Alì Primera, un famoso cantautore comunista venezuelano, una volta scrisse: “Dobbiamo fare presto la rivoluzione. Perchè più sarà ritardata, più sarà difficile.” Si tratta di parole profonde che riassumono in maniera brillante i principali problemi di fronte a cui si trova oggi la rivoluzione venezuelana. Hugo Chàvez è al potere da dieci anni – un periodo in cui abbiamo visto diversi tentativi da parte dell'imperialismo e dell'oligarchia di rovesciarlo e fermare tutte le riforme sociali che sta promuovendo. Di volta in volta la massa di lavoratori, giovani e poveri delle città si è mobilitata per difendere la rivoluzione.
Inflazione e tasso di criminalità crescenti, sabotaggio da parte dei capitalisti
Nonostante si sia palesata più e più volte la determinazione delle masse, dopo 10 anni di mobilitazione quasi permanente e di conflitto tra le classi, il Governo non è ancora riuscito a risolvere i problemi principali della società. Nonostante il tenore di vita delle masse e l'accesso allo stato sociale siano migliorati, la maggioranza dei Venezuelani vive ancora in povertà, le infrastrutture e il sistema di trasporti urbani sono ancora insufficienti, i prezzi delle case sono ancora troppo alti, e così via. Contemporaneamente il tasso di criminalità ha raggiunto livelli record. A Caracas il numero dei morti a seguito di crimini è salito dal tasso di 70 su 100.000 abitanti del 1998 alla sbalorditiva cifra di 130 nel 2007.
Nonostante il Ministro della Pianificazione, Haiman El Troudi, ha costantemente negato che la crisi nell'economia mondiale avrebbe influenzato il Venezuela, il fatto è che il paese rimane completamente dipendente dalle importazioni, specialmente di prodotti alimentari. Di conseguenza l'inflazione ha colpito il Venezuela abbastanza duramente. L'inflazione sui prodotti alimentari ha raggiunto il 15,3%. Tra il luglio del 2007 e quello del 2008 i prezzi a Caracas sono cresciuti del 49,9%.
Il Governo ha cercato di aggredire il problema promuovendo appelli ai capitalisti per investire nell'economia ma questi hanno continuato a speculare e a tenere deliberatamente bassa la produzione per causare scarsità di generi alimentari e dare un ulteriore impulso all'inflazione.
Le forti oscillazioni del prezzo del petrolio stanno avendo altrettanto effetto sul Venezuela. Diverse fonti indicano che Pdvsa, la compagnia petrolifera nazionale, vedrà una riduzione del 40% del prossimo budget annuale. Questo colpirà parecchi progetti sociali, le cosiddette misiones, che sono in parte o totalmente finanziate dalle entrate petrolifere.
L'idea di un “socialismo petrolifero” (in pratica di un socialismo finanziato dalle entrate provenienti dal petrolio) che è stata promossa particolarmente dal settore riformista del Governo sta cozzando con la stessa realtà. Questa gente ha cercato di usare le alte entrate provenienti dal petrolio come scusa per non espropriare i capitalisti. Quello che non consideravano è che la situazione in Venezuela dipende completamente dal mercato mondiale, non solo dal prezzo del petrolio ma anche da quello dell'alluminio o di altre materie prime di cui il Venezuela è un gran produttore. Mentre l'economia venezuelana è ultra-sensibile alle variazioni dei prezzi, è anche estremamente dipendente dalle importazioni di altri beni, come già accennato. Questo potrebbe creare, potenzialmente, una situazione economicamente disastrosa. L'unico rimedio per affrontare la situazione sarebbe stimolare e sviluppare l'economia pianificata, l'unica in grado di far partire la produzione in campi come l'agricoltura, il settore alimentare e del vestiario.
Misure parziali
Il Governo venezuelano ha adottato alcune misure mirate ad attaccare il sabotaggio economico a beneficio dei lavoratori e dei poveri, tra cui la più nota è la nazionalizzazione della gigantesca acciaieria Sidor ad aprile. A questo dobbiamo aggiungere altre nazionalizzazioni come quella del Banco de Venezuela, l'azienda produttrice di latte “Lacteos Los Andes”, l'intera industria del cemento, la fabbrica di alluminio Rialca e altre ancora.
Queste nazionalizzazioni sono state accolte con entusiasmo da molti lavoratori e giovani, che correttamente le vedono come un passo avanti nella giusta direzione. Un sondaggio dello scorso maggio rivelava che una maggioranza del 56% era a favore della nazionalizzazione delle industrie del cemento, con un 33% di contrari, ed il 53% approvava la nazionalizzazione della Sidor rispetto ad un 30,9% di contrari. Ancora più significativa era la riposta alla domanda: “Saresti d'accordo con la nazionalizzazione delle diverse catene alimentari?” (che ancora non sono state espropriate). Il 50,1% ha risposto sì e solo il 30,9% no.
I socialisti dovrebbero appoggiare queste nazionalizzazioni in maniera entusiasta. Ma le nazionalizzazioni, in sé per sé, non risolvono il problema. Le nazionalizzazioni devono essere parte di un piano socialista complessivo, in maniera che la catena della produzione possa iniziare a funzionare in maniera armoniosa in modo da soddisfare i bisogni della popolazione. Ma in Venezuela le nazionalizzazioni rimangono limitate a particolari settori dell'economia mentre grandi aziende capitaliste in aree chiave vengono lasciate intoccate. Misure parziali sono assolutamente incapaci di andare al cuore al problema. Quello di cui c'è bisogno non è solo l'espropriazione di questa o quella particolare azienda, ma l'espropriazione della borghesia come classe e la creazione di un piano socialista per la produzione, discusso e realizzato dalla classe operaia organizzata.
Nuove cospirazioni dentro l'esercito
Hugo Chàvez è senza dubbio una figura di grande prestigio nella politica mondiale. Il motivo per cui è stato costantemente attaccato dai media borghesi a livelo internazionale è perché ha avuto il coraggio di schierarsi contro l'imperialismo e promuovere l'idea del socialismo come alternativa possibile. Nonostante gli appelli di Chàvez agli investimenti capitalisti e nonostante il fatto che ancora non abbia mosso un attacco decisivo al potere economico della classe dominante, l'oligarchia e l'imperialismo rimangono estremamente determinati a disfarsene. Comprendono che anche la sua sola presenza è pericolosa.
Nei due mesi passati, diversi avvenimenti hanno confermato che ci sono ancora settori decisivi dell'esercito che non sono leali a Chàvez e che si oppongono alla rivoluzione. Il 10 di settembre è stato scoperto un complotto portato avanti da noti generali dell'esercito sia attivi, sia in pensione. Un'intercettazione ha rivelato un piano dettagliato per isolare Chàvez, catturarlo con la forze e portare avanti un colpo di Stato. Il 23 settembre sono state scoperte nello Stato di Zulia (governato da un oppositore del Governo) diverse armi nascoste, tra cui anche cannoni a lunga gittata, con tutta probabilità pronte per il colpo di Stato pianificato contro Chàvez. Ancora, il 27 settembre, è stato reso noto che le autorità Venezuelane hanno arrestato un generale dell'aviazione implicato nella cospirazione.
Questo rivela una profonda instabilità all'interno delle forze armate. La controrivoluzione sta chiaramente organizzando la propria frazione all'interno dell'esercito. Questo è un risultato inevitabile delle oscillazioni del Governo che ha fatto di tutto per tenere l'esercito fuori dal movimento rivoluzionario, impedendo al Psuv di organizzarsi all'interno delle forze armate.
Il risultato è chiaro: se tieni la politica rivoluzionaria fuori dall'esercito, vi entrerà quella controrivoluzionaria. L'unico modo per impedire future cospirazioni e colpi di Stato è organizzare i rivoluzionari nell'esercito e allo stesso tempo estendere la milizia popolare a partire dalla Riserva Nazionale. Tutti i lavoratori, contadini e giovani, dovrebbero entrare nella riserva e combattere per convertirla in un reale milizia popolare con legami con il movimento rivoluzionario su scala locale, regionale e nazionale.
Il Psuv e la gioventù del Psuv
Le contraddizioni interne alla società venezuelana non sono mai state così ampie come ora. Questo si vede abbastanza chiaramente all'interno del Psuv (Partito Socialista Unificato del Venezuela). Dopo il suo congresso di fondazione a gennaio-febbraio, il partito ha attraversato un processo di selezione dei candidati per le elezioni regionali e locali di novembre. Una sbalorditiva cifra di 2,5 milioni di persone ha partecipato alle elezioni interne di giugno. In alcune zone la sinistra interna ha ottenuto significative affermazioni (come a Mèrida, Vargas ecc.), ma in molti altri posti la burocrazia ha usato l'apparato per imporre i propri candidati e l'assenza di una reale alternativa ha pesato parecchio sui risultati finali.
Se il Psuv nel suo primo anno di vita è stato un'arena di costante scontro tra la destra riformista e la sinistra rivoluzionaria, questo è ancora più vero per il congresso di fondazione della sua struttura giovanile tenutosi a settembre a Puerto Ordàz. A questo incontro hanno partecipato 1300 giovani da tutto il Venezuela. C'era un ambiente tremendamente radicale e rivoluzionario e un desiderio di spingere in avanti la rivoluzione. Questo si è riflesso nell'assemblea finale, dove uno degli slogan più lanciati dai delegati era: “I giovani sono sempre socialisti e mai riformisti” e “Dibattito aperto – è il tempo della base”.
Mentre una direzione non eletta aveva avanzato un progetto di statuto che era completamente imposto dall'alto, cercando di schiacciare qualsiasi dibattito, la pressione dal basso li ha forzati a fare concessioni e cambiare gli statuti, dando più spazio ad una struttura democratica con le elezioni della direzione dal basso. Il congresso fondativo della gioventù del Psuv ha rappresentato ufficialmente 140.000 giovani. In tutto il paese questi giovani stanno organizzando sezioni e stanno lottando per radicalizzare la rivoluzione.
I lavoratori spingono per l'unità e l'azione
Uno degli avvenimenti fondamentali di cui bisogna tener conto per capire l'attuale situazione in Venezuela è la rottura avvenuta all’interno del congresso della Unt (Unione Nazionale dei Lavoratori) nel maggio 2006. L'Unt ha rappresentato e continua a rappresentare agli occhi di milioni di venezuelani uno strumento potenziale con cui il proletariato può agire da protagonista nel processo. Ma queste speranze sono state spezzate in occasione del secondo congresso dell'Unt del maggio 2006. Mentre 4000 lavoratori si riunivano a Caracas, uno scontro, basato su motivazioni settarie si è verificato tra il gruppo di Orlando Chirino e quello di Marcela Màspero. Il congresso è stato fisicamente scisso, finendo così in due assemblee separate con buona parte dei delegati ritornati a casa frustrati.
Lo scontro tra le due tendenze avvenne su questioni che non hanno niente a che fare con i problemi scottanti di fronte a cui si trova il movimento sindacale venezuelano. La scissione in ogni caso è servita a paralizzare la Unt per circa due anni. Mentre ci sono state lotte operaie importanti per tutto il paese (come quella della Sanitarios Maracay e della Sidor) la Unt è stata incapace di giocare un ruolo reale come confederazione sindacale rivoluzionaria.
La nazionalizzazione di Sidor ad aprile è stato un punto di svolta. E' stata anche una lezione per i dirigenti delle diverse correnti sindacali che sono stati screditati dalla loro passività e completa mancanza di prospettive. La vittoria dei lavoratori della Sidor ha mostrato la via per avanzare ed è stata una grossa ispirazione per tutti i lavoratori venezuelani. Ha raddoppiato la pressione proveniente dal basso. I lavoratori hanno iniziato a chiedere che la Unt venga riattivata. Alcuni settori burocratici riuniti attorno alla FSBT (Forza socialista bolivariana dei lavoratori, una tendenza sindacale riunita attorno all'ex ministro del Lavoro, Jose Ramòn Rivero) ha provato a sondare l'ambiente proponendo una nuova confederazione sindacale. Tuttavia hanno dovuto fermare questo processo e discuterne più a fondo, a seguito delle pressioni della propria base.
Da allora la pressione per l'unità e per l'azione è aumentata. A luglio rappresentanti dei lavoratori dell'automobile si sono incontrati e hanno steso una risoluzione che chiedeva unità ed un nuovo congresso unificato del movimento sindacale. Il 4 di settembre si è tenuto un “Congresso regionale di lavoratori Socialisti” tenutosi nello Zulia, con la partecipazione di 500 rappresentanti di 100 categorie sindacali. Questo congresso ha fatto un appello nella risoluzione finale per “un congresso nazionale che rifondasse il movimento sindacale Bolivariano”.
Avvertendo la pressione dal basso, alcune iniziative sono state prese dai dirigenti del movimento. Il 20 di settembre una riunione nazionale di dirigenti sindacali del Psuv è stata tenuta a Caracas, organizzata dalla direzione del Psuv e appoggiata da buona parte delle diverse correnti della Unt. L'incontro ha visto partecipare circa 300 dirigenti sindacali e ha registrato un ambiente radicale, tra cui una risoluzione finale per chiedere la nazionalizzazione delle grandi banche.
Molti fattori indicano che una sorta di congresso nazionale dell'Unt sarà tenuto presto. Ma la questione decisiva non è solo di raggiungere l'unità, ma anche unità per fare cosa e con quali scopi. Le molte tendenze del movimento sindacale venezuelano si sono dimostrate assolutamente incapaci di andare avanti. Di fatto hanno mantenuto deliberatamente scisso il movimento, provocandone un'impasse criminale.
L'unità non può essere costruita burocraticamente dall'alto. Non può essere ordinata per decreto. Deve essere costruita dal basso e attorno ad un programma d'azione democraticamente discusso e votato dalla base.
Elezioni locali e regionali
Un nuovo test per la rivoluzione sarà costituito dalle elezioni amministrative e regionali del prossimo 23 novembre. In quelle precedenti l'opposizione riuscì ad ottenere solo due governatori negli Stati dello Zulia e di Nueva Esparta. Ma questa volta c'è un rischio serio per le forze rivoluzionarie di perdere altri importanti Stati, come quello di Carabobo, Tàchira, Miranda e Mérida. A questo va aggiunta la possibilità di perdere sindaci in città chiave come Maracaibo (la seconda più grande del paese).
Il Governo bolivariano ha ancora l'appoggio della maggioranza della popolazione. Ma la sconfitta del referendum costituzionale lo scorso dicembre è stato un avvertimento chiaro. Dopo 10 anni di rivoluzione, i problemi principali rimangono irrisolti. Non c'è stato un cambiamento radicale nella direzione e molti dei candidati ufficiali del Psuv sono ampiamente screditati tra la popolazione.
Questa è la ragione per cui c'è da aspettarsi un arretramento elettorale delle forze che appoggiano la rivoluzione. Ovviamente è difficile dire quanto sarà grande, ma la cosa importante è individuare la tendenza generale. La rivoluzione è al bivio. Anche una chiara vittoria elettorale non farebbe altro che preparare uno scontro ancora più duro all'interno dell'oligarchia. Chàvez ha già annunciato che in caso di vittoria, lancerà un nuovo referendum costituzionale per vedere se questa volta la riforma della costituzione riesce a passare. Sarebbe qualcosa di intollerabile per l'oligarchia che ricomincerebbe a manovrare. Il punto fondamentale per i marxisti è comprendere che tutte le condizioni oggettive sono date per completare la rivoluzione socialista in Venezuela. Ma se è così, perché non è stato ancora fatto? I riformisti accusano le masse di “basso livello di coscienza”. Ma se analizziamo i passati dieci anni di rivoluzione, vediamo che sono le masse ad aver salvato la rivoluzione dalla sconfitta in ogni importante scontro con l'oligarchia.
Il problema non è la mancanza di coscienza delle masse, ma il fatto che gli elementi riformisti della direzione non hanno una reale prospettiva socialista. La sola soluzione è espropriare le leve fondamentali dell'economia (banche, terra, distribuzione alimentare e il resto delle industrie) e metterle sotto il controllo democratico dei lavoratori e dei contadini all'interno di un piano socialista di produzione. Questo e solo questo può risolvere i problemi urgenti di fronte alla rivoluzione venezuelana.
Source: Giù le mani dal Venezuela