggiore, perché alcune spese sono tolte dal bilancio attraverso le casse delle compagnie petrolifere nazionalizzate e il fondo nazionale di sviluppo). La stessa crescita del Pil sta rallentando – al 5,8% quest anno e al 3,2% nel 2008, secondo le nostre previsioni."
La radicalizzazione politica sotto Chavez, unita ai segni di crescente affaticamento dell’economia –riflessa non solo in un deterioramento delle finanze pubbliche e in un rallentamento della crescita ma anche in una persistente inflazione a due cifre, uno dei tassi più alti di tutta l’America Latina - sta generando timori crescenti tra gli investitori. L’indice della borsa di Caracas è stato in ribasso negli ultimi giorni. Gli investimenti diretti privati stanno calando da diversi anni, e questo trend si è ulteriormente accentuato dallo scorso gennaio. L’investimento diretto straniero è stato negativo lo scorso anno. La riduzione degli investimenti rallenterà presto la crescita del Pil nel medio termine.
Oltre tutto, il prezzo da pagare per il dollaro sul mercato nero è cresciuto verticalmente indebolendo il bolivar fino alla cifra di 3.950 bolivar per un dollaro (con un tasso ufficiale di cambio di un dollaro per 2.150 bolivar), quasi al punto minimo di cambio raggiunto lo scorso gennaio di circa 4000 bolivar per un dollaro. Questo significa una pressione costante sul governo per svalutare il tasso di cambio ufficiale, nonostante quest'ultimo sia riluttante a farlo dato che il tasso di inflazione annuale si avvicina già al 20%”.
Noi sosteniamo in maniera calorosa le nazionalizzazioni. Ma dobbiamo insistere comunque sul fatto che la nazionalizzazione deve andare di pari passo con controllo e democrazia operaia. L’economia deve essere diretta dai lavoratori per i lavoratori e seri provvedimenti devono essere presi per fermare l’avanzata del controllo burocratico. Dobbiamo anche evidenziare che pure a questo stadio il processo rivoluzionario non è concluso. E’ completamente falso sostenere, come fanno burocrati e riformisti, che dobbiamo procedere in maniera lenta e graduale per non far arrabbiare e provocare l’imperialismo. I borghesi sono già arrabbiati a sufficienza e gli imperialisti sono stati già provocati abbastanza.
Rimandare l’inevitabile scontro tra le classi, può solo fornire più tempo alle forze controrivoluzionarie per riaggregarsi e riorganizzare nuovi attacchi contro la rivoluzione. Inoltre, questione ancora più seria, permettendo ai capitalisti di continuare il loro sabotaggio, creando artificialmente la mancanza dei generi di prima necessità e disorganizzando la produzione, c’è il pericolo che le masse si stanchino di subire tante privazioni, cadano nell’apatia e nell’indifferenza. Questo è esattamente quello che vogliono i reazionari. Una volta che i rapporti di forza volgono a sfavore della rivoluzione, i controrivoluzionari colpiranno ancora. E hanno molti alleati nascosti nell’ombra della direzione del movimento bolivariano che non desiderano altro che fermare la rivoluzione e aspettano il momento opportuno per rivoltarsi contro il presidente. Il pericolo è ancora presente. Per questo dobbiamo agire con urgenza e affrontare il problema alla radice.
La lotta contro la burocrazia
Il destino finale della Rivoluzione bolivariana sarà deciso attraverso una lotta interna per epurare il movimento da elementi di classi aliene e trasformarlo in uno strumento adeguato al cambiamento della società. Il lancio del Partito Socialista Unificato (Psuv) fornisce ai lavoratori rivoluzionari, ai contadini e ai giovani la possibilità di farlo. Devono costruire il partito e reclutare nuovi settori di rivoluzionari dalle masse ed orientarli in maniera totale alla causa del socialismo. Devono denunciare e cacciare gli elementi corrotti, carrieristi e burocrati che si sono uniti al movimento solo per curare meglio i propri interessi e che tradiranno non appena se ne presenta l’occasione.
Il nuovo partito può diventare un partito operaio sano solo se è scrupolosamente democratico. La base deve decidere tutte le questioni e la direzione deve essere eletta, revocabile e composta da elementi di comprovata onestà e dedizione alla causa del socialismo e della classe operaia.
I sindacati sono il fattore chiave dell’equazione. I marxisti lottano per l’unità sindacale, mentre allo stesso tempo si battono per un movimento sindacale militante e democratico. I sindacati devono appoggiare le misure progressiste del governo, specialmente le nazionalizzazioni, e lottare per estendere i provvedimenti che migliorano gli standard di vita delle masse e che colpiscono l’oligarchia. Ma i sindacati devono mantenersi totalmente indipendenti dallo Stato. Solo sindacati liberi e indipendenti possono difendere gli interessi dei lavoratori e contemporaneamente difendere il governo rivoluzionario dai propri nemici. I due nemici gemelli sono l’opportunismo ed il settarismo. La lotta contro l’opportunismo consiste da una parte nella lotta contro la corruzione, carrierismo e burocratismo, e dall’altro lato, nella lotta contro idee aliene che sono penetrate nel movimento e specialmente settori della direzione, che si è piegata all’influenza del riformismo e che ha abbandonato la via rivoluzionaria.
Che cosa significa questo?
Dal punto vista della classe operaie l’importanza di questi sviluppi è ovvia. Dalla caduta dell’Unione Sovietica, la borghesia ha organizzato una campagna furiosa contro le idee del socialismo e del marxismo. Hanno solennemente proclamato la fine del comunismo e del socialismo. Erano così sicuri di sé da proclamare addirittura la fine della storia. Ma la storia non è finita. E’ appena appena cominciata.
Dopo un decennio e mezzo, i lavoratori a livello mondiale possono vedere la cruda realtà della dominazione capitalista. Ci hanno promesso un mondo di pace, prosperità e democrazia. Ora tutte le illusioni della borghesia sono in frantumi. Un numero crescente di persone si sta rendendo conto del fatto che il capitalismo non offre alcun futuro all’umanità.
Ci sono segnali di risveglio ovunque: lavoratori, contadini e giovani si sono messi in marcia. L’idea che la rivoluzione ed il socialismo non siano più all’ordine del giorno è stata smentita dai fatti. La rivoluzione è cominciata in Venezuela e si sta diffondendo in tutta l’America Latina, come quando si tira un sasso molto pesante in uno stagno. Le “onde” della rivoluzione stanno iniziando ad essere percepite in Usa e in Europa. In Pakistan, India, Russia ed Ucraina, la gente si chiede cosa stia accadendo in Venezuela e che significato abbia.
Non è necessario concordare al cento per cento con Hugo Chavez o idealizzare la rivoluzione bolivariana per capire la portata colossale di questi avvenimenti. Qua per la prima volta da decenni, un importante leader mondiale ha proclamato il bisogno del socialismo internazionale e condannato il capitalismo come sinonimo di schiavitù. Ha parlato di fronte a milioni di persone della necessità di leggere Marx, Lenin, Rosa Luxemburg e Trotsky.
Chavez ha soprattutto mobilitato milioni di lavoratori, contadini e giovani sotto la bandiera della rivoluzione socialista. E sta cercando di portare avanti un programma di nazionalizzazione che, se portato a termine, significherà la vittoria della rivoluzione socialista in un paese chiave dell’America Latina e il propagarsi della rivoluzione all’intero continente e non solo.
Il significato di tutto questo non sfugge agli imperialisti che stanno facendo tutto quanto è nelle loro possibilità per distruggere la rivoluzione. Stanno mobilitando forze potenti per porre fine alla rivoluzione venezuelana. I lavoratori su scala mondiale devono mobilitarsi nell’ambito di un potente movimento operaio internazionale per fermarli.
Difendi la rivoluzione venezuelana!
Viva il socialismo!
Giù le mani dal Venezuela!
Città del Messico, Venerdì 18 Maggio, 2007