Quali sviluppi futuri nella crisi ucraina?

Negli occhi abbiamo ancora tutti le immagini dell'incendio alla Casa dei sindacati di Odessa, ad opera dei neonazisti del Pravij Sector, dove decine di uomini e donne, giovani e anziani, hanno trovato la morte, arse vive. Alcuni pare, siano stati giustiziati sommariamente prima che venisse appiccato il fuoco.

È sicuramente l'episodio più terribile dall'inizio conflitto in Ucraina, la cui responsabilitùà è da attribuire al governo di Majdan e all'imperialismo occidentale, che non solo hanno lasciato mano libera, ma hanno addirittura integrato nell'apparato dello stato le forze paramilitari dell'estrema destra.

Un episodio che fa sprofondare ancora di più l'Ucraina verso il baratro della guerra civile. In questo contesto, è tutta da valutare l'efficacia delle aperture fatte da Putin ieri, tra cui il ritiro delle truppe russe dai confini con l'Ucraina e la richiesta ai ribelli delle regioni orientali di posticipare il referendum separatista, previsto per l'11 maggio prossimo. Finora gli Usa e i loro alleati a Kiev hanno sempre respinto ogni proposta di mediazione che non fosse alle loro condizioni.

A 24 ore dalle celebrazioni del giorno della vittoria dell'Urss sul nazismo nella Seconda guerra mondiale, l'articolo di Alan Woods e Francesco, scritto una settimana fa, sviluppa un'analisi approfondita degli avvennimenti e, delineando la necessità della difesa di una posizione di indipendenza di classe, conserva tutta la sua validità.

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In un raro momento di sincerità, ieri, (30 aprile, ndt) il presidente ucraino ad interim Turchynov ha ammesso che le proprie forze sarebbero state “troppo deboli” per sedare i disordini nell’Ucraina dell’est, data l’ascesa dell’insurrezione filo-russa. Ha ammesso anche che le forze di sicurezza ucraine non erano affidabili e che “qualcuna di queste unità ha dato aiuto o collaborato coi gruppi terroristici”. Ormai l’obiettivo è quello di impedire che l’insurrezione filo-russa si diffonda alle regioni del Kharkiv e ad Odessa. Il che equivale praticamente ad una dichiarazione di sconfitta.

 Non sono passate nemmeno due settimane dallo “storico” accordo di Ginevra del 17 aprile tra il governo ucraino, la Russia, l’Unione Europea e gli Stati Uniti. Accordo che è stato salutato dai media occidentali con un sospiro di sollievo collettivo e accolto come una svolta nella risoluzione della crisi ucraina. In realtà dietro questa ondata propagandistica di falso ottimismo, non si può non accorgersi del nervosismo dei funzionari americani e del sorriso beffardo dei loro omologhi russi. Non c’è stato infatti nessun accordo, se non quello per cui gli USA abbandonano ogni rivendicazione rispetto all’annessione della Crimea alla Russia, che è ormai un fatto assodato.

Gli scoppiettanti proclami del tipo: “ci saranno conseguenze” di John Kerry si sono dimostrati solo un mucchio di aria fritta. Da stratega consumato, Putin sta muovendo i propri pezzi sulla scacchiera della diplomazia con l’abilità di un Gran maestro. I punti segnati dalla diplomazia russa nel gioco di potere che si sta svolgendo in Ucraina stanno mettendo a dura prova la pazienza degli imperialisti statunitensi, che si sono messi in una posizione insostenibile. Le loro minacce vuote non scoraggiano la Russia perché non sono mai state sostenute da fatti concreti.

Sembra incredibile che gli Americani abbiano potuto pensare di sedersi al tavolo delle trattative a Ginevra, scambiare sorrisi e conversazioni educate con la controparte e ottenere con i mezzi della diplomazia quello che non sono stati in grado di ottenere sul campo. Questa sciocca illusione è frutto di una grossa sottovalutazione sia della determinazione di Mosca che del vero equilibrio di forze in Ucraina. In conclusione, l’accordo è stato ridotto a carta straccia ancor prima che l’inchiostro si fosse asciugato.

L’accordo raggiunto a Ginevra proclamava a gran voce che tutti gli edifici occupati dai rivoltosi filo-russi nell’Ucraina dell’est avrebbero dovuto essere sgomberati e che i gruppi armati avrebbero dovuto consegnare le armi. Un discorso davvero combattivo! Tuttavia non c’era nemmeno una piccola nota su chi avrebbe dovuto mettere in pratica questa decisione ed infatti non è mai stato fatto

Poche ore dopo questo annuncio, Denis Pushilin, il capo dell’autoproclamata Repubblica Popolare di Donetsk, ha fatto spallucce e ha respinto l’accordo sulla base del fatto che il governo di Kiev è illegittimo, e aggiungendo con una buona dose di ironia che sarebbero stati felici di rispettare l’accordo una volta che il governo avesse sgomberato gli edifici illegalmente occupati a Kiev. Lo stesso spirito di sfida ha risuonato in tutti gli avamposti ribelli nell’area di Donetsk, incoraggiato dalle vittorie ottenute sul campo.

L’umiliante sconfitta dell’esercito ucraino

Quello che il teatrino di Ginevra ha cercato di coprire è stato il fallimento imbarazzante del governo ucraino nel tentativo del 16 aprile di riconquistare il controllo degli avamposti ribelli a Sloviansk e Kramatorsk. Tentativo arrivato dopo giorni di ultimatum mai fatti rispettare. La massiccia campagna propagandistica del governo volta a dimostrare che dietro l’insurrezione nelle regioni orientali ci siano “milizie terroriste” e il diretto coinvolgimento della Russia gli si è evidentemente ritorta contro. Può avere avuto all’inizio l’effetto di montare un’isterica combattività in una minoranza dell’opinione pubblica nazionalista ucraina. Ma questa si è sgonfiata rapidamente e si è trasformata in rabbia e frustrazione verso il manifesto fallimento del governo nel far seguire a queste dure parole fatti altrettanto duri.

Dall’altra parte invece i messaggi minacciosi lanciati da Kiev hanno avuto un effetto elettrizzante sulla popolazione del Sud-Est dell’Ucraina. Gli abitanti di quella zona prevalentemente russofona sono stati allarmati dall’implicita minaccia di un attacco da parte di un esercito agli ordini di un governo che la maggior parte di loro considera illegittimo. Ma i giorni sono passati e la cagnara bellicosa di Kiev non si è tradotta in alcuna azione concreta. Chiaramente il governo ha ritenuto di non potere fare affidamento sui propri soldati per fare il lavoro sporco nel Sud-Est. Gli avvenimenti successivi hanno dimostrato che questo timore era ben fondato.

Alla fine le truppe e i veicoli blindati ucraini hanno tentato di entrare nelle due città alle prime luci dell’alba del 16 aprile. Ma quella che voleva essere una dimostrazione di forza si è immediatamente trasformata in una dimostrazione di debolezza. I veicoli blindati sono stati circondati dalla popolazione arrabbiata, con urla di sfida e insulti ai confusi e avviliti soldati ucraini.

Il comandante di un carroarmato è stato visto fare una telefonata disperata al proprio comandante: “Sono circondato da un gran numero di persone. Cosa dovrei fare?”. Non si sa cosa abbia risposto il comandante, ma non è stato sparato nemmeno un colpo e alla fine i veicoli blindati sono stati lasciati alla folla festante. Un soldato ucraino ha gridato dalla sommità di un carro armato “Io sono contro tutto questo”, saltando giù dal veicolo e unendosi ai dimostranti. I suoi commilitoni hanno ben presto seguito il suo esempio e in pochi minuti la dimostrazione di forza era bella che finita.

Che le forze armate ucraine siano preparate ad affrontare un’invasione russa resta da vedere, ma i soldati semplici ucraini non sono certi preparati ad aprire il fuoco contro la loro stessa gente. Per tutta la mattinata sono stati diffusi in rete da giornalisti indipendenti resoconti e video che mostrano soldati ucraini demoralizzati che abbandonano armi e carriarmati e se ne vanno a testa bassa davanti a centinaia di comuni cittadini infuriati e di pochi miliziani male armati (guarda: Il tentativo dell’Ucraina di riconquistare l’Est fallisce miseramente).

Le forze armate ucraine sono state inviate nella regione senza alcuna seria preparazione. Molti dei soldati che sono stati mandati contro gli insorti provenivano da zone vicine e alcuni di loro si sono lamentati di non avere avuto cibo sufficiente per settimane. Le conseguenze di questa umiliazione, che diventeranno sempre più evidenti nel prossimo periodo, avranno effetti a lungo termine. L’autorità del governo su generali e soldati, che non è mai stata particolarmente salda, ha ora raggiunto nuovi minimi tra le fila delle truppe e anche tra gli ufficiali, fino ai livelli più alti.

L’ipocrisia dell’Occidente

La campagna dei media occidentali che tenta di attribuire la colpa di tutto alla Russia puzza di ipocrisia. I portavoce della Casa Bianca si richiamano solennemente ai principi del diritto internazionale che vietano l’interferenza di un Paese negli affari di un altro per condannare le azioni di Mosca in Crimea e in qualche modo riescono a farlo mantenendo un’espressione seria sulla faccia. Come però lo stupro brutale di Iraq e Afghanistan possa essere conciliato col rispetto di questi stessi principi resta un mistero. Ma d’altronde è sempre stato il compito della diplomazia far quadrare il cerchio, sostenere che il bianco sia nero e fare le più vergognose affermazioni senza arrossire.

Per più di vent’anni l’imperialismo americano ha imperversato per il mondo, invadendo Paesi, rovesciando governi, perseguitando stati sovrani e spiando i propri alleati, bombardando, uccidendo, torturando e in generale imponendosi con la forza dappertutto. Tutto questo naturalmente nel pieno rispetto del diritto internazionale. Ma se qualcuno prova a resistergli Washington immediatamente piange e si dispera. Si comporta come un bullo a scuola, che è abituato a ottenere tutto ciò che vuole come gli pare ma quando riceve un pugno sul naso corre dalla maestra lamentandosi di essere stato vittima di un attacco gratuito.

Gli americani usano colpevolmente due pesi e due misure. Hanno attivamente sostenuto il rovesciamento del governo Yanukovych, cosa che hanno presentato (come sempre in questi casi) come un movimento per la democrazia, nonostante il fatto che elementi apertamente fascisti vi abbiano giocato un ruolo chiave. Ora che il popolo del Sud-Est ucraino ha preso in mano le redini del governo locale e ha cacciato i rappresentanti di Kiev con gli stessi metodi, continuano a dire che si tratta di un atto illegittimo e dell’opera di agenti Russi.

I lavoratori del Sud-Est dell’Ucraina non avevano illusioni in Yanukovich, ma sono fortemente ostili al nuovo governo di Kiev, il cui primo atto è stato abrogare la legge che dava al russo lo status di lingua ufficiale a livello regionale. È stato come mostrare un drappo rosso ad un toro per i russofoni ucraini. La rivolta è stata tale che il presidente ad interim Turchynov è stato costretto a dichiarare che avrebbe posto il veto sulla legge che abrogava il russo come lingua ufficiale.

A peggiorare le cose, le condizioni di vita sono crollate e i prezzi sono saliti, specialmente quelli del carburante. Per aggiungere la beffa al danno, gli oligarchi legati alla nuova cricca al potere a Kiev sono stati ben presto nominati governatori delle regioni del Sud e dell’Est. Così il terzo uomo più ricco del Paese, Kolomoisky, è stato nominato governatore di Dnipropetrovk, mentre Serhiy Taruta, il sedicesimo uomo più ricco del Paese, è diventato governatore di Donetsk. La conseguenza è stata un malcontento crescente. L’intera regione si è trasformata in una polveriera che aspettava solo una scintilla per esplodere. Non è stato il Cremlino a dare vita a questa polveriera, ma le azioni della cricca dominante di Kiev e dei suoi sostenitori imperialisti.

Per vari mesi i media occidentali hanno provato a ritrarre il cosiddetto movimento Maidan con toni rosei, come un movimento per la “democrazia”. Hanno spudoratamente nascosto il ruolo chiave giocato da organizzazioni apertamente fasciste e naziste nel rovesciamento di Yanukovich. Elementi fascisti sono presenti nel governo di Kiev e dettano molte delle sue politiche, incluso il tentativo di bandire la lingua russa. Hanno cominciato a riscrivere la storia parlando dei seguaci di Bandera, che hanno collaborato coi nazisti e perpetrato atrocità contro Russi, Polacchi ed Ebrei durante la Seconda Guerra Mondiale, come eroi nazionali. I reazionari di Kiev bollano chiunque non sia d’accordo con loro come “schiavi” o lacchè dei Russi. La deputata di Leopoli, in Ucraina occidentale, Iryna Farion ama riferirsi ai russofoni come “animali”.

Nessun politico occidentale potrebbe cavarsela con tale linguaggio. Tuttavia la poplazione in Occidente, che si basa sulle notizie riportate dai media, non ha idea di quanto la reazione si sia spinta avanti in Ucraina. Perciò quando vedono servizi su uomini armati che occupano palazzi governativi nel Sud-Est del Paese, l’unica spiegazione che possono darsi è che tutto ciò sia opera di forze oscure inviate da Mosca.

Kiev, Leopoli e le altre città dell’Ucraina occidentale sono nella morsa del Terrore Bianco. I comunisti vengono malmenati e le loro sedi saccheggiate e date alle fiamme dalle bande fasciste. Ad esempio, gli uffici del Partito Comunista (KPU) a Kiev sono stati saccheggiati da delinquenti di estrema destra provenienti dall’area neo-nazista e dal “Gruppo di autodifesa” di Maidan il 9 aprile e più tardi quella stessa notte ha subito un attentato incendiario. Le sedi del KPU sono state attaccate anche a Leopoli e in altre città. Alcuni parlamentari del partito di estrema destra Svoboda (facente parte del nuovo governo) hanno malmenato il direttore della sede della TV di stato e lo hanno costretto a dimettersi. Gli stessi parlamentari di Svoboda hanno malmenato il leader del Partito Comunista Symonenko per essersi rivolto alla Rada criticando la destra nazionalista ucraina. Oleg Tsarev, un candidato che alle presidenziali dichiarava di rappresentare le regioni sud-orientali, è stato pestato da teppisti di estrema destra dopo una sua apparizione televisiva e di nuovo quando ha visitato Mikolayiv.

Il 27 aprile a Leopoli si è svolto un corteo che commemorava l’anniversario della fondazione della divisione SS Galicia dei volontari ucraini, responsabile dell’eccidio di massa di ebrei e altri oppositori. Il corteo è stato organizzato da Svoboda che è il primo partito della regione e, come abbiamo già detto, fa parte della coalizione di governo a Kiev.

Di tutto ciò non è apparsa una sola parola nella stampa occidentale. Questa scandalosa omertà organizzata rispetto al regime di terrore dell’Ucraina occidentale contrasta con i servizi palesemente distorti e faziosi a proposito dei “terroristi”, degli “agenti russi” e dei “separatisti” del Sud-est.

Non solo il partito di estrema destra Svoboda fa parte della coalizione di governo, ma uno dei suoi membri, Oleh Makhnitskiy, ricopre la carica di procuratore generale dello Stato. Andriy Parubiy, fondatore del neonazista Partito Nazionalsocialista (quindi un rispettabile politico borghese di destra), e già “comandante del gruppo di autodifesa di Maidan” è ora segretario Consiglio di Sicurezza Nazionale e di Difesa.

La piccola borghesia nazionalista fanatica dell’Ucraina occidentale è mossa da un odio cieco verso tutto ciò che è russo. Ma non offre nessuna soluzione ai problemi scottanti del popolo ucraino. Il sogno per cui l’Ucraina avrebbe potuto risolvere i propri problemi avvicinandosi all’Occidente si è rivalato subito come un’illusione senza speranza. L’aiuto promesso dall’Occidente a sostegno dei propri tirapiedi di Kiev (che comunque sono davvero pochi) è arrivato subordinato a vincoli ben precisi. Hanno chiesto “riforme”, che significa tagli feroci alle condizioni di vita e ai servizi. Il Ministro delle Finanze Oleksandr Shlapak ha già promesso “riforme strutturali”, “liberalizzazioni” e “riduzione del deficit di bilancio”, e non serve una laurea per capire cosa comporta un memorandum dell’Unione Europea e dell’FMI!

Tutto ciò ha ulteriormente allontanato i lavoratori e le lavoratrici di Donetsk, Lugansk o Kharkiv, che ora guardano con invidia ai salari più alti e alle migliori condizioni dei propri colleghi della Federazione Russa. Così i cosiddetti patrioti ucraini sono riusciti a costruire un solido muro tra Ovest ed Est dell’Ucraina, in grado di minacciare l’esistenza stessa dell’Ucraina come nazione.

La situazione si è deteriorata a tal punto e la popolazione del Sud-Est è talmente arrabbiata che qualsiasi tentativo da parte del governo di Kiev di risolvere la questione sud-orientale con la violenza sfocerebbe in una vera e propria sanguinosa guerra civile. Fino ad ora tutti i tentativi del governo di riaffermare la propria autorità sulla regione sono finiti in farsa.

L’insurrezione nel Sud-Est

Coloro che pensano che sia la Russia a tirare i fili nell’Ucraina sud-orientale sono colpevoli di una grave incomprensione della complessità della regione, della sua composizione nazionale e sociale e del suo legame storico con la Russia. La regione di Donbas comprende il 10% della popolazione ucraina, ma produce il 25% delle esportazioni del Paese. I suoi abitanti, per la stragrande maggioranza russofoni, sono di estrazione prevalentemente proletaria, lavorano nelle miniere, negli impianti chimici e siderurgici e nelle fabbriche di macchinari. Guardano con profonda diffidenza alle manovre per sottrarre l’Ucraina alla sfera d’influenza Russa e portarla sotto il controllo dell’imperialismo occidentale. Da un punto di vista economico l’integrazione dell’Ucraina nell’Unione Europea significherebbe la rovina per le loro industrie, che dipendono pesantemente dall’esportazione verso il mercato russo.

I lavoratori di Donetsk non hanno bisogno che sia Vladimir Putin a dire loro che le loro aziende chiuderanno una volta che l’Ucraina sarà entrata nell’Unione Europea. Possono vedere benissimo quello che è successo in Paesi come l’Ungheria, la Romania o i Paesi Baltici quando sono entrati nell’Unione Europea. O ancora l’integrazione della Russia nell’economia capitalista globale, che ha portato all’esportazione di risorse naturali, con conseguente chiusura di migliaia di fabbriche. Qui il problema non è un problema nazionale, ma un problema del sistema capitalistico in sé. La rovina economica, la disoccupazione di massa e l’aumento del costo della vita colpisce tutti: gli Ucraini, i Russi, gli Armeni o gli Ungheresi, sono tutti vittime della crisi del capitalismo e del dominio degli oligarchi.

Alla questione economica dobbiamo aggiungere la questione dell’oppressione nazionale e linguistica. Dal punto di vista dei russofoni, la dominazione dei nazionalisti ucraini della regione occidentale del Paese rappresenta una potenziale minaccia allo status di lingua ufficiale del russo e la possibilità che la popolazione della regione sud-orientale possa diventare una minoranza nazionale oppressa e cittadini di seconda categoria nel proprio stesso Paese. È quindi così sorprendente che tentino di difendersi?

Siamo davanti ad una riedizione della Crimea?

Washington sostiene che l’occupazione degli uffici governativi sia stata portata avanti da soldati professionisti ben armati. Ma tutte le testimonianze non supportano questa tesi. Sebbene non sia impossibile che ci siano agenti russi attivi nella regione (anzi, sarebbe sorprendente il contrario, così come sarebbe sorprendente che non ci fossero agenti della CIA a Kiev), i servizi televisivi e gli articoli della stampa indicano che queste azioni sono opera di gente del posto e milizie armate locali. Il fatto che essi siano “ben armati” non è sorprendente, dal momento che sono state assaltate le caserme dell’esercito e le stazioni di polizia e sono state prese le armi. Addirittura in molti casi la polizia locale è passata dalla parte dei ribelli, combattendo al loro fianco.

Non è nemmeno chiaro se Putin al momento intenda inviare le proprie truppe oltre il confine. La rivista Time cita Vyacheslav Ponomaryov, titolare di un azienda produttrice di sapone che ha preso il titolo di “sindaco del popolo” dopo la presa del potere a Slaviansk: “Abbiamo bisogno di armi, capite? Siamo a corto di tutto tranne che di entusiasmo”, ha invocato l’aiuto da parte della Russia, ma a quanto pare è stato ignorato. Il Time commenta:

“La sua milizia, ammette, è formata in parte da volontari provenienti dalla Russia, dalla Bielorussia, dal Kazakistan e da altre zone dell’ex Unione Sovietica. Ma le lamentele di Kiev riguardo ad un’insurrezione separatista alimentata con denaro, armi e truppe dal governo russo non c’entra niente con la realtà di Slaviansk.”

“I combattenti ben armati come Mozhaev costituiscono una piccola minoranza delle milizie di Ponomaryov, forse poche centinaia di uomini al massimo, insieme ad un certo numero di Cosacchi. Noti come “uomini verdi” per le divise mimetiche che indossano, questi membri della milizia non sono ben addestrati e ben equipaggiati come i soldati russi che hanno occupato la Crimea il mese scorso. Se c’è una presenza militare russa in questo momento a Slaviansk è rimasta fuori o è ormai fuori dalla scena pubblica”.

(Esclusiva: incontro con i separatisti filo-russi dell’Ucraina orientale, Time, 23 aprile)

Gli elementi attivi nell’occupazione di palazzi governativi locali sono relativamente pochi, forse poche migliaia in tutto. Comunque, non è questo il punto. L’elemento più importante dell’equazione è l’atteggiamento della maggioranza della popolazione. Sebbene non vi abbia preso attivamente parte, è chiaro che la maggior parte della popolazione guarda con favore all’insurrezione. Non si ha notizia di grandi dimostrazioni a sostegno del governo di Kiev o di qualche serio tentativo di sgomberare i ribelli dai palazzi occupati. E nell’eventualità di un attacco da parte di forze militari inviate da Kiev questa simpatia passiva potrebbe trasformarsi molto rapidamente in rabbia e sostegno per un intervento militare russo.

Un sondaggio d’opinione, condotto all’inizio di Aprile dall’Istituto Internazionale di Sociologia di Kiev in 8 regioni del Sud e dell’Est dell’Ucraina, dà uno scorcio molto interessante sul sentimento comune tra le masse. In tutte e 8 le regioni il 49,6% considera illegittimo il governo di Yatsenyuk (e un ulteriore 13% lo considera parzialmente illegittimo), con punte del 72% a Donetsk e del 70% a Lugansk. Riguardo alla forma di governo che sceglierebbero per l’Ucraina il 45% si dichiara favorevole ad una decentralizzazione del potere, a questi si aggiunge un 24,8% favorevole al federalismo, e più dell’86% vorrebbe l’elezione diretta dei governatori locali (in contrapposizione all’attuale nomina da Kiev). Riguardo alle relazioni con la Russia e con l’Unione Europea il 42% è favorevole alla creazione di una unione doganale con la Russia (percentuale che sale al 72% a Donetsk e al 64% a Lugansk) contro il 24% favorevole all’integrazione nell’Unione Europea.

Forse però la questione più interessante, che mostra quale potenziale ci sia per un’alternativa di classe, è quella riguardo ai possedimenti degli oligarchi. In tutte e 8 le regioni il 41% dichiara che le proprietà acquisite illegalmente dagli oligarchi dovrebbero essere nazionalizzate, ma un ulteriore 24% dichiara che tutte le proprietà dovrebbero essere nazionalizzate, e solo un misero 4% risponde che la proprietà privata dovrebbe essere rispettata.

Il 19 aprile la rivista Time ha pubblicato quanto segue, il che dà un’idea del sentimento della maggioranza passiva della popolazione:

“Deduk, un avvocato del posto, non ne è così sicura. Seduta su una panchina con suo figlio Stepan ai margini della manifestazione, ha detto che la maggior parte della gente che conosce è ben contenta di tenersi fuori dagli scontri e che se la Russia arrivasse e conquistasse la regione come ha fatto con la Crimea il mese scorso, loro con ogni probabilità si limiterebbero a fare spallucce e ad accettarlo come proprio destino. “La gente si è dimenticata di tutti gli orrori che abbiamo passato sotto Mosca al tempo dell’Unione Sovietica”, ha affermato. “Tutto quello che ricordano è che i salari venivano pagati e che l’assistenza sanitaria era gratuita.””

(Donetsk saluta la crisi ucraina con una scrollata di spalle, Time, 19 aprile)

Cosa vuole Putin?

Gli sconvolgimenti in Ucraina orientale hanno riacceso in Occidente la paura che la Russia possa ripetere quello che è successo con l’annessione della Crimea. La presenza di 40mila soldati russi sul confine non fa che alimentare questi timori, ai quali, se si concretizzassero, l’Occidente non sarebbe in grado di rispondere. La sua impotenza si è palesata in maniera ridicola quando la NATO ha inviato di recente un gran numero di forze, non meno di 600 soldati americani, nei Paesi Baltici! In primo luogo non c’è assolutamente motivo di credere che la Russia abbia intenzione di invadere i Paesi Baltici, e qualora l’avesse è alquanto improbabile che 600 marines, anche qualora fossero tutti Rambo, possano fare la differenza. Questo è un esempio del livello di idiozia diplomatica e militare.

 

In ogni caso, sembra probabile che gli obiettivi di Putin siano più limitati e sottili di questo. Infatti le azioni russe non hanno carattere offensivo, ma difensivo. Sin dalla caduta dell’URSS l’imperialismo statunitense ha condotto una strategia a lungo termine volta a sottrarre una dopo l’altra le ex Repubbliche Sovietiche dalla sfera d’influenza russa. Ma ora, nel caso dell’Ucraina, Mosca ha deciso di puntare i piedi. La Russia sta dicendo all’Occidente: “Adesso basta!”. È determinata ad impedire l’uscita dell’Ucraina dalla propria orbita economica e militare.

Gli Americani e l’Unione Europea vogliono prendere il controllo dell’Ucraina, mentre i Russi vogliono mantenerla nella propria sfera d’influenza. L’obiettivo dell’Occidente è più difficile da raggiungere, mentre quello della Russia e di gran lunga più semplice. Non hanno bisogno di invadere l’Ucraina, dal momento che hanno molte altre frecce al proprio arco, specialmente quelle di tipo economico. Al fine di presentare la propria politica in modo ragionevole, il Cremlino ha avanzato quella che sembra una richiesta molto moderata: l’adozione di un sistema federale che conceda molto più potere ai governatori locali in Ucraina.

Una struttura simile indebolirebbe il governo centrale di Kiev e garantirebbe che l’Ucraina non diventerà mai anti-russa. In pratica si tratterebbe di una “finlandizzazione” dell’Ucraina. Qualunque governo arrivasse al potere a Kiev, non potrebbe fare nulla senza tenere in considerazione il punto di vista di Mosca. E non ci sarebbe assolutamente nessuna discussione sul fatto che l’Ucraina non aderirà mai né alla NATO né all’Unione Europea. Per quanto questo esito possa risultare indigesto a Washington e a Bruxelles, al momento è il meglio che possano sperare.

E adesso?

È impossibile prevedere con certezza quello che succederà nelle prossime settimane. La sola cosa certa è che l’imperialismo ha appena subito una sconfitta e non riuscirà a riprendersi.

C’è una serie di possibilità, nessuna delle quali veramente appetibile per l’Occidente. La prima possibilità si basa sull’esito delle prossime elezioni presidenziali. La Russia è già riuscita a destabilizzare in larga misura queste elezioni e a mettere in dubbio la legittimità di chiunque venga eletto. Il nuovo regime sarà debole e sottoposto a forti pressioni da Mosca. Se la Russia non riuscirà ad ottenere un candidato di proprio gradimento, continuerà a premere per una costituzione federale che le permetterà di esercitare il proprio veto sulla politica estera, economica e militare.

Fino ad ora nessun candidato è ufficialmente alleato con Mosca. Mikhail Dobkin, il candidato del Partito delle Regioni (il partito di Yanukovich) potrebbe essere quello preferito da Mosca, ma ha ben poche se non nessuna possibilità di vincere. Dall’altra parte c’è Yulia V. Tymoshenko, che è stata uno dei leader della cosiddetta Rivoluzione Arancione, ma che aveva convenientemente costruito una stretta collaborazione con Putin quando era primo ministro. Fino ad adesso si è tenuta in disparte, ma in futuro potrebbe essere un candidato di “compromesso”.

In ogni caso nessun leader ucraino avrà il coraggio di resistere a Putin, che ha in mano le forniture di petrolio e di gas e 40mila soldati sul confine e un’influenza dominante su gran parte della popolazione ucraina. Inoltre le economie di Russia e Ucraina sono inestricabilmente legate: un terzo delle esportazioni ucraine sono dirette in Russia.

Il secondo possibile esito sarebbe anche peggio per l’Occidente. Se il governo di Kiev non sarà in grado di riprendere il controllo sulle regioni orientali, si potrebbe finire in una situazione simile a quella che si è verificata in Crimea. Se la popolazione delle regioni sud-orientali tenesse un referendum sull’annessione alla Russia, il risultato sarebbe quasi certamente in favore della secessione. Allora l’Ucraina così come la conosciamo cesserebbe di esistere.

I contestatori di Donetsk hanno già annunciato la volontà di indire un tale referendum per l’11 maggio. Tuttavia è significativo che Mosca non abbia immediatamente appoggiato la proposta. Putin si sta comportando con cautela, lasciandosi aperte tutte le strade. Se riuscisse a raggiungere i suoi obiettivi fondamentali senza dover pagare il prezzo di un intervento militare né quello che deriverebbe dal doversi accollare l’economia ucraina in bancarotta, ne sarebbe naturalmente ben contento. Tuttavia la caratteristica instabilità della situazione fa sì che non sia completamente libero di scegliere.

Questo ci porta al terzo esito possibile: un’invasione su vasta scala. Questa eventualità è verosimile? Per mesi i media occidentali hanno montato una campagna propagandistica isterica su una presunta aggressione militare russa in Ucraina. Tuttavia tale aggressione militare fino ad ora non si è concretizzata. Le truppe stanziate sul versante russo del confine sono state impiegate in una serie di manovre, ma niente di più.

Le ultime dichiarazioni di Americani e Russi sembrano suggerire che stiano cercando di raggiungere un compromesso sottobanco. Ieri Putin ha dichiarato che la Russia non ha nessuna intenzione di invadere l’Ucraina. È possibile che si tratti soltanto di un bluff. Prima di ogni guerra i leader dei paesi coinvolti hanno sempre fatto dichiarazioni del genere poco prima di lanciare l’attacco. Comunque in questo caso non ci sono motivi per dubitare della sincerità delle dichiarazioni d’intenti di Vladimir Putin.

In questo momento Putin non ha alcun bisogno di invadere l’Ucraina, dal momento che ha raggiunto il suo obbiettivo principale. Chiunque sia a capo del governo di Kiev deve ora capire molto chiaramente che non potrà fare nulla senza il permesso di Mosca e che tutte le altisonanti dichiarazioni di solidarietà provenienti da Washington e da Bruxelles in pratica non contano nulla quando si trovano a scontrarsi con la Russia.

Comunque, come abbiamo spiegato in articoli precedenti, il dipanarsi della crisi ucraina ha una propria logica che non può essere controllata facilmente né da Kiev, né da Mosca, né da Washington. Più il governo di Kiev si indebolirà, più sarà incline a ricorrere a misure disperate. Di fronte alla possibilità di disintegrazione dell’esercito ucraino, il governo di Kiev ha cominciato a mettere in piedi un corpo armato alternativo. La Guardia Nazionale ha già aumentato le proprie dimensioni con l’integrazione del Gruppo di Autodifesa di Maidan e di altri gruppi armati paramilitari. Come se non bastasse, il Ministro degli Interni ha annunciato la creazione di unità o battaglioni di Autodifesa Territoriale, formati dalla feccia della società ucraina: fascisti, ultranazionalisti, sottoproletari, criminali e ogni tipo di avventurieri che sono pronti a perpetrare le azioni più estreme e brutali che i soldati comuni si rifiutano di compiere. L’ala nazista ha già dichiarato che si unirà al Battaglione Donbas per “combattere i separatisti”.

Questa misura è frutto di una disperazione nata dall’impotenza. Non è difficile immaginare cosa potrebbe arrivare a fare una milizia armata simile se inviata nel Sud-Est dell’Ucraina. Lo spettro della Yugoslavia rialza la sua orribile testa: massacri e pulizia etnica, un’ondata di profughi verso oriente e verso occidente e tutte le inevitabili conseguenze di una guerra civile. In queste condizioni, qualunque potessero essere le intenzioni originarie di Putin, un intervento della Russia diventerebbe inevitabile.

Le conseguenze per la Russia

Un’invasione russa sarebbe davvero rischiosa per Vladimir Putin. Il consenso nei suoi confronti ha superato il 70% dopo l’annessione della Crimea. Ma è stato ottenuto senza violenza e senza la perdita di un solo soldato russo. Il popolo della Crimea ha accolto l’esercito russo come un liberatore e questa immagine è arrivata alla maggioranza della popolazione russa. Dopo decenni di umiliazione nazionale, il popolo russo nella sua totalità ha tirato un sospiro di sollievo. Vladimir Putin potrebbe crogiolarsi al sole dell’approvazione pubblica, almeno per un po’.

La gran parte della sinistra in Russia è in uno stato di profonda depressione. Vede crescere il sentimento nazionalista tra la classe lavoratrice ed è disperata. Ma in generale la sinistra russa è ormai completamente aliena alla classe lavoratrice e incapace di trovare con essa un terreno comune. Non è assolutamente vero che i lavoratori russi siano diventati reazionari perché provano simpatia per i loro fratelli e sorelle oppressi in Ucraina e ostilità per il fascismo ucraino.

Inoltre lo stato d’animo della società può cambiare rapidamente. Nel 1914 lo spirito patriottico in Russia era molto più forte che adesso eppure appena tre anni dopo gli stessi lavoratori che sventolavano la bandiera zarista hanno sventolato la bandiera rossa e combattuto per il potere sovietico.

Sebbene l’esercito russo potrebbe infliggere senza dubbio una pesante sconfitta all’esercito ucraino, la vittoria non sarebbe tanto a buon mercato quanto lo è stata in Crimea. Ci sarebbero molte vittime russe e ci si dovrebbe preparare al peggio. Il revanscismo e l’odio nazionale che sarebbero generati da una guerra simile durerebbero per generazioni e produrrebbero frutti velenosi sottoforma di attacchi terroristici e altre atrocità. L’esperienza della Cecenia insegna che una vittoria militare può avere un prezzo più alto di una sconfitta.

Le conseguenze economiche, non solo per la Russia e l’Ucraina ma per tutto il mondo, sarebbero incalcolabili. La cosiddetta ripresa dell’economia globale è debole e fragile. Il boom febbrile delle Borse è una conseguenza di una sfrenata speculazione finanziaria, non di una solida crescita economica. La bolla speculativa può scoppiare in qualsiasi momento, gettando l’economia mondiale in un profondo abisso. I mercati non sopportano alcun tipo di instabilità e un’invasione russa dell’Ucraina provocherebbe senza dubbio un fuggi fuggi sui mercati finanziari. Il Paese più colpito sarebbe la Russia stessa.

Putin può permettersi di ridere delle pietose “sanzioni” minacciate dalla codarda Unione Europea, ma deve preoccuparsi seriamente della fuga di capitali dai mercati Russi (60miliardi di dollari nel primo trimestre del 2014) e della caduta del rublo. L’economia russa è già in recessione (è calata dello 0,3% nel primo trimestre del 2014). Il costo economico di un’invasione e un brusco crollo dell’economia russa potrebbero ribaltare rapidamente il favore di cui gode presso la popolazione, cosa che gli sta molto a cuore. L’eroe della Crimea si trasformerebbe in un attimo nel responsabile della rovina della Russia. Un crollo economico aprirebbe gli occhi alla classe operaia russa che si libererebbe velocemente dall’intossicazione dei fumi patriottici. Si preparerebbe il terreno per una nuova impennata della lotta di classe in Russia. Questa è la motivazione dell’improvvisa e sorprendente conversione di Putin al “pacifismo”.

Condanniamo il comportamento ipocrita e reazionario dell’imperialismo occidentale in Ucraina. È dettato soltanto dagli interessi personali degli imperialisti statunitensi e dei loro scagnozzi di Bruxelles e di Berlino. Non sono interessati per nulla al destino del popolo ucraino che è soltanto una pedina nei loro cinici calcoli.

Ma sarebbe un grave errore nutrire una qualche illusione in Putin e nella cricca del Cremlino. Stanno sfruttando il legittimo desiderio della popolazione russofona dell’Ucraina sud-orientale per fare pressione sul governo di Kiev. Cercano di tenere sotto controllo l’Ucraina e di proteggere “gli interessi russi”: in poche parole, gli interessi dei grandi capitalisti che hanno devastato la Russia, proprio come gli oligarchi ucraini (parlino essi russo o ucraino) hanno saccheggiato l’Ucraina. La classe lavoratrice non deve sostenere in alcun modo nessuna delle due parti, ma mantenere in ogni momento una posizione di indipendenza di classe.

Nazionalismo o lotta di classe?

Nelle ultime settimane persino la stampa occidentale è stata costretta ad ammettere che mentre il movimento Maidan è composto prevalentemente da elementi della classe media e della piccola borghesia il movimento delle regioni sud-orientali è fondamentalmente un movimento dei lavoratori. Il recente sciopero dei minatori della regione di Donbass è un indicatore del potenziale presente per un’azione di classe indipendente.

Tuttavia la questione nazionale rischia di spaccare il fronte di classe, e c’è la possibilità concreta che il movimento delle regioni sud-orientali venga manipolato da elementi senza scrupoli e oligarchi russofoni che giocheranno la carta della questione nazionale per difendere i propri interessi. Ancora peggio, la minaccia proveniente dai nazionalisti estremisti ucraini, inclusi nazisti e fascisti, può incoraggiare lo sviluppo di tendenze ultranazionaliste russe e di elementi appartenenti al gruppo fascista delle Centurie nere di natura altrettanto inquietante. Non c’è bisogno di dire che qualsiasi tendenza di questo genere è nemica della classe lavoratrice, sia che si trovi sotto la bandiera ucraina sia che si collochi sotto quella russa, ed è necessario opporvisi con ogni mezzo.

La situazione resta estremamente instabile e soggetta a cambiamenti repentini. L’esito finale è incerto. La retorica violenta delle pubblicazioni dei nazionalisti ucraini è in totale contrasto con i rassicuranti discorsi dei diplomatici e con l’accordo di Ginevra. La creazione di una milizia ucraina fascista è una minaccia diretta alla classe operaia. Si sono scatenate dinamiche che non è facile tenere sotto controllo.

Sosteniamo in pieno la necessità del movimento dei lavoratori del Sud-Est dell’Ucraina di armarsi e organizzarsi per difendersi dal governo reazionario di Kiev e dalle bande fasciste che stanno organizzando pogrom sotto la sua protezione. Sosteniamo la necessità che il movimento prenda il controllo del governo locale e cacci via i governatori corrotti e reazionari.

Tuttavia i lavoratori devono restare vigili per assicurarsi che le loro coraggiose azioni non vengano usurpate da elementi borghesi avidi e senza scrupoli che si avvolgono nella bandiera russa per piegare il potere ai propri fini corrotti. Il nostro slogan deve essere: “Basta con gli oligarchi borghesi!”. Non importa se parlano russo o ucraino.

Il movimento rivoluzionario dei lavoratori del Sud-Est dell’Ucraina potrà avere successo solo se si estenderà anche ai lavoratori del resto del Paese. Questo non potrà mai succedere se si limiteranno ad un programma incentrato sul solo nazionalismo russo.

Allo stesso modo in cui la vista dei simboli fascisti e di Bandera a Maidan ha disgustato la popolazione della Crimea e del Sud-Est, così la presenza degli ultranazionalisti russi, dei Cosacchi, degli elementi legate alle Centurie nere in manifestazione con le bandiere dell’impero russo deve preoccupare e disgustare il popolo rivoluzionario nel resto dell’Ucraina. La nostra bandiera non è né quella ucraina né quella della controrivoluzione capitalista russa ma la bandiera rossa di Lenin, la bandiera dell’Ottobre, la bandiera dell’internazionalismo proletario rivoluzionario.

Per questo è un grave errore appellarsi all’intervento russo. Non ci potrebbe essere metodo migliore per allontanare i lavoratori e i contadini che parlano ucraino e gettarli fra le braccia della reazione. La frammentazione del corpo vivo dell’Ucraina non servirebbe né ai lavoratori di Donbass né a quelli di Kiev o di Leopoli. Uno sviluppo del genere sarebbe devastante da tutti i punti di vista e avrebbe enormi conseguenze sia nazionali che internazionali.

La classe operaia del Sud-Est dell’Ucraina parlerà anche russo, ma non ha nessun interesse nella divisione dell’Ucraina, che sarebbe disastrosa per tutti tranne che per un manipolo di ricchi oligarchi e di delinquenti.

È necessario unire tutti i lavoratori dell’Ucraina sulla base di un programma che colleghi le rivendicazioni rivoluzionarie a quelle democratiche, in primis l’espropriazione degli oligarchi. Solo una politica di classe potrà spezzare la follia nazionalista e unificare la classe lavoratrice in una comune battaglia rivoluzionaria.

  • Nessuna guerra tra i popoli, nessuna pace tra le classi!

  • Espropriazione dei possedimenti rubati dagli oligarchi sotto il controllo democratico dei lavoratori!

  • Per un’Ucraina socialista, unita e indipendente!

1 maggio 2014

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