Spagna: due milioni di persone dicono no alla controriforma del lavoro, L'inizio di una lunga lotta

Circa 2 milioni di persone, il 19 febbraio, sono scese in piazza dando vita a 57 cortei organizzati dai sindacati in tutta la Spagna, per opporsi alla contro riforma del lavoro imposta dal nuovogoverno di destra del PP (Partito Popolare).

Ora, i dirigenti di Comisiones obreras (CcOo) e dell’Ugt (Unione Generale dei Lavoratori), i principali sindacati del paese, sono sotto una grande pressione per convocare uno sciopero generale.

La partecipazione alle manifestazioni ha sorpreso i dirigenti sindacali, che solo quattro settimane prima della grande mobilitazione hanno firmato un accordo con i padroni che prevede tre anni di “moderazione salariale” (in pratica una perdita reale del potere d’acquisto) con indebolimento della contrattazione collettiva.

Secondo i calcoli dei sindacati, a Madrid sono scese in piazza in mezzo milione e 450.000 a Barcellona. La manifestazione di Madrid è stata così grande che la maggior parte del percorso del corteo era già colmo di persone prima ancora che la manifestazione iniziasse. Il servizio d’ordine è stato costretto ad aprire un varco tra la folla per permettere ai dirigenti sindacali di avanzare lungo il percorso e arrivare in Puerta del Sol, dove sarebbe arrivato il corteo.

A Valencia, dove la settimana prima c’è stata una brutale repressione contro gli studenti delle scuole superiori che protestavano contro i tagli all’istruzione, hanno partecipato 80mila persone, altri 4mila ad Alicante e 30mila a Castellòn. A Gijòn, nelle Asturie, hanno manifestato 50mila persone nonostante la pioggia torrenziale. 70mila persone sono scese in piazza a Saragoza, capitale dell’Aragona, e altre 2mila a Huesca. Ci sono state grandi manifestazioni anche in Andalusia, non solo nella capitale, Siviglia (50mila), ma anche a Malaga (25mila), Granada (15mila), Cordoba (20mila), Jaén (1.5mila), Huelva (10mila), Almeria (7mila ), Cadice (3mila) e l’elenco è ancora lungo! Si stima che 40mila persone hanno marciato in tutta la regione di castiglia e Leon e altre 20mila nella sola Leon. Anche nella Galizia hanno partecipato decine di migliaia di persone (30mila a La Coruña, 15mila a Santiago, 15mila a Ferrol e altri 50mila a Vigo) considerando anche che il sindacato nazionalista, il CIG (Confederazione Intersidacale Galiziana), non ha partecipato.

Nei Paesi Baschi si è avuto invece un risultato molto piccolo, anche perché i sindacati nazionalisti, che hanno la maggioranza dei delegati sindacali, hanno organizzato una manifestazione separata per il 24 febbraio, ma nonostante ciò sono scese in piazza circa 2.500 persone a Bilbao e Vitoria-Gasteiz, e altre 700 a San Sebastian-Donosti. È impossibile dare una lista completa di tutte le proteste, che sono arrivate anche a Maiorca, nella Murcia, alle Canarie e anche in Cuenta e Melilla. Queste cifre di presenze sono proporzionate a quelle di quei sindacati, almeno in qualche caso, stimano la presenza reale.

Lo stato d’animo dei manifestanti era di determinazione e rabbia. Molti degli slogan chiedevano a gran voce la convocazione dello sciopero generale. Gli attivisti sindacali e i militanti presenti hanno potuto sentire la forza del movimento sindacale e della classe operaia nella sua interezza quando quest’ultima inizia a muoversi.

Bisogna aggiungere che queste manifestazioni sono state convocate con soli pochi giorni di anticipo, per altro in coincidenza con la domenica di carnevale, e che stavano per essere convocate contro un governo in carica da meno di due mesi e che detiene la maggioranza assoluta in parlamento.

Nessuno di questi fattori ha indebolito quelle che sono state le maggiori manifestazioni sindacali in molti anni.

Queste manifestazioni riflettono uno stato d’animo profondo presente nella società, espresso qualche mese prima nelle manifestazioni del movimento “15 Maggio”. C’è un profondo sentimento istintivo contro il capitalismo come sistema economico, contro la democrazia borghese e i suoi politici, che sono generalmente screditati.

È stato un movimento dal basso, che ha spinto i dirigenti sindacali all’azione, che ha compreso un movimento di massa dei lavoratori dell'istruzione a Madrid, scioperi spontanei e occupazioni da parte di lavoratori della sanità e dell’istruzione in Catalogna e più recentemente una forte mobilitazione studentesca contro la repressione a Valencia.

Le manifestazioni di domenica 19 febbraio sono state anticipate da grosse assemblee regionali dei delegati sindacali. A Madrid, 2.500 rappresentanti sindacali hanno letteralmente riempito una riunione regionale congiunta dei delegati di CCOO e UGT con altre mille persone, bloccando la strada all’esterno della sala, stracolma perchè non vi potevano entrare. A Valencia, per esempio, 2.800 delegati hanno riempito un’altra riunione regionale in preparazione alle mobilitazioni.

La mobilitazione è stata una vera e propria dimostrazione di forza che i dirigenti sindacali de CCOO e UGT non si aspettavano. Il segretario generale dell’UGT Cándido Méndez ha detto che “è stata una sorpresa”, mentre il segretario generale del CCOO, Toxo, ha dichiarato: “la verità è che la partecipazione ha superato tutte le aspettative”. Da quanto è iniziata la crisi, i leader di UGT e CCOO hanno seguito una politica concertativa sia per cercare di ammorbidire l’impatto delle misure di austerità, sia per tentare di ottenere “il male minore” durante i mesi delle trattativa sui contratti, al posto di scontrarsi con il governo del Partito Socialista prima e ora col governo di destra del Partito Popolare con la mobilitazione dei lavoratori nelle piazze.

Così, dopo uno sciopero generale a metà nel settembre 2010, si è passati a firmare la contro riforma del sistema pensionistico nel gennaio 2011 con il governo socialista (PSOE) di Zapatero. Come risultato delle sue politiche di destra durante il governo, il PSOE ha subito una sconfitta schiacciante nelle elezioni dello scorso 20 novembre permettendo alla destra guidata dal PP di avere la maggioranza assoluta nel parlamento, anche se in termini assoluti i suoi voti non sono aumentati significativamente.

Era chiaro fin da subito che il governo del PP avrebbe portato avanti una politica di pesanti tagli e di “riforme strutturali” (cioè la distruzione dei diritti e delle condizioni lavorative), ma i dirigenti sindacali di UGT e CCOO hanno continuato ad adottare la politica di aspettare e vedere. Quando hanno domandato loro se avrebbero dato il benvenuto al nuovo governo nelle piazze e nelle strade, il segretario generale del CCOO Toxo rispose che “faceva molto freddo nelle strade in inverno”!

Anche dopo che il governo del PP ha approvato, durante i primi mesi del mandato nel dicembre 2011, un pesante pacchetto di tagli e austerità, i dirigenti sindacali, a gennaio, hanno firmato un accordo con l’organizzazione padronale CEOE (la confindustria spagnola, ndt). L’accordo prevede tre anni di aumenti salariali sotto il livello dell’inflazione (in realtà una perdita reale del potere d’acquisto dei salari) e l’indebolimento della contrattazione collettiva a favore degli imprenditori e degli accordi locali di base (dove i lavoratori sono in una posizione molto più debole).

Il loro ragionamento era il seguente: se dimostriamo di essere equilibrati e se ci impegniamo a fare qualche sacrificio volontariamente, il governo non sarà grado di imporre altri attacchi. Ovviamente si sono sbagliati. La debolezza è un invito all’aggressione e il carattere acuto della crisi del capitalismo in Spagna, esige brutali attacchi ai salari dei lavoratori e allo  stato sociale.

Non solo, ma nel firmare l’accordo con i padroni, i dirigenti sindacali hanno introdotto elementi di confusione e scetticismo nel movimento. Al posto di inviare un chiaro messaggio alla base e ai lavoratori in generale dicendo che gli attacchi del governo potevano essere combattuti solo mobilitandosi, si è insistito nelle trattative.

Il governo ha risposto “all’atteggiamento conciliatore” dei vertici sindacali con una brutale riforma del lavoro che pianificava una serie di misure molto gravi per concedere agli imprenditori il diritto di assumere e licenziare a volontà, attraverso la riduzione del salario di disoccupazione, allungando il periodo di prova lavorativa durante il quale i lavoratori non hanno alcun diritto sindacale, eliminando la necessità dell’autorizzazione del governo e della negoziazione con il sindacato per la Cassa integrazione, ecc.

La riforma permette anche a qualsiasi impresa che ha conseguito per tre trimestri consecutivi una riduzione dei guadagni, o perdite reali o programmate, di licenziare i lavoratori con giusta causa, che in effetti significa che quasi tutte le imprese spagnole hanno la possibilità di licenziare i lavoratori legalmente “per ragioni economiche” con una riduzione drastica del livello degli indennizzi.

Anche le misure approvate con il decreto dell’11 febbraio sono un grave attacco contro gli accordi di contrattazione collettiva a livello nazionale, sulla stessa linea delle riforme applicate in Grecia e Portogallo.

Il decreto rende molto più facile per gli imprenditori cambiare unilateralmente l’orario di lavoro, le condizioni lavorative, l’ubicazione dei lavoratori, la struttura salariale, ecc. La riforma, ancora, elimina la protezione aggiuntiva che avevano i lavoratori del settore pubblico contro i licenziamenti.

In realtà, questo non solo è un grave attentato contro i diritti dei lavoratori e le loro condizioni di lavoro, ma anche contro la loro capacità di poterli difendere in maniera collettiva.

Persino un articolo del giornale filo padronale El Pais, ha avvertito che il vero obiettivo della riforma è “rompere gli equilibri di potere nelle imprese” a favore dei padroni. Questo attacco non verrà da solo. Esso è parte di un piano di ampia portata per fare in modo che i lavoratori paghino la crisi e ristabiliscano la rendita del capitalismo spagnolo mediante la riduzione dei salari e delle condizioni lavorative al fine di renderlo più competitivo al pari di altri paesi europei.

Queste sono esattamente le stesse misure che sono già state applicate in Grecia e che stanno per essere introdotte in Portogallo e in Italia. Disgraziatamente, i dirigenti sindacali non sembrano aver compreso la gravità della situazione. Nonostante il carattere di massa delle manifestazioni del 19 febbraio, continuano a affermare di voler obbligare il governo a sedersi al tavolo delle trattative.

Sia Candido Mendez dell’UGT sia Fernandez Toxo delle CCOO insistono che il loro obiettivo non è lo “scontro” ma “correggere la riforma”. Erano ovviamente presenti alle manifestazione del 19 febbraio, ma al comizio finale non hanno preso la parola, lasciando tutto in mano ai leader delle loro organizzazioni giovanili, che si sono limitati a leggere un comunicato precedentemente preparato. Il vero stato d’animo dei manifestanti tuttavia si è potuto sentire negli slogan gridati mentre attraversavano una Puerta del Sol strapiena.

I dirigenti sindacali ora sono sotto una grande pressione che parte dal basso e che chiede di intensificare la lotta. Non possono più usare la scusa che è difficile mobilitare i lavoratori, che lo stato d’animo che serve per la lotta non è presente. Il 19 febbraio ha dimostrato che i lavoratori risponderanno a qualsiasi convocazione seria di mobilitazione da parte dei dirigenti sindacali. Ciò che serve ora è un chiaro piano di azione, a partire dalla convocazione di uno sciopero generale di 24 ore. Dobbiamo allo stesso tempo apprendere la lezione che arriva dalla Grecia, è chiaro che uno sciopero generale di 24 ore non è sufficiente e non risolverà nulla. Esso deve essere parte di una strategia di intensificazione della mobilitazione per uno sciopero generale di 48 ore e anche per appelli ad azioni più serie nel caso in cui il governo non farà marcia indietro, come argomentato anche dai compagni di Lucha de Clases en España.

Come abbiamo spiegato subito dopo le elezioni: “se Merkel, Rajoy e la classe dirigente spagnola credono che il risultato delle elezioni significhi un mandato chiaro e fermo per tagli e austerità, avranno una grande sorpresa. Questa politica provocherà più presto che tardi, una esplosione di massa della lotta di classe. Attacchi in stile greco condurranno inevitabilmente a una lotta di classe in stile greco." Questo è ciò che ora abbiamo iniziato a vedere.

Izquierda Unida (IU) ha partecipato attivamente alle manifestazioni, in alcuni casi con il proprio appoggio e con proprie rivendicazioni. Erano anche presenti le principali figure del partito socialista, nonostante molti lavoratori presero con sfiducia la sua opposizione al governo del PP, dato che fu proprio il governo del  PSOE a cominciare questi attacchi ai diritti dei lavoratori e alle loro condizioni di vita in primo luogo.

I dirigenti di IU hanno promosso una serie di iniziative parlamentari e legali contro la contro-riforma del lavoro, però hanno anche correttamente spiegato che questa può essere sconfitta solo scendendo in piazza.

Malgrado ciò, si sono astenuti dal fare commenti critici sull’accordo firmato dai dirigenti sindacali e dai padroni e non hanno menzionato la necessità che i i sindacati convochino uno sciopero generale (usando la scusa che “questa convocazione spetta ai sindacati”).

Un settore avanzato di lavoratori e giovani hanno votato per Izquierda Unida alle elezioni del 20 novembre, che ha aumentato i suoi voti, e stanno guardando a questa organizzazione per cercare una direzione.

È certo che la decisione di convocare o no uno sciopero generale appartiene ai sindacati, ma è anche chiaro che un’organizzazione di sinistra come IU, ha il dovere e il diritto di esprimere un’opinione rispetto a quella che dovrebbe essere la strategia migliore da seguire. Non solo deve esprimere un’opinione, ma deve giocare anche un ruolo chiave nella riorganizzazione della sinistra sindacale, soprattutto nel CCOO, in modo tale che i suoi membri nel sindacato si convertino in un canale di espressione della rabbia degli attivisti di base e diano un impulso al movimento per andare avanti.

Una nota negativa delle manifestazioni del 19 febbraio è stata la mancanza di unità sindacale in Galizia e nei Paesi Baschi. In Galizia, il sindacato nazionalista CIG ha convocato il proprio sciopero generale il 29 marzo, mentre nei Paesi Baschi, la maggior parte dei sindacati nazionalisti (ELA-Eusko Langileen Alkartasuna, LAB-Langile Abertzaleen Batzordeak, ESK e altri) hanno convocato lo sciopero generale nella stessa data dei sindacati galiziani.

Qualsiasi proposta di lotta contro gli attacchi del governo del PP all’interno dei confini della Galizia o dei Paesi Baschi sarà presa immediatamente in considerazione seriamente da qualsiasi attivista sindacale serio.

Le esperienze passate di scioperi generali confinate all’interno dei Paesi Baschi ha avuto l’effetto di dividere i lavoratori su basi nazionali al posto di unirli in nome di interessi di classe comuni. Nonostante sia positivo che i sindacati baschi e galiziani hanno preso l’iniziativa di convocare uno sciopero generale di 24 ore – e questo senza dubbio pone i leader di UGT e CCOO sotto pressione- è stata una posizione sbagliata e settaria quella di non aver partecipato alle manifestazioni del 19 febbraio, o nel caso dei baschi di aver convocato una manifestazione separata il 24 febbraio, che comunque aveva gli stessi obiettivi e parole d’ordine. Le divisioni su basi nazionali beneficiano solamente la classe dominante.

Se c’è mai stato un momento in cui l’unità di classe tra i lavoratori è di massima importanza, questo momento è adesso, cioè quando il capitalismo spagnolo si trova nel mezzo della sua crisi più grave  e il movimento operaio affronta il più duro degli attacchi.

Translation: FalceMartello (Italy)

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